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L'ipocrisia dell'esame
“Insomma signorina ha studiato oppure no? ” – Miriam era come impietrita davanti al volto dell’assistente universitario che le stava facendo la prova d’esame orale.
“Io… beh…si, sono diversi mesi che sto studiando” Mentre pronunciava quelle parole, pesanti come macigni, sentiva le mani diventare sempre più insensibili. Inoltre un leggero formicolio sotto i piedi le dava quasi la tremenda sensazione di stare senza scarpe sulla ghiaia aguzza di una strada dissestata.
“Le assicuro che ho dedicato parecchio tempo a questo esame. Ci tengo a prendere un bel voto. “
“Se andiamo di questo passo invece mi sa che dovremo vederci a Giugno nuovamente. Altro che voto. “ Il volto dell’uomo si era tramutato in pietra. Gli occhi azzurri dietro la pesante montatura a forma ovale degli occhiali la scrutavano fino a farle mancare l’aria.
“Mi faccia un’altra domanda la prego, “ disse in tono supplichevole Miriam, “ho come un vuoto di memoria. Forse è dipeso dallo stress accumulato. Ho avuto problemi col …”
“Signorina per favore! “ L’uomo la interruppe bruscamente. “Ora non mi racconti i suoi problemi che nulla hanno a che vedere col libro su cui stiamo discutendo. Tutti abbiamo dei problemi. Se non ha studiato per colpa di chi che sia allora abbia la compiacenza di alzarsi e tornare tra due mesi e non mi faccia perdere tempo”.
Adesso si sentiva mancare direttamente la terra da sotto i piedi altro che formicolio.
Sentiva una gran voglia di piangere, di arrendersi alle lacrime ma intorno a lei incombevano gli sguardi silenziosi e curiosi degli altri studenti. Era l’attrazione di quel mattino disgraziato e non poteva lasciarsi andare altrimenti sarebbe stata la fine. La vergogna di quello stato l’avrebbe perseguitata per molto tempo.
“ Vogliamo stare così tutta la giornata a fare le belle statuine oppure ha intenzione di parlarmi di qualcosa. Sto ancora aspettando che lei mi spieghi questa famosa teoria. Se non la sa, arrivederci “.
“ Ehm… allora … si … la famosa teoria di…di…di…”
“ Chi l’ha creata? ” – la incalzò per l’ennesima volta l’assistente – “ Cominciamo a dire questo…”.
“ Si … l’ha creata …diciamo… la so…” - ma dentro la testa si era creata una voragine così profonda da inghiottire ogni pensiero, ogni ricordo.
Era il buio totale della mente. In quello stato trovare la luce del sapere sarebbe stato impossibile.
Decise che era venuto il momento di desistere.
“Mi dispiace, non la ricordo”.
“Alla prossima! ” – rispose secco l’assistente e con un gesto teatrale delle mani le strappò lo statino su cui erano stati scritti i suoi dati personali e il nome dell’esame che purtroppo non aveva superato.
Si alzò lentamente allontanandosi instupidita e sconfitta dalla lunga cattedra dove altri ragazzi come lei combattevano quella battaglia psicologica che avrebbe comportato la gloria dei vincitori e la vergogna dei vinti. Attraversando i banchi pieni di teste e di libri aperti si accorse del mormorio malizioso di un gruppetto di ragazze poco distanti. Immediatamente volse uno sguardo astioso verso di loro ma tutto era tornato silenzioso e indifferente. Riuscì a scorgere soltanto la preoccupazione palpabile di una ragazza bionda simile a lei che nervosamente sfogliava le pagine di un quaderno. Unico indizio ancora rilevabile era il sorriso maligno di un giovane bruno e pallido che sembrava proprio contento della sua bocciatura.
“ Che stronzo! ” – pensò.
Recuperò le sue cose in pochi secondi e senza nemmeno accennare un saluto verso il docente, suo carnefice, aprì la porta e uscì nel corridoio rumoroso.
