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La storia di Tom
Successe quasi un anno fa, ma da allora non mi sono ancora ripreso del tutto. È stata dura, tremendamente dura, e talvolta ho ancora paura di non riuscire a farcela ad andare avanti.
Non sono il primo a cui è capitato di perdere un amico; ma nel mio caso non uso la parola “amico” a sproposito. So cosa intendo per amicizia, e non si tratta di semplice conoscenza o simpatia. Io e Tom eravamo inseparabili. Lui era parte di me, io ero parte di lui. Era sempre pronto a darmi una mano, e altrettanto facevo io. A parte tutto il contesto che ha riguardato la sua scomparsa, perderlo è stato veramente un duro colpo. Senza di lui mi sentivo solo, perso, quasi inutile; come ora, del resto.
Ma la caratteristica principale della mia storia è un’altra, quindi è inutile che continui a parlare di Tom e del fatto che mi manchi tremendamente. Comincerei invece a parlarvi di com’era la nostra vita prima che successe… Non so nemmeno come definirlo. Una tragedia forse… Ma non credo che sia il termine adatto. Comunque, come ho già detto, eravamo amici per la pelle, e questa era una cosa che si notava. Decisamente. A scuola i professori finivano sempre per metterci ai due angoli della classe, per evitare di trascorrere le lezioni con le risate dei compagni in sottofondo. Ogni contesto, ogni parola poteva essere origine di risate e divertimento. Non esagero se dico che eravamo i buffoni della classe. Ma non dei buffoni qualsiasi: facevamo veramente ridere, talvolta i nostri compagni ci chiedevano da dove trovavamo l’ispirazione per certe trovate. Avevamo addirittura scritto un libro, una raccolta di tutti i nostri racconti e delle nostre storie a fumetti: racconti assurdi, che facevano piegare in due dal ridere chi li leggeva. Io li sapevo a memoria, anche perché metà di essi erano stati scritti da me, ma dovevo ugualmente fermarmi ogni due righe poiché mi venivano le lacrime agli occhi. Ora invece quegli stessi racconti non mi fanno nemmeno sorridere. Niente mi fa più sorridere. Non rido più – se non erro – da undici mesi e quattro giorni. Non un risolino, o un semplice sorriso. Sono diventato di ghiaccio. Piango, mi arrabbio, provo tutte le sensazioni di questo mondo, ma non riesco più a ridere.
Il fatto che io non rida mai è molto interessante. Lo faccio perché sono io a non voler ridere, oppure proprio non ne sono più capace? Ebbene, a questa domanda non riesco a rispondere nemmeno io… Se vedo una scena buffa, o sono felice, sento le risate dentro alla mia testa, ma la mia espressione rimane impassibile. Potete chiedere a chiunque: da un anno a questa parte la mia bocca non si è mai inarcata a formare il minimo cenno di sorriso. Tuttavia penso che non sia un problema legato al trauma; o, per meglio dire, lo è, ma non nel modo in cui viene naturale credere. Dentro di me vorrei ridere. Ma non lo faccio perché ho paura. Qualcosa di simile all’istinto di sopravvivenza. Anche se sono fermamente convinto che una risata mi farebbe più che bene, inconsciamente vedo nella risata il pericolo.
Se il problema fosse solamente la mia (apparente) perpetua serietà, chi non mi conosce o non mi ha mai visto non noterebbe nulla di strano in me. Il problema è ben più complesso: quando vedo una coppia camminare felicemente per le vie del centro… Beh, scatta qualcosa dentro di me, e non riesco a trattenermi. Non posso reprimere quella orribile sensazione di disagio che mi provoca la visione di una persona che ride, come non posso prevedere le conseguenze che essa può provocare: crisi isteriche di pianto, scoppi d’ira, e chi più ne h più ne metta. Per questo vivo praticamente segregato in casa, e chi viene a farmi visita non mi sorride mai. Per evitare che ciò accada ho tolto tutti i quadri o gli oggetti che possono sembrare divertenti o comunque suscitare sorriso; questo non per me, ovviamente, ma per salvaguardare coloro che vengono a trovarmi, i quali potrebbero ritrovarsi un pazzo isterico che cerca di fargli del male, solo per aver accennato una risata.
Avrete dunque capito che ultimamente la mia vita non è particolarmente allegra, e il ricordo di Tom non contribuisce certo a farmi sentire meglio. Se ci penso trovo incredibile l’improvviso cambiamento che ha sconvolto la mia vita: prima ero spensierato, allegro, ridevo per ogni cosa, spesso a sproposito… E da un giorno all’altro mi sono ritrovato chiuso in casa, privo della possibilità di vedere le altre persone, circondato da un alone di tristezza.
Dunque ora conoscete – a grandi linee – la mia situazione, quindi direi che è arrivato il momento di smetterla di trattenervi inutilmente e di raccontarvi la incredibile vicenda che ha portato a tutto questo. Per evitare spiacevoli interruzioni vi darò una breve descrizione di alcuni particolari che riguardavano me e Tom, indispensabili per comprendere a fondo il mio punto di vista. Come ho già detto, i nostri professori a scuola ci dividevano e ci facevano sedere ai due angoli della classe. Sinceramente non credo che disturbassimo veramente, anche perché la maggior parte delle volte ridevamo sottovoce, ed eravamo appena percettibili. Sta di fatto che i professori erano stufi di vederci ridere tutti i giorni per tutta la durata delle lezioni, quindi venimmo spostati. Questo non ci impedì di trovare infiniti mezzi per comunicare durante le lezioni. Non pensate a strani mezzi come trasmittenti o auto radiocomandate, non arrivammo mai a questo punto (tranne una volta che portammo un filo con dei bicchieri fissati alle estremità); questo perché a noi bastava uno sguardo uno sguardo per intenderci… Stavamo leggendo un testo in tedesco e incontravamo una parola buffa? Un semplice sguardo, e scoppiavamo a ridere come degli idioti. Questo bastava a farci ridere.
Dunque era normale per me guardare in direzione di Tom