racconti » Racconti gialli » piadina a metri 100 (1a puntata)
piadina a metri 100 (1a puntata)
In un cielo sgombro dal Mito, protetto al di sotto di un pigro capannello di nembi, il falco pellegrino veleggia sfruttando colonne invisibili di aria calda. Come una piccola divinità veglia indifferente la lunga riga grigia, generata dallo stilo di Emilio Lepido, che da Mediolanum passando da Bononia giunge sull’Adriatico.
Quella Domenica calda di una Estate calda il mondo va in ferie.
Il caporedattore di un news di internet difficilmente può permettersi una lunga vacanza estiva, tanto più lui l’ “indistruttibile” Bartoli, detto dai colleghi della redazione “Bartok” per i suoi modi rapidi ed essenziali di gestire le notizie che giornalmente deve metabolizzare per la ”rete”.
Nel capace bagagliaio della station-wagon, in un angolo, tra le valige, sta in paziente attesa, ben imborsato, un potente computer portatile dotato di modem e di tutte le periferiche necessarie; tre telefoni cellulari lo minacciano dall’interno del cassetto nel cruscotto dell’auto e un fortissimo senso di efficenza lo pervade rendendo il giornalista fastidiosamente ansioso.
La tensione gli conferisce una parziale immunità al senso di claustrofobia dovuto al suo stare immobile in fila tra le altre migliaia di forzati dell’estate in riviera costretti al tradizionale rito iniziatico delle code in auto, colorate, massicce, nauseabonde per i gas di scarico e deformate dalla spessa aria calda d’Agosto.
Per uno come lui votato alla rapida semplicità delle cose, il lavoro costituisce una dimensione naturale ben diversa dal “quasi matrimonio” con Louise, dal “quasi rapporto” con Francesca e le incerte avventure da pub, cercate come terapia distensiva. Certo è per ciò che la sua solitudine lo rende vagamente pago, senza alcuna pulsione o bisogno particolare.
Fermo con il climatizzatore al massimo freddo, un buon CD di John Coltrane nello stereo, guarda con distacco decrescente al di fuori dell’abitacolo dove al di sopra di magliette griffate da caimani, cavalli rampanti, allori e vari simboli misteriosi stanno teste occhialute con volti marcati da disillusa ferocia o da un’espressione avvilita e stanca, che l’abbronzatura non riesce a nascondere.
Superando il distacco iniziale si sorprende a pensare alla casistica delle relazioni che coinvolgono quelle persone, tutti i fatti, i pensieri, i drammi... i rancori, e via immaginando: pensieri segreti, le forme dell’Io... Raggiunto un livello dove il suo divagare ha perduto un qualsiasi riferimento, ha un senso di vertigine e fame.
Provvidenzialmente vicino al segnale “Rimini km. 4", in seguito ad un breve avanzamento della colonna, compare un cartello bianco con la scritta rossa “piadina a metri 100".
Come un panno detergente il messaggio azzera tutti i pensieri e gli umori, ed un sentimento di bonario appagamento lo pervade.
Tutto apparve semplice e genuino, come il volto cordiale della “sdora” che con instancabile efficenza prepara le grosse particole ingorde di prosciutto e fontina.
Da lì a poco il paradiso.
La Grande Rimini estiva ha i numeri e le percezioni di una capitale ma non ne ha gli squallori, dove altrove le periferie sono mestizia e a volte miseria lì, nella “felice”, tutto è gaudio e promessa.
È il luogo dove buona parte delle popolazioni europee, nell’età giovanile, ha esercitato l’innamoramento, la sessualità e, a volte, la continuità della specie.
Nel suo periodo classico, gli anni sessanta, si sono avuti mitici bagnini dalle prestanze quasi divine, responsabili di aver turbato il sonno a due o tre generazioni di travet e cummenda le cui mogli perdevano spesso e volentieri la retta via della dedizione famigliare per abbandonarsi alle arti amatorie degli eroi del pattino resi eburnei e odorosi dal generoso sole romagnolo.
