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Legame Apparente
Where are Elmer, Herman, Bert, Tom and Charley,
The weak of will, the strong of arm, the clown, the boozer, the fighter
All, all, are sleeping on the hill.
(E. L. Masters)
La palestra della scuola era illuminata solo in parte, la luce cadeva perpendicolare
sulle sette sedie disposte in circolo.
Il locale sapeva di lucido da parquet, le tribune erano vuote e il segnapunti elettronico spento.
Le finestre, arrampicate sulle alte pareti, erano bersagliate da una fitta e insistente nevicata. Bert occupava una delle sedie, calzava un berretto di lana, era avvolto in uno sporco giubbotto e teneva le gambe accavallate. Aveva le mani una dentro l'altra e il suo sguardo era fermo in direzione dell'uomo grasso, con il mento flaccido e due grosse guance rosse. Herman era il suo nome e sedeva silenzioso di fronte a lui.
La comunità parrocchiale aveva ottenuto i fondi per istituire un gruppo di lavoro: una psicologa dava supporto morale a chi si era salvato da atti autolesivi, a chi era scampato al suicidio.
Nicole terminò di parlare. Bert si ritrasse sulla sedia il più possibile. Era basso di statura e i suoi piedi persero aderenza con il terreno. Si accorse che era il prossimo a dover intervenire. Strinse forte i denti, poi li lasciò andare e deglutì; ispirò senza avvertire la soddisfazione di sentire pieni i polmoni.
- Bert, - intervenne la psicologa - lo sai che non c'è alcuna fretta e che puoi parlare di quello che vuoi.
L'uomo sbuffò via l'aria che disegnò una piccola nuvola davanti al naso.
- Questa mattina sono stato sulla tomba di mia madre. Ho portato dei fiori, viole.
Avvertì la bocca inaridire e dovette attendere un poco di saliva prima di continuare.
- Mia madre adorava le viole.
Il suo viso si contorse in una smorfia di dolore.
La seduta terminò alle ventuno. La psicologa, Sophie, era da poco laureata e prestava servizio come volontaria. Quella sera mostrava un'inconsueta fretta.
- Ragazzi, sono molto soddisfatta dei vostri progressi, - rovistava nella borsa che aveva tra i piedi - abbiamo molta strada da fare ma, - s'interruppe, trovò il cellulare e lo accese - con questi presupposti otterremo ottimi risultati. - Una luce brillò nei suo occhi quando una voce metallica scandì: hai un nuovo messaggio.
Bert osservò i movimenti della donna, capì che avrebbe voluto essere altrove. Non la biasimò, anche i partecipanti al corso erano già oltre l'uscita della palestra. Si alzò, lanciò uno sguardo d'intesa alla psicologa che cadde nel vuoto, si avvolse una sciarpa di lana e uscì. La nevicata non aveva diminuito la sua forza. Bert superò la piazza centrale di Brighton Rock City in completa solitudine. Procedeva a testa bassa, con un passo lungo ma senza correre. Senza correre ripeteva a bassa voce strusciando le labbra contro il tessuto acrilico della sciarpa. Attraversò la statale che portava a Providence senza aspettare il verde del semaforo pedonale. Quando alzò gli occhi, trovò davanti a sé il Golden Market con la sua accecante insegna rossa.
Bert entrò nel locale che era anche un ristorante, una rivendita di articoli per il giardinaggio e un'edicola specializzata in riviste per soli uomini. Tirò dritto verso il bancone del bar, si scrollò la neve dalle spalle e ordinò un cappuccino caldo. Scelse una sedia tra le tante vuote e abbandonò i suoi pensieri tra i fiocchi di neve che cadevano al di là della vetrata.
Arrivò il cappuccino in un bicchiere di cartone, chiuso da un tappo di plastica. Lo aprì e prima di sorseggiarlo, tenne il bicchiere stretto tra le mani. Guardava fuori, verso la golf blu parcheggiata pochi metri più avanti. Una donna era salita qualche istante prima, aveva messo in moto e stava trafficando con le leve e i pulsanti del cruscotto. Sembrava non riuscire ad accendere le luci e anche le frecce direzionali erano difettose. L'attenzione di Bert fu catturata da un invitante odore di dolci, si voltò verso la ragazza del bancone che armeggiava con un grosso cucchiaio. Accanto a lei, un vassoio colmo di frittelle cosparse di zucchero e un recipiente pieno di miele fino all'orlo. La cameriera colava il miele sulle sfoglie facendo attenzione a dosarlo bene.