Vedere tutti quei coetanei che si affrettavano diligenti verso la aule di corso oppure che si muovevano scoraggiati e tristi verso un’ennesima prova d’esame come se andassero al patibolo, le mise addosso un disagio ancor più doloroso e sotterraneo. Si sentiva l’unica cretina di tutta la facoltà. Era una specie di complesso di inferiorità che con dei tentacoli limacciosi ormai la teneva in pugno.
Dimenticò che la sua media esami viaggiava sui binari del 28, 5. Dimenticò che nell’esame precedente a quello che aveva fallito il Professore l’aveva elogiata pubblicamente. E allora gli altri avevano ascoltato invidiosi e depressi. Come le era piaciuto. Meglio del sesso col fidanzato aveva pensato con estasi monomaniaca. Ma ora la depressa era lei. Era la prima volta che le capitava di essere stata bocciata ed era un incubo. Osservava con i sensi intorpiditi visioni distorte di aule e studenti e le sembrava di essere capitata all’inferno. I battiti del cuore erano accelerati come i rulli di tamburo di un capo Sioux. Le lacrime riempivano le cisterne presenti dietro agli occhi e attendevano il momento opportuno per esplodere. Non era decisamente la situazione in cui aveva pensato di trovarsi quel mattino. Se qualche maga o ciarlatana glielo avesse predetto il giorno prima bussando alla porta di casa l’avrebbe risa in faccia superba e sicura di sé.
Sbuffando nervosa decise che era venuto il momento di tornarsene a casa ad affrontare i genitori apprensivi per l’esito dell’esame.
Ma il destino le aveva riservato ulteriori sorprese. Il conto aperto con la sfortuna andava ancora riscosso totalmente.
In mezzo a giubbotti alla moda e jeans a vita bassa si era materializzata la figura rubiconda e pasciuta di Maria, la pettegola vicina di casa. Una presenza che la perseguitava dalle scuole medie. Una costante maligna e parassitaria che infestava da anni la sua breve esistenza.
Venne colta dal panico.
Una vertigine spaventosa la partì dalla base delle testa percorrendo tutta la schiena lasciandola tremante e inerme.
Era la fine. Maria era a conoscenza del fatto che lei aveva esame quel mattino. Le sarebbe bastato osservare le sue reazioni per fare 1+1 e il gioco era fatto.
Miriam la detestava sin dentro le viscere più nascoste del corpo. Sapeva benissimo che la grassona andava a nozze con le sventure altrui.
Un giorno scorgendola dalla finestra della sua stanzetta mentre conversava in strada da un’ora abbondante con una signora di mezz’età pettegola e inciuciona almeno quanto lei, aveva raggiunto la conclusione che Maria non si nutriva con avidità solo di cibo ma anche degli episodi sfortunati della vita di chi aveva la sfortuna di conoscerla. La sua miss traboccava di cellulite e cattiveria insieme.
Ora ne aveva la certezza. Rischiava di finire nei discorsi della vicina per le prossime settimane. Frasi tipo “ Sapete Miriam è stata bocciata l’altro giorno… Sì, sì è vero, ve lo assicuro ero presente… E pensare che la mamma dice che all’università prende tutti trenta, solo bugie…non è brava come vuol far credere…” l’avrebbero colpita alle spalle senza alcuna pietà.
Non doveva incontrarla. Sarebbe stata la rovina finale.
Tormentata dalla fretta e dal timore decise che il bagno delle donne sarebbe stato un nascondiglio perfetto. E poi aveva anche un leggero bisogno quindi…
Con passo da gazzella si avviò verso la porta arancione su cui una targhetta rettangolare riportava una figura femminile stilizzata. Pochi passi ancora e sarebbe stata salva. Ancora qualche falcata e il suo segreto sarebbe rimasto inviolato.
Ormai era davanti la porta. Con uno scatto schizofrenico la spalancò ma l’illusione della salvezza si sgretolò in mille piccoli pezzi. Un’addetta alle pulizie le indicò con tono aspro ed esasperato che il pavimento era stato lavato da poco e doveva andare nell’altro bagno di facoltà.