Il fenomeno era tale e tanto da poter dire che lì se il sale lo metteva il mare il pepe e il peperoncino lo metteva lei: “Rimini”.
Bartok dopo ore di coda ed intoppi d’ogni genere è giunto in vista del Grand Hotel, la sua espressione si distestende progressivamente mentre si ferma dinnanzi al sontuoso e storico ingresso e affida le vettura e le valigie al personale in divisa bordeaux.
Entra col naso all’in sù estasiato come un bambino, firma i documenti alla reception con impazienza gioiosa. Sale nella suite con vista a mare, si cambia indossando una vistosa camicia hawaiana a fiori, un paio di bermuda rossi ed incurante del sole ormai all’imbrunire, ridiscende nella hall e con baldanza prende la via della spiaggia.
Nel medesimo tempo, a dieci file di ombrelloni di distanza, una figura leggera lascia eleganti impronte sulla sabbia scura del bagna-asciuga.
Raccolta in se stessa, il volto velato da una espressione pensosa che da un maggior risalto agli occhi grandi e di un bel nocciola, illuminata dal sole al tramonto, complice il Grecale che gioca, gentile, con i suoi lunghi capelli castani, Rita, appare come una figura pagana nel paesaggio di ombrelloni chiusi, di sdrai inospitali, di piccole conchiglie rosa e bianche, di acque tranquille.
Scarica la sua frustrazione per un programma disatteso, un viaggio-festa progettato con le due “amiche”(bastarde) più “care” (serpi) per festeggiare l’esame di Laurea in Medicina passato brillantemente, tanto da mettere a disagio la Commissione travolta dalla sua veemente ed intelligente preparazione.
“Cinzi”(Cinzia) le aveva spedito un SMS agghindato da musichette e disegnini dove le diceva di essere “dispiaciutissima” ma che con “Mizi”(Maurizia) avevano avuto un contrattempo, e che insomma... sai com’è... a volte va così..., erano finite ad Ibiza con un paio di studenti spagnoli fuoricorso, così carini, ma così carini... perciò invece del treno Bologna- Rimini avevano preso il volo per le Baleari.
Lo stato d’animo della novella dottoressa è rappresentabile con un bel fiore vermiglio in un deserto sconvolto dal Ghibli; il bel fiore effigia la gioia della sua nuova condizione di laureata, con tutte le promesse derivate; il deserto da il senso di melanconia dell’abbandono di una fase di vita ed il vento tutta la rabbia per quelle due “vipere” e per se stessa distratta nei rapporti personali per l’ottusa e maniacale dedizione agli studi.
Nel momento che ha deciso di reagire facendo leva sulla sua forza di carattere e, perché no!?, usando un poco di follia che la riscatti, vede la sua panacea in due spalle robuste ed eleganti, in un profilo volitivo sotto una chioma corvina e due potenti glutei tra il torso muscoloso e le gambe atletiche.
Mentre decide come avvicinare il bel bagnino si rende conto di essere all’altezza del Grand Hotel, consapevolezza che le risveglia il senso ineffabile della vacanza, così sollecitata si risolve a ricorrere alla consueta scusa della richiesta d’informazione; tosto inalberato il Gran Pavese, come una bella nave corsara, fa rotta con decisione verso la preda designata.
L’oggetto di tanta attenzione è un giovane uomo medio-alto, prestante, capelli neri ed occhi cerulei, il volto esprime intensità e vigore.
Già il suo nome evoca una remota nobiltà toscana e ne svela così l’origine aretina.
Duccio Farneti è un uomo “etico” dominato da una pulsione esistenziale che lo sospinge a una ricerca costante dell’ “essenziale” inteso non come sintesi ma come vera “essenza”, sembra cercare il sublime disegno dell’esistere con l’intimo desiderio di divenirne l’architetto.