Bert pensò al tempo passato dalla sua ultima frittella, alle cose successe, al dolore provato. Sembravano essere passate cento vite. Aspettò d'incontrare lo sguardo della commessa e quando questa alzò un sopracciglio invitando il cliente a ordinare, lui acconsentì sorridendo.
La donna sulla strada era scesa e aveva aperto il cofano dell'autoveicolo. Si muoveva inesperta con la testa tra la batteria e il radiatore accennando a un goffo tentativo di riparare gli indicatori di direzione. Spazientita, risalì sulla golf proprio mentre sopraggiungeva a forte velocità un'auto. Bert si rese conto di cosa stava per accadere. La macchina sfrecciò davanti la vetrata del Golden Market proprio mentre la cameriera posava sul tavolo un piatto con due ciambelle fumanti. La Golf blu si mosse e invase la strada, l'auto in corsa sterzò per evitare l'impatto, urtando contro l'albero sul ciglio del marciapiede. Il rumore dello scontro fu raccapricciante: dentro il bar arrivò lo stridio delle lamiere che si contorcevano e l'urlo straziato di una donna. Bert scattò urtando il piatto e rovesciando a terra le frittelle, corse verso l'uscita e raggiunse l'auto incidentata. Guardò attraverso il finestrino per metà appannato, al volante c'era una donna svenuta e, accanto a lei, una ragazza ferita, ma sveglia.
Il giorno arrivò su Brighton Rock. La neve scendeva con meno intensità e il mattino portò con sé qualche timido raggio di sole.
La temperatura restava bassa e nel cielo, all'orizzonte, enormi nuvole minacciavano il paese.
Bert si svegliò all'alba. Era ospite della zia Rosy, dormiva in una camera senza quadri né televisore. Aveva un letto di ferro, di quelli con la spalliera alta, un comodino e un armadio a due ante, mezzo vuoto.
Si svegliò con le lenzuola a terra, aggrovigliate all'unica coperta di lana; era scoperto e infreddolito. Spesso, Bert, la notte litigava con il mondo e con se stesso, a farne le spese erano le sue coperte. Si alzò dal letto per evitare che i cattivi pensieri, le angosce del cuore, diceva lui, prendessero il sopravvento. Si avvicinò al lavabo e aprì il rubinetto dell'acqua calda. Si specchiò e vide un volto magro, il viso allungato e scavato con gli occhi rintanati in profonde occhiaie. Passò una mano tra i capelli neri, lisci, e li pettinò con le dita, spostandoli verso destra.
Appena l'acqua scaldò il suo viso, riaffiorarono i ricordi della sera prima. Rivide l'ambulanza e le due donne sdraiate su due lettini. La prima, la più grande, era intubata, immobile e stretta in un collare attorno al collo. La seconda, la ragazza, era rimasta sempre cosciente e mai aveva tolto lo sguardo dalla compagna svenuta. Era stato Bert a telefonare al pronto soccorso, aveva atteso l'ambulanza in ginocchio sulla neve, accanto al finestrino della più giovane.
Bert distolse gli occhi dallo specchio, si asciugò e indossò la biancheria pulita.
Uscì di casa e mezz'ora più tardi entrò nel Brighton Hospital.
- Buongiorno - disse con un filo di voce all'infermiera dell'accettazione.
La donna aveva i capelli raccolti sotto una cuffietta bianca, la divisa in ordine e una penna che si affacciava dal taschino appena sopra il petto. Con le mani sfogliava alcune carte.
- Mi dica.
- Ecco, ieri sera sono state soccorse due donne, appena fuori il Golden Market e - L'infermiera sgranò gli occhi e interruppe l'uomo.
- Lei è forse un parente o un amico?
- No, non sono parente ma - L'infermiera arricciò le labbra dimostrando il suo disappunto, tornò con gli occhi ai suoi documenti.
- Vede, io ho chiamato i soccorsi ieri sera, volevo avere qualche notizia, ecco, se stavano bene.
- Mi dispiace signore, solo i parenti possono avere notizie a riguardo della salute dei pazienti. Mi dispiace. - Parlò tutta d'un fiato senza guardare il suo interlocutore.