Ora era fritta. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo e lo capì ancor di più quando le sue orecchie captarono la sua sentenza di morte sottoforma di un saluto cortese e gentile: “ Ciao Miriam, che piacere incontrarti”.
“PORCACCIA MISERIA” – I pensieri possono urlare? Quelli di Miriam lo stavano facendo.
Si girò lentamente come per affrontare un ladro che sta per rapinarti col coltello puntato dietro le scapole: “ Ciao Maria, scusami non ti avevo vista”.
“ Ah sì? Pensavo il contrario”- la ragazzona sprigionò subito tutta la sua acida ironia – “ Che fai di bello? ” – gli occhi si socchiusero con tono indagatore.
“ Niente! ” – disse Miriam – “ Stavo pensando di prendere l’autobus e tornare a casa”.
“ Ma non avevi esame oggi? ” – rispose prontamente Maria – “ me lo hai detto l’altro giorno, non ricordi? ”
“MALEDETTA LA MIA LINGUA” – pensò con odio la bionda – “ DOVEVO STARMENE ZITTA E INVECE…”. Quindi fingendo un sorriso d’orgoglio da attrice consumata proferì la fatidica frase: “ L’ho preso! E’andato benissimo”.
“MERAVIGLIOSO!!! ” – la ragazzona sembrava realmente felice cosa che colse di sorpresa Miriam- “Speravo tanto che tu lo prendessi perché ho bisogno del tuo libro e proprio in questi giorni avevo intenzione di chiedertelo. Se tutto và bene io lo faccio tra due mesi”.
La biondina non si sentiva più i vestiti addosso. Era ormai nuda con le sue menzogne e la disperazione che cresceva minuto dopo minuto.
Tentò una vana difesa: “ Io…beh…ci tengo molto ai miei libri…non so…”
“ Dai non te li rovino, te lo prometto. Anzi visto che ci troviamo ti faccio anche un’altra richiesta. Desidero che mi aiuti con questo esame. Perché non vieni domani a casa mia così mi parli un po’ delle domande che ti hanno fatto, della commissione d’esame e del programma di studio. Te ne sarei veramente grata. NON DIRMI DI NO, TI PREGO! ”
Era uno scherzo, non poteva essere vero. Quella trappola diabolica in cui era finita come un leprotto innocente non poteva essere reale. Era una Candid Camera di sicuro. Ma non vedeva in giro né il cameraman né l’uomo sorridente che l’avrebbe rassicurata che il tutto era solo uno scherzo ai suoi danni.
“ Miriam, Miriam, ti senti bene? Hai un viso così pallido. Questo mattinata ti ha distrutto. Sembri uno zombie. Vai a casa è meglio. Facciamo in questo modo: vengo io da te domani pomeriggio ok? Passo per le cinque. Ora però devo andare. Ho un sacco di cose da fare. Ciao cara, e auguri ancora per l’esame”
Maria come un ciclone fatto di carne aveva portato scompiglio e disordine nella vita di un’altra ragazza e ora era scomparsa nel corridoio intasato di gente.
“ No…no… aspetta…Maria…io non posso…” – la testa di Miriam era un mappamondo che girava vorticosamente. Tentò ancora di chiamarla ma ormai era tutto vano. La ragazza obesa si era dileguata dietro un angolo poco lontano lasciandola insieme ad un mostro orrendo e implacabile: il senso di colpa.
I pensieri si liberarono frenetici nella mente fin troppo labile e depressa: “ E ora? Sono spacciata. Che le dico domani? La verità no di certo. Ma se non gliela dico come farò l’esame tra due mesi? È impossibile che non mi noti quel giorno in aula. Sono finita, finita! Tutto il vicinato saprà che dico bugie sugli esami. Che non sono brava come dicono i miei. Che vergogna sarà per loro…”.
Come un’automa senz’anima aprì nuovamente la porta del bagno. La vista era altrove, persa in un futuro fatto di derisione e sospetto.