L’ansia della ricerca gli aveva fatto fare le scelte di vita più incoerenti che lo avevano portato a frequentare la Facoltà di Filosofia a Firenze; ad imbarcarsi su una porta-container come marinaio; al momento della Leva, aveva scelto di entrare nel corpo dei Parà della Folgore, non contento aveva rinnovato la ferma per un biennio nell’arma dei Carabinieri, e viste le sue caratteristiche era stato selezionato per un reparto investigativo speciale nel quale si era distinto per efficenza ed intelligenza, scaduto il periodo si era iscritto alla Facoltà di Legge di Bologna ed ora era li a Rimini come bagnino-guardia di sicurezza del Grand Hotel per la stagione estiva.
La vita affettiva non sfugge alla dimensione etica di Duccio inibendo la passione nelle poche “storie di sesso” nella aspettativa di una rivelazione, cercata con il distacco dell’intellettuale.
Quella mattina, una presenza nella Hall dell’hotel aveva acceso in lui un non so che fuoco nel petto, emozione inedita che spiazzava la sua logica e vigile razionalità, condizione che non gli dispiaceva affatto, al punto che per tutto il giorno aveva fatto in modo di non perdere di vista la misteriosa turista bionda, tra il miele e l’oro, la pelle chiara appena ambrata, vestita con eleganza seducente, il bel volto ornato da sensuali zigomi pieni, una bocca femminea oltre ogni dubbio, gli occhi nascosti da grandi occhiali da sole che ne accrescevano l’aura di mistero. Provava un’ebrezza ansiosa mista ad un senso contrastato di gioia inappagata, che fosse amore?
Nel muoversi verso gli ascensori gli era passata accanto tanto da percepirle l’aroma caldo e dolce, e, si era convinto, da dietro gli occhiali lei lo aveva guardato e valutato.
Giacomo, il Métre, gli aveva rivelato che era di cittadinanza russa, si chiamava Olga Karevick originaria di San Pietroburgo, ventinove anni, femmina... Aveva osservato i suoi movimenti, a colazione la mattina, a pranzo, sempre sola e protetta dai grandi occhiali da sole che non aveva tolto nemmeno quando si era recata in spiaggia, esibendo un “due pezzi” bianco di Valentino in coordinato con due eleganti sandali alti, si era accomodata in un ombrellone in terza fila su un lettino. Aveva ordinato un’acqua brillante con woodka e ghiaccio, poi con femminile eleganza si era cosparsa il corpo con latte solare e con attenzione si era massaggiata, per poi sdraiarsi, elegante e morbida, per un bagno di sole. Ora, a sera, con la spiaggia deserta, si rende conto che lei sola è rimasta al suo posto. Stupito, perplesso ed emozionato per la possibilità di stabilire un contatto con la bella dormiente, si avvia verso di lei, giuntole appresso e pensandola addormentata si china per svegliarla.
-”No! No! Non toccarla! ... non la tocchi, ca... o!, non la tocchi! ”-
Una mano delicata ma decisa gli trattiene il braccio. Si volta sorpreso ad incontrare gli occhi preoccupati di Rita.
-”La pelle è velenosa, cianuro, non la tocchi; senti l’odore di mandorla e vedi i pori rossi della pelle? ”-
“Che succede? Serve aiuto? ” La voce tenorile di ”Bartok” è risuonata vicina.
Come una grossa falena sgargiante attirata dalla fiamma si era diretto sulla siluette di Rita.
Sul palcoscenico improbabile della spiaggia, all’imbrunire, con l’unico pubblico dei gabbiani e dei merli, gli attori inconsapevoli che si sono costituiti in compagnia sotto la regia di Eros, davanti all’immota bellezza sdraiata, sperimentandono un disagio imprevisto.
Le tre personalità a contatto hanno prodotto un circuito inedito generante un senso di complicità.
Si sono guardati per alcuni intensi secondi.
Duccio, forte del suo senso di responsabilità, per primo rompe il silenzio rivolgendosi a Rita:
“Tu cosa sei? Un dottore? mi sembri troppo giovane... ” .
Lei prima tentennando poi con energia ribadisce di si che è vero di essere fresca di Laurea, giusto il giorno prima, ma che lei è stata la migliore in assoluto del suo corso.