Bert rimase qualche secondo affacciato al bancone delle informazioni, digerì la risposta e si voltò verso l'uscita.
- Bert, ehi Bert? - Una voce lo raggiunse dal fondo del corridoio.
L'uomo si voltò.
- Hai bisogno d'aiuto? - Una donna si faceva largo nella corsia.
- Sophie, che ci fa lei qui?
- Io ci lavoro, tu piuttosto che ci fai?
- Ecco, ieri sera, dopo che abbiamo terminato il nostro incontro, ho soccorso due persone, sono qui per avere loro notizie, solo questo.
- Le due donne che hanno avuto un incidente con la macchina?
- Si dottoressa, - Bert accompagnò la risposta annuendo con il capo - sa come stanno?
- La donna è molto grave. Ha un'emorragia celebrale estesa e problemi cardiaci che al momento sconsigliano l'operazione.
- Mi dispiace molto, mi dispiace, - Bert abbassò lo sguardo e temendo il peggio aggiunse: - E la ragazza?
- Lei sta bene ma soffre di una forma di amnesia piuttosto comune dopo il trauma che ha avuto alla testa e lo stress accumulato. Purtroppo è una situazione antipatica, non ricorda nulla, neanche il suo nome.
Un senso di oppressione colpì Bert. L'ospedale divenne una girandola di emozioni: camici bianchi che si inseguivano, il linoleum, l'odore dell'alcol etilico. In un attimo tutto fu come sei mesi prima, quando il Brighton Hospital divenne l'ultima residenza della madre.
Bert l'aveva assistita, protetta e coccolata. Attraversava il reparto riservato ai malati terminali, arrivava alla camera 14 portando con sé un mazzo di viole, sempre fresche. Ogni giorno, alla dieci del mattino, entrava nella stanza e teneva stretta quella mano sofferente, troppo magra per fronteggiare un letto così grande.
Restava seduto per ore, talvolta leggeva Flaubert o Rimbaud, in francese, come amava la madre. Spesso saltava i pranzi, sovente si addormentava sotto la malinconia della luce al neon. Mai alla donna era mancato lo sguardo del figlio.
- Bert, stai bene? - Sophie toccò la spalla dell'uomo per scuoterlo.
- Sì, sì tutto bene, è che qui dentro è, un posto difficile per me.
- Non solo per te Bert, questo è un posto difficile per tutti e non hai l'esclusiva.
- Certo Sophie è come dice lei - si passò una mano sulla fronte - pensa che potrei vedere la ragazza dell'incidente?
- Sicuro che puoi, ti accompagno, è alla ludoteca.
La giovane era in tuta da ginnastica, vestiva la divisa degli Eagles, la squadra di basket locale. Quando Bert e la dottoressa entrarono nella sala ricreazione, guardava un vecchio episodio di Star Trek.
- Cucciola, - esordì la psicologa - riconosci questa persona?
La ragazza distolse lo sguardo dal capitano Kirk e osservando Bert, sorrise.
- Hai una tuta davvero bella - La voce dell'uomo uscì squillante.
- Me l'hanno data qui, i miei vestiti erano tutti sporchi - girò la testa verso Sophie e aggiunse: - É vero che la posso tenere?
- Certo che puoi, è tutta tua.
- Questo, è quell'uomo buffo che ieri notte ha aspettato l'arrivo dei medici, - Il dito della ragazza era ben teso nella direzione di Bert, sorrideva - se ne stava inginocchiato sulla neve e mi guardava.
- É lui Cucciola, - Sophie l'accarezzava sui capelli - è venuto a vedere come stai e se ti va, resterà un po' con te.
La ragazza annuì e la dottoressa, dopo un cenno d'intesa con Bert, uscì dalla stanza.
- Io non ricordo nulla, nulla che sia successo prima dell'incidente - I due si erano seduti su buffe sedie, alte non più di cinquanta centimetri e decorate con disegni di elefanti, giraffe e piccole scimmie.
- Mi ha detto Sophie che è solo una cosa passeggera - Rispose Bert, entrambi guardavano verso la televisione.
- Si, mi hanno fatto scegliere un nome, io ho pensato a Cucciola e poi, mi hanno detto di giocare e divertirmi. - Il vulcaniano Spock e il dottor McCoy si erano appena teletrasportati sull'Enterprise.