Ad un tratto il piede destro partì in una corsa solitaria mentre il sinistro rimaneva fermo sulla linea di partenza. In un lasso di tempo velocissimo riuscì ad effettuare una spaccata degna di una ginnasta di professione per poi crollare con tutto il proprio peso sul pavimento viscido.
Era completamente distesa per terra ammirando la bianca lucentezza del soffitto.
“Chissà, forse è il paradiso quello che vedo…” rifletté Miriam confusa e persa nella sventura delle sue azioni.
Poi il cielo paradisiaco scomparve e tutto lo spazio della visuale fu occupato da un viso pieno di rughe che ridendo con un singhiozzo irrefrenabile le rivolse una frase che avrebbe ricordato a lungo: “Signorina le avevo detto che il pavimento era bagnato”.
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0 recensioni:
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Anonimo il 26/03/2011 21:00
è stato bello leggerti, passavo tra i racconti per caso e ho cominciato a leggere... senza poter evitare di arrivare alla fine! molto coinvolgente
- che fine hai fatto?
- Ciao Robina
Grazie per il commento e la lettura.
La vita universitaria, come ben dici, è piena di imprevisti, sofferenze ed attese.
Sul dopo università, beh, meglio non parlarne.
Ci si potrebbe scrivere un libro.
Il baronato di certi prof universiatri è reale e avvilente.
Anch'io sono passato sotto certe "forche gaudine" di gente che non sapea nulla e si atteggiava a docente.
Hai tutta la mia approvazione.
Grazie mille per i complimenti. Graditissimi.
A Presto.
Anonimo il 05/03/2009 18:13
La cosa più triste è che dopo tante sofferenze e umiliazioni, tremori del cuore e poche soddisfazioni, si prende la laurea e sembra il giorno più felice della vita, invece è solo l'inizio della disoccupazione. Certi professori dovrebbero avere più rispetto per l'essere umano che si trovano di fronte, ricordare di quando loro stessi erano esaminandi ma chissà... forse si tratta solo di vendetta verso le vessazioni subite.
Scritto bene ed in modo coinvolgente. R.
- Grazie di cuore Sophie.
È vero, sembra che l'università sia il fulcro di ogni sfortuna e a volte anche di una bella dose di sconforto.
Almeno io così la percepisco.
E il tuo commento e quello di altri mi stanno dando conferma che è un tema molto attuale.
Saluti
Anonimo il 26/02/2009 17:01
Certo che quando capitano quelle giornate no... sono proprio no!!!! E all'Università ne capitavano... ma non poche!!!! Bravissimo... splendida analisi e delizioso alla lettura...
- Ciao Maria.
Come stai?
Grazie mille per le lettura e il commento.
Lietissimo che ti sia divertita.
Del resto di fronte a quella che è l'università italiana ( che anch'io ho affrontato con esiti disastrosi come la mia protagonista) possiamo solo farci un bel mucchio di risate e scriverci storie come queste.
Un saluto grande.
- Mi rivedo nel racconto, negli anni di università, bocciata innumerevoli volte... e quando una cosa va storta inizia ad andare storto tutto... io prendevo meglio la sconfitta... Il tuo racconto mi ha divertita. L'ho iniziato per caso e mi ha coinvolta. Bravo
- Cara Rainalda
Sei sempre troppo gentile e buona verso i miei racconti.
Ti ringrazio tanto.
Mi sono ispirato semplicemente alla realtà dove i prof. vincono sempre e le vicine di casa pettegole non ti lasciano mai in pace.
E poi dopo tutta questa miseria umana un finale ironico ci voleva altrimenti sembrava un racconto "triste" eh eh.
Un abbraccio
A Presto.
- Molto intrigante la tua storia. Speravo in una soluzione finale vincente per la protagonista. Poteva esserci un'eliminazione totale del prof. o della vicina. Ma questa sarebbe un'altra storia. Alla prossima. Bravo.
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