Mentre parla il suo volto esprime una forte energia.
Bartok ancora sospeso tra ilarità e stupore incredulo sbotta: “... ma... è.. morta..? ”
“Certo” incide Rita”certo e se mi fate arrivare ad una cassetta di pronto soccorso ve lo faccio vedere come! ”
Duccio rivoge la sua durezza verso Bartok chiedendogli chi diavolo fosse, e l’uomo fiorito reagisce con prontezza e professionalità: “Press”poi di rincalzo”stampa! Per Dio! ”
L’ex carabiniere lo soppesa da prima con una espressione severa, muta l’ umore da teso a bonario.
“Che razza di squadra! ” sbotta con fatuo sconcerto”la squadra del Quasi, dell’ Ex e... del Fante di Fiori! ”
Vita e morte, due ganci estremi che reggono un filo sul quale come funamboli ci troviamo spesso in bilico a rappresentare uno spettacolo per altri funamboli che come noi, in equilibrio, guardano e sono guardati. Un eterno paradosso che non manca di ironia e di goffaggine, tanto che spesso non siamo in grado di porre il nostro stato d’animo in conseguenza agli eventi che ci coinvolgono.
Rapida ed efficente Rita, dopo una breve ricerca, trovata la cassetta del pronto soccorso nel bar di spiaggia del Grand Hotel, indossando guanti chirurgici, armeggiato con bottigliette ed imbevuto del cotone con i liquidi che contenevano, aveva deterso il dorso della mano della donna sdraiata, e attesi pochi secondi, sfruttando l’ultima luce del giorno, aveva osservato il cotone imbrunirsi con una sfumatura verdognola, brandito un accendino, incendiato il batuffolo ed osservando con attenzione la fiamma che ne scaturisce un sorriso soddisfatto gli illumina il viso.
“Che vi dicevo? È cianuro! Qualcuno le ha venduto una crema solare velenosa; diabolico... diabolico... e geniale! ”. Nel contempo Bartok aveva estratto da una tasca un palmare con videocamera e fotografata l’assassinata ne stava controllando l’identità via intranet su una sua banca dati con collegamento iper-testuale a qualche milione di links..
Così incalzato Duccio non ha avuto il tempo di fare il punto.
Che altro! Se non di trovarsi sulla scena di un delitto e che lui, propio lui, non si era deciso a comunicare con il comando Carabinieri agli ordini del suo ex commilitone, ma ancora fraterno amico, Capitano Ruggeri Antonio che tutti coloro che lo conoscevano chiamavano “orso” per il modo potente con cui mostrava il suo disappunto.
“Fermi tutti! Ora chiamo le forze dell’ordine, non toccate più nulla! ” Con la determinazione di chi comanda Duccio prende il controllo della situazione, o almeno lo crede, infatti nel mentre telefonava all’Arma col cellulare, non aveva potuto evitare che l’impaziente Bartok, con l’uso di una sua ciabatta, sollevasse un lembo della borsa da spiaggia di Olga, collocata sul tavolinetto di bambù sotto l’ombrellone, e ne fotografasse l’interno con l’ausilio del flash.
Al tentativo di Duccio di aggredire verbalmente Bartok quest’ultimo aveva opposto un “non c’è! ” che ne aveva congelato l’ira;
“non c’è cosa? ”
Con misurata gravità Bartok risponde:
“L’arma del delitto! Non c’è nessun flacone, nessun tubetto o barattolo”
Duccio sbiancato in volto e presa la radio portatile chiama il Métre, ma a sorpresa questi lo anticipa:
“Duccio c’è del casino qui in reception, qualche bastardo è entrato nel tuo ufficio e ha manomesso il registratore della video sorveglianza”.
Nel momento che il canale si libera la radio si sintonizza su quella del concitato Direttore “Farneti, Farneti sono Rossi il Direttore venga in Hotel è ... è stato ucciso qualcuno”
Con involontaria ironia Duccio deve rispondere “Anche qui! ”.