La bambina aveva i capelli corti, castani e spettinati. Un viso rotondo con il naso a patata, le sopracciglia lunghe e fini che ricamavano gli occhi di un intenso nero. Vicino la bocca rossa, un neo rotondo puntellava la guancia destra. I fianchi erano già pronunciati così come i seni che s'intravedevano sotto la tuta da basket. Il suo umore era buono nonostante fosse a conoscenza della condizione in cui si trovava.
Cucciola aveva sostenuto un'ora di colloquio con la psicologa, aveva cercato di forzare i suoi ricordi cercando di ricostruire le ore precedenti all'incidente. Non aveva ottenuto nulla, né un nome né una provenienza; la sua memoria era come un enorme puzzle, i suoi pensieri le tessere da ordinare.
Non aveva con sé alcun documento, nella borsa della donna, la sua compagna di sventura, non c'era nessun riferimento a lei, nessun legame apparente.
Sophie arrivò a casa alle 19.
Si versò un bicchiere di vino rosso e lasciò che l'acqua calda riempisse la vasca da bagno. Si spogliò. Rimase nuda davanti allo specchio, le mani tra i capelli, gli occhi sul corpo filiforme. Scosse la testa, si girò ed entrò nell'acqua. Chiuse gli occhi per qualche minuto.
Sul bordo della vasca, il bicchiere di vino e il cellulare. Prese quest'ultimo, aprì il menù dei messaggi ricevuti.
Non posso più mentire a me stesso, non posso più farti del male. Sono io a essere sbagliato. É finita Sophie, io non ti amo più. Non cercarmi, ti prego.
Aveva atteso quel messaggio per tre lunghi giorni e per altrettante infinite notti. Aveva trepidato a ogni squillo del telefono per imprecare a ogni falso allarme. Poi, dopo la riunione alla palestra, l'arrivo della sentenza.
L'acqua calda scaldava il suo corpo ma non il suo cuore.
Sophie e Philippe si erano conosciuti cinque anni prima, avevano convissuto per gli ultimi quattro e si erano lasciati da una settimana. Nella loro vita si era rotto qualcosa, diceva spesso lui. Si era perso l'amore, pensava con più praticità lei.
La donna era tormentata dal rimorso di vedere la sua storia sbriciolata a terra e rimpiangeva di non aver intuito il momento della caduta.
Sophie, in quelle ore di solitudine, aveva sperato in un epilogo diverso, era timorosa di perdere la stabilità che un'unione così lunga garantiva. Stabilità, la donna sapeva che la parola giusta era quotidianità e nell'eccezione negativa del termine.
Premette il tasto delle opzioni sulla scocca del cellulare. Sul display diverse scelte tra le quali chiama numero.
Percepiva la solitudine scavare in profondità, fin dentro la sua anima. Era una sensazione sgradevole che la riportò all'infanzia, a quando restava ore in punizione chiusa dentro uno stanzino. La solitudine, il silenzio e il buio della sua prigione. Le urla disperate per quella porta che non si apriva mai.
Da quei giorni, non era più stata capace di rimanere sola.
Fece per schiacciare il tasto verde, si fermò; pensò alle conseguenze. Ancora una volta la pressione sul pulsante si fece più forte, nell'acqua della vasca vide il viso di Philippe ridere di lei. Allentò la presa, guardò il cellulare e infine decise di far partire la chiamata.
Azionò il vivavoce, la linea libera. Attese un minuto, nessuno rispose. Senza riagganciare, spinse il cellulare sott'acqua.
La morsa d'aria fredda che attanagliava il paese di Brighton Rock sembrava diminuire. La notte passò senza nevicare e il mattino seguente fu salutato da un cielo terso e un sole caldo.
Il centro del paese sembrava rianimarsi. Nelle strade, i pick up avevano preso il posto dei mezzi anti neve, le persone tornavano a fermarsi davanti le vetrine dei negozi, il mercato all'aperto riapriva i battenti dopo tre giorni di chiusura forzata.
Bert arrivò al Brighton Hospital nel primo pomeriggio. Passò davanti la reception e l'infermiera concesse all'uomo di proseguire verso la ludoteca.
Cucciola aspettava il suo arrivo, quando lo vide, corse verso di lui e lo abbracciò stretto. Dapprima l'uomo restò immobile, rigido, poi si chinò sulle gambe e ricambiò il gesto d'affetto.
- Ti va di fare un pupazzo di neve? - Disse la ragazza.
- Un pupazzo di neve? - Replicò Bert sorpreso.
- Si, dai, andiamo nel giardino qui fuori, per favore… per favore… per favore.
I due si presero per mano e uscirono. La neve era soffice, raccolsero a piene mani i canditi fiocchi: ridevano; Bert si bagnò i pantaloni e cucciola rise ancora più forte. La luce del sole rifletteva in tutto quel candore mentre le loro mani plasmavano il pupazzo.
- Cosa fai nella vita? Disse d'un tratto la ragazza.
Bert guardò un punto non definito tra la neve, fece piccola la bocca per non permettere alla risposta di uscire. Infine, lasciò una frase trapelare dalle sue labbra.
- Ecco, mi guardo indietro, ogni giorno, mi guardo indietro.
Cucciola capì il senso di quelle parole, raccolse un po' di neve, la compattò bene tra le mani; è una palla di cannone, pensò.
Seria, prese la mira chiudendo un occhio, lasciò roteare il braccio e centrò Bert in pieno volto. Con una voce forte e sicura disse: - Bisogna guardare avanti qualche volta.
Nel volgere di un ora il pupazzo di neve era finito. Cucciola creò il naso con un ramoscello e intrecciando delle foglie confezionò due guanti. Bert si tolse la sciarpa e l'avvolse attorno al piccolo capolavoro.
I due rientrarono nell'ospedale, attraversano parte del corridoio e incrociarono Sophie.
- Ho una brutta notizia. - La donna guardava Cucciola.
Bert appoggiò le spalle alla parete del corridoio e congiunse le mani. Era immobile e fissava la psicologa.
- La donna in macchina con te, amore, ha avuto una crisi cardiaca, - La ragazza sgranò gli occhi e contrasse il volto. Sophie lasciò a Cucciola il tempo per intuire la notizia - non c'è stato nulla da fare, il suo cuore non ha retto, è morta un ora fa.
La ragazza aprì la bocca, i suoi occhi brillarono di una luce nuova
- Mia madre è morta d'infarto, mi chiamo Anne Matherson, vengo da Boston e sto cercando mio padre. - Si chinò sulle ginocchia, i suoi occhi congestionarono.
Bert lasciò andare le gambe fino ad arrivare all'altezza della bambina. Rideva e piangeva.
Sophie abbracciò Anne, la tenne stretta.
La ragazza ricordò e raccontò la storia della sua vita. Gli episodi si susseguirono, arrivavano puntuali alla mente come le onde dell'oceano sulla battigia.
- Era la mia mamma bellissima. - Ripeteva - É stata la mia famiglia, i miei giochi da bambina, il mio aiuto a scuola, la mia forza nei momenti difficili. Lei ha sempre pensato a tutto. Mi manca tanto la mia mamma.
Tuo papà? Dov'è? - domandò la psicologa.
- É per lui che mi trovo qui. Mamma diceva che mio padre era scappato prima di diventare tale. Non sapevo chi fosse, non fino a pochi giorni fa.
- Ti è venuto a cercare? - Le domande di Sophie erano carezze pronunciate.
- Non esattamente. Ho trovato una sua lettera in un vecchia scatola della mamma. Era chiusa e datata un anno fa. L'ho aperta e letta, ho conosciuto il suo nome e so che lavora a Providence.
- Anne, come è possibile che nessuno ti abbia cercata in queste ore? Eravamo così preoccupati per questo.
- Vivo con mia nonna. É vecchietta la mia nonnina. É bastato raccontarle che andavo per qualche giorno da Maggie, è abituata a questo, lo facevo spesso anche quando c'era la mamma.
- E invece sei partita per cercare tuo padre. - Ora per Sophie tutto era chiaro.
- Sì, ho fatto l'autostop, dovevo arrivare a Providence, sentito di doverlo conoscere; io ho letto la lettera che ha scritto.
Erano passate dodici ore dall'ultima nevicata e il cielo sembrava promettere qualche ora di tregua.
Il sole era lontano, l'arrivo della sera aveva avvolto Brighton Rock in un profondo silenzio.
Le sette sedie nella palestra comunale era occupate tutte, eccetto una. Nicole era una ragazza distratta e ancora non aveva familiarizzato con gli appuntamenti del gruppo.