Riattivato il telefonino, questa volta compone il numero diretto del Capitano Ruggeri. ”Antonio? Ciao sono Duccio vola al Grand Hotel che va in scena qualcosa di indecifrabile, e i morti pare siano due... ” Poi folgorato da un pensiero chiude la comunicazione, si rivolge a Bartok e Rita con la raccomandazione di non toccare più nulla. I due lo guardano ed annuiscono con l’espressione più rassicurante possibile.
Duccio decide a fidarsi e corre verso l’Hotel con in testa il pensiero della camera di Olga, lì ne era certo avrebbe scoperto altro di cui meravigliarsi.
Nella Hall si trova dinnanzi il Direttore in preda ad una grande agitazione
“Che scandalo, che scandalo non era mai accaduto; Farneti la prego cerchi di contenere i danni e mi segua “ Lo scorta in un corridoio di servizio dietro gli ascensori e li in un vano tecnico un uomo di carnagione chiara capelli quasi albini piuttosto alto con una tuta da manutentore giace in una posa contratta appoggiato in modo innaturale alla parete con il petto e dal bacino in giù a terra come se la schiena si fosse spezzata.
“Direttore chiuda a chiave ed aspetti, i Carabinieri stanno arrivando”
Detto ciò si volta e lasciando lo sconfortato direttore a guardia della scena del delitto n. 2 si precipita all’attico all’appartamento che era stato della bella Russa.
Che qualcosa di strano la stanza n. 304"vista mare” contiene se ne è già accorto all’uscita dell’ascensore; le gambe velate da calze nere di Rosella, la cameriera di piano, sporgono nel corridoio dalla porta accostata su di lei, sdraiata prona, immobile con il particolare inquietante degli zoccoli abbandonati caoticamente sulla moquette del corridoio.
Prova un gran pena per la giovane donna dovendo scavalcarla per accedere alla suite. Entrato nella 304 si era immaginato di trovarla a soqquadro, al contrario, gli si presenta in ordine accurato.
La sua attenzione è presa da un’anta socchiusa di un armadio del quale ne intuisce la vuotezza. Mentre si rende conto dell’assenza di un qualsiasi bagaglio e verifica l’armadio, un sospetto ansioso lo sprona a riprendere la radio e chiamare il Mètre “Giacomo! Lascia tutto e schizza in spiaggia! Dai una mano all’uomo e alla donna vicino al lettino della russa! Mi raccomando la pistola. Tira brutta aria! Vai! ”
Con ansia crescente, chiusa la comunicazione con la radio, ricompone il numero di “Orso” nel mentre, dall’esterno le “discrete” sirene delle volanti risuonano sotto le palme del cortile d’ingresso del Grand Hotel e l’azzurro sotto forma di luci rotanti e divise estive determina un nuovo paesaggio, incomprensibile agli occhi degli ospiti della prestigiosa struttura riminese.
Orso risponde al primo squillo:
“che c’è? ” con voce simile all’annuncio di temporale, Duccio per nulla intimidito gli risponde a tono:
“zuccone ascoltami con la morta in spiaggia ci sono tre persone che mi stanno aiutando e sono in pericolo immediato manda almeno due carabinieri pronti a tutto. ” attende che il capitano impartisca l’ordine poi riprende:
“manda un milite dietro gli ascensori dove troverà il secondo cadavere guardato dal direttore, poi due uomini qui all’attico appartamento 304 dove giace il terzo corpo e circonda l’edificio, impedisci a chiunque di entrare ed uscire... ”all’altro apparecchio sente impartire gli ordini con un ruggito, lo stesso che rivolto a lui aumenta d’intensità
“ma cosa diavolo... tre morti, dico tre morti... poi mi spieghi come faccio a circondare il casermone non dispongo di un reggimento... ”.
Improvvise secche raffiche di mitraglietta, colpi di pistola, più severe raffiche di mitra militare e bagliori dalla spiaggia interrompono il dialogo tra i due amici.
Duccio ha avuto conferma dei suoi sospetti.