- Ho una cosa bella da raccontarvi, - Herman parlava disinvolto, il suo mento flaccido oscillava a ogni pausa del discorso. - ho iniziato a scrivere un racconto, - Lo sguardo di Sophie che fino ad allora aveva vagato negli angoli del locale, si concentrò sul faccione dell'uomo. - mi sono ispirato a noi, ai nostri umori, alle nostre storie. Nulla di personale, s'intende, nessuno saprà riconoscere Paul, per esempio - il braccio di Herman si alzò a fatica, l'indice rivolto verso il vecchietto seduto accanto a Bert - oppure lei, signorina Sophie. Però vi ho portato tutti con me, nella mia storia e sapete - la sua voce si arrestò, aveva recitato da giovane, conosceva i tempi per la battuta finale.
- Cosa Herman - Disse curiosa la psicologa.
L'uomo emise due colpetti di tosse: - Ho inviato il mio racconto a una giornalista del Providence Post, e mi ha risposto! Dice che funziona e che dovrei provare a pubblicarlo.
- Sono molto felice Herman, questi sono i risultati del buon lavoro che stiamo facendo, - Ora Sophie si rivolgeva a tutta la platea - questa è la strada giusta, quella di assecondare le vostre emozioni, i vostri sogni e perseverare finché l'obiettivo che vi siete prefissi non sarà raggiunto. Herman, - tornò a guardare l'uomo - non vediamo l'ora di leggere il tuo racconto e non importa se sarà o meno pubblicato, tu hai portato qualcosa di noi con te e per noi questo, è già un motivo di soddisfazione.
Le riunioni alla palestra erano cariche di tensione, spesso di lacrime e frasi lasciate a metà. L'intervento di Herman, la sua bella cosa da raccontare, ebbe un effetto positivo sull'intero gruppo: i volti si rilassarono, qualcuno sorrise, altri commentarono le parole della psicologa convinti che sarebbero riusciti a trovare la loro strada.
- Bert, perché non ci parli di cosa ti è successo nelle ultime ore? - Gli occhi di Sophie erano carichi di speranza.
Bert si passò una mano sulle labbra, restò in silenzio per qualche istante. Accavallò le gambe e incrociò le braccia.
- C'è una ragazzina, giù all'ospedale, ha avuto un incidente l'altra sera, ecco, io l'ho soccorsa e ho passato un po' di tempo con lei. - Bert parlava senza guardare nessuno in particolare.
- Forza Bert, raccontaci qualcosa su questa persona, sul guaio che ha passato.
- Ha perso la memoria, non ricordava più nulla. L'incidente l'ha avuto in macchina, la persona accanto a lei, la donna che guidava, è entrata in coma, poi è morta - Sophie annuì - e la ragazza è rimasta sola senza neanche i suoi ricordi.
L'uomo si agitava sulla sedia.
- Io non ho fatto nulla, ho solo passato un po' di tempo con lei, le ho fatto compagnia; abbiamo giocato e fatto un pupazzo di neve - Bert distese le gambe, non erano più accavallate - poi abbiamo scherzato e lei mi ha anche preso in giro per quello che sono e mi ha tirato una palla di neve. Ora sta bene, Si chiama Anne, la sua amnesia è passata.
- Bert capisci cosa hai significato tu per quella bambina?
- No, sì, uno svago.
- Tu sei stato la normalità. La cosa più importante per una persona è l'equilibrio tra il proprio essere e il mondo. Tu hai gettato le basi affinché Anne tornasse normale, le hai dato attenzione, hai trasmesso una parte di te; questo lei l'ha sentito.
Bert sciolse le braccia.
- Domani mattina - aggiunse Sophie - parto con Anne, andiamo a Providence al ristorante dove lavora il padre. Anne mi ha chiesto se vuoi venire con noi.
- Non posso. - Bert scosse la testa.
- Cosa significa non posso, Bert? Certo che puoi, sarà solo per un giorno o due.
Un brusio si alzò tra i partecipanti, Herman prese la parola: - Coraggio Bert, coraggio.
- No! Io non sono pronto per lasciare Brighton, io non sono pronto. - Bert accavallò di nuovo le gambe, strette; incrociò le braccia, sopra il petto.
L'aria positiva respirata durante l'intervento di Herman era solo un ricordo. Sophie decise di lasciare cadere l'argomento. Bert restò rannicchiato sulla sua sedia, scuoteva la testa, i suoi occhi rimasero fissi sul parquet.
L'incontrò terminò. Tutti uscirono dalla palestra eccetto Herman e Sophie che s'intrattennero a parlare. Bert si avvolse nella sciarpa e tornò a casa.
La camera della zia Rosy era chiusa, una luce soffusa filtrava sotto la porta. Si levò le scarpe, camminò in punta di piedi. Non aveva voglia di parlare ma solo di entrare nella sua stanza e chiudersi nel suo mondo. Questo fece.
Nella sua camera aprì l'armadio; nascosto sotto alcune camice trovò un album di fotografie. Lo prese, si sedette sul letto con il tomo sulle gambe. Iniziò ad aprirlo dall'ultima pagina, come sempre. La foto davanti i suoi occhi ritraeva la madre in primo piano: il viso sciupato, gli occhi sereni.
Girò, da sinistra a destra. Due gatti sdraiati davanti un portone, la luce del sole batteva sui loro corpi, i loro musi riflessi in una pozza d'acqua.
Fotografie a colori, altre in bianco e nero. Sfogliò ancora.
New York, Manhattan, le twin tours e lui con le braccia a ciondoloni. L'istantanea era mossa, scattata dalla frettolosa mano di un passante.
Bert girava le pagine e il tempo si riavvolgeva, arrivò alla foto della maschera. Era l'unica ad avere un titolo, in basso scritto a matita, semplicemente la maschera. Due persone, un ragazzo e una ragazza: suo padre e sua madre. Lui con una mascherina da carnevale sul viso, di quelle nere che circondano gli occhi. É in ginocchio davanti alla ragazza, una mano dietro la schiena, nell'altra un mazzo di viole. Lei è in piedi, accenna un inchino. Si guardano, sono felici. Bert fissò la fotografia, era l'unica prova dell'esistenza del padre, sarebbe scappato tre mesi dopo. Toccò l'immagine e penso ad Anne.
Bert? - Una voce arrivò dall'ingresso. - Bert? Ci sono visite per te, - La zia Rosy urlava:
- vieni qui.
Bert chiuse l'album e lo lasciò sul letto, si diresse verso la porta. Sull'uscio, aperto a metà, due grosse guance rosse facevano capolino.
- Herman?
- Spero non ti dispiaccia, il tuo indirizzo me l'ha dato la dottoressa.
- Certo che no, entra.
I due attraversarono il corridoio; Bert faceva strada verso la sua camera, Herman osservava i muri con la carta da parati sporca e scollata. Entrarono nella stanza, Bert scostò una sedia di legno dal muro e la porse all'ospite, poi si sedette di fronte a lui, sul letto.
- Avevo pensato di portare una bottiglia di vino ma a quest'ora ho trovato il bar chiuso.
Bert non disse nulla, il suo sguardo valeva più di una domanda.
- Ti chiederai come mai sono qui. - disse Herman mentre cercava una posizione comoda sulla sedia.
- Sì, ecco.
- É che nella palestra non sempre è facile parlare, io, per molto tempo l'ho fatto da solo, giù al parco, su una panchina.
- Io parlo poco anche da solo, Herman.
- Capisco, parlare però fa bene Bert, bisogna sapere ascoltare la propria voce, è importante, sincera; nel bene e nel male è sempre sincera.
- La mia voce mi dà fastidio.
- Lo pensavo anche della mia, però poi me la sono fatta amica e ora va meglio.
Bert sorrise, si alzò dal letto e ripose nell'armadio l'album delle fotografie. Herman prosegui:
- Prendi in considerazione la possibilità di accompagnare la dottoressa e quella ragazza, Bert, non lo fai per loro, lo fai per te.
- Io ho tutto quello che mi serve qui.
- Cosa amico mio, cosa? Un letto su cui dormire e una tomba su cui andare a piangere aspettando che diventi la tua?.
Bert rimase in silenzio e Herman proseguì:
- Non ho trovato del vino ma ti ho portato comunque una cosa, - tirò fuori dalla tasca un biglietto piegato in due. - come dicevo alla riunione, è un periodo che scrivo molto ma leggo anche tanto. Mi attrae l'opera di Masters, la sua antologia di Spoon River, la conosci?.