Rita e Bartok, soli sulla scena del delitto, non avevano avuto alcun ritegno a curiosare e qualche risultato ne era derivato nonostante il buio ormai sceso sulla spiaggia. Nella mano di Olga, quella non detersa da Rita, stava un biglietto piegato più volte, come se si volesse nasconderlo in un doppio fondo di medaglione o d’orologio. Rita, con le mani protette dai guanti, si era incaricata di rimuoverlo mentre Bartok le illuminava la scena con una potente piccola torcia elettrica sbucata da chi sa dove. Bartok, poco prima, dopo aver visionato la foto fatta all’interno della borsa di Olga, aveva individuato un biglietto aereo delle aviolinee rumene A. R., e ghiotta preda, una agendina. Adottando tutte le precauzioni del caso l’ingegnoso Bartok si era impossessato dei due oggetti, senza sconvolgere l’aspetto delle cose. Nel mentre erano così impegnati l’arrivo di Giacomo, il Mètre, armato di pistola e con un’espressione greve e preoccupata, li aveva fatti sobbalzare.
“Amico, sono dei buoni, mi manda la sicurezza, cioè Duccio”
poi accortosi di Rita
”Caspita! è una festa. ”
aveva abbozzato un sorriso
“Fate i bravi! Spegnete tutto”
Comunque il tempo di dare un’occhiata al bel corpo di Olga e di commentarlo con un “Peccato! ” Lo aveva trovato.
“Tenetevi in guardia” Li aveva apostrofati” Duccio teme che possa accadere ancora qualcosa di serio”
Si erano seduti al riparo del lettino a fianco, in silenzio e protetti dal buio avevano il fiato sospeso e con piacere si erano resi conto dell’arrivo dei carabinieri, dalle sirene e dalle luci bluette presenti al di là del pomposo corpo di fabbrica Del Grand Hotel.
Tutto si era svolto con una sequenza di azioni fulminee e di accadimenti repentini. Un ronzio acuto, in avvicinamento, proveniente dal mare aveva attirato la loro attenzione. “Forse è un gommone senza luci di turisti pescatori”
Nelle parole di Giacomo una vena di tensione ne aveva falsato l’apparente tranquillità. Le sue mani si erano strette attorno al revolver mostrando quanto fosse pronto ad usarlo. Rita aveva dato un pugno gentile alla spalla di Bartok e uno più urgente al Mètre.
“È un gommone e, mi sembra, con a bordo tre o quattro persone. ”
Rita si era abbassata in modo da sfruttare il leggero chiarore di un corteo di barche illuminate a festa che passavano al largo.
”Ohi mama! Ma sono armati! ”
Gli uomini, di cui uno di particolare imponenza, erano tre ed armati di corte mitragliette, vestiti di con tute nere simili a fantasmi, spiaggiato il gommone ne erano scesi rapidamente in silenzio mostrando grande efficenza e si erano diretti con sicurezza, nonostante il buio, dove giaceva il cadavere prezioso.
Giunti nei pressi erano stati sorpresi da una luce pungente provenire da una finestra del gazebo del bagno di spiaggia. Il più minuto e nervoso dei tre fulmineamente aveva armato la mitraglietta ed aveva esploso una raffica che aveva fatto molte vittime tra le bottiglie del bar mandando in frantumi vetri e legni. Nel mentre, con grande e coraggiosa incoscienza, Giacomo era sbucato dal suo riparo urlando di tensione ed aveva fatto fuoco due volte, ma la concitazione non aveva favorito la precisione del tiro. L’uomo dei tre più prestante, estratto una lama l’aveva scagliata verso l’eroico Giacomo, che colpito era caduto malamente su Bartok il quale brandiva ancora la torcia elettrica che aveva usato per distrarre il commando.
Nel momento peggiore, quando i tre figuri si facevano avanti, due carabinieri, provvidenziali come due arcangeli moderni, spianando mitra dotati di torce elettriche, erano entrati in scena facendo fuoco con determinazione verso gli assalitori, questi, vista l’impossibilità di portare a termine la missione, si erano dileguati nel buio della spiaggia.
12345678
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0