- Sì, l'ho letta da giovane, ricordo qualcosa - Bert sembrò non dare importanza alla domanda, aggiunse: - Hai gli occhi che ti brillano quando parli dei tuoi interessi.
- É una bella sensazione, dovresti provare - Herman sorrise - il libro su Spoon River è una piccola ossessione che mi concedo, scrivo di continuo il mio epitaffio, lo aggiorno e quando lo rileggo verifico i miei progressi nei confronti della vita.
Bert guardò incuriosito il foglietto piegato nelle mani dell'uomo.
- Vedi Bert, il caso vuole che noi ci chiamiamo come due protagonisti della poesia La Collina di Masters: Herman che morì bruciato in miniera e Bert che fu ucciso in una rissa; solo una curiosa coincidenza.
- Speriamo di non fare la stessa fine. - Disse Bert divertito dalla conversazione.
- Speriamo di non farne una peggiore; - Herman agitava il foglio di carta. - ti invito a fare il mio stesso gioco: ho preparato per te il tuo epitaffio, partendo da zero con il poco che so. Amico mio, fai in modo che quando sarà arrivato il tuo momento, questo - guardò il pezzo di carta fermandolo nell'aria - non sarà il punto di arrivo ma, - Attese un secondo, alzò un sopracciglio e concluse - il tuo punto di partenza.
Bert allungò le mani e prese il foglio.
- Accetto volentieri Herman e grazie per avermi pensato.
- Sono sicuro che ho fatto bene a farlo; è arrivato il momento di togliere il disturbo, devo fare parecchia strada per tornare a casa e fuori fa un freddo cane.
Herman si alzò dalla sedia, con una smorfia sopportò la fatica dello spostamento; allungò una mano, Bert la strinse.
La notte passò veloce, il letto di Bert restò intatto. L'uomo lesse e rilesse l'epitaffio, pensò alla strana coincidenza dei nomi e della poesia di Masters, ripercorse la storia di Anne, le analogie con la sua esperienza di figlio senza padre. Solo alle prime luci dell'alba si lasciò cadere sul materasso e prese sonno.
Sophie e Anne salirono in macchina alla undici del mattino. Presero la strada statale verso Providence, attraversarono Brighton Rock e passarono di fronte al Golden Market. Sophie arrestò l'autovettura. Accanto l'ingresso dello store, Bert agitava la mano in segno di saluto. Anne abbassò il finestrino ed esclamò:
- Che bello vederti, che bello che sei qui.
La ragazza sporse il busto fuori dalla macchina, afferrò l'uomo per il giubbotto e stampò un bacio sulla sua guancia.
- Quanto entusiasmo - Disse Bert incapace di qualsiasi movimento.
Le due donne scesero dall'autovettura, Sophie si avvicinò all'uomo che disse:
- Forse sono ancora in tempo per farvi compagnia.
- Certo Bert, è un vero piacere averti a bordo con noi. - La psicologa non credeva ancora ai suoi occhi.
- Ecco, non prima di esserci mangiati un paio di frittelle - Bert si voltò verso il Golden Market.
- Ah Bert, smettila con questo ecco, e per le frittelle: ottima idea - Esclamò Anne prendendo i due per mano e trascinandoli nel locale.
Il Golden Market era colmo di persone, i tre faticarono a trovare posto. Le frittelle arrivarono calde e imbevute di miele. Sophie e Anne le divorarono in un paio di bocconi e ordinarono un'altra porzione. Bert mangiava lentamente, assaporava e lasciava alla pasta il tempo di sciogliersi in bocca. Estrasse dalla tasca un foglietto di carta, lo aprì e lesse tra sé:
L'epitaffio del signor Bert.
Sono rimasto tutta la vita a guardare il passato. Tutta la vita.
Nessuno mi ha voluto: non un amico, né la mia ombra, né la morte quando l'ho cercata.
Dovreste commiserarmi per questo, dovreste provare pietà per me.
Invece no! Voi mi giudicate e condannate anche ora che ho tre metri di terra sulla testa.
Io non ho pace.
Bert prese una matita dalla tasca del giubbotto, cancellò dal foglio un paio di parole e aggiunse una frase. Ripiegò la carta e la rimise in tasca.
Le due donne, occupate come erano dalle frittelle al miele, non si accorsero di nulla.
- Ora il viaggio può cominciare. - Esclamò Bert ad alta voce.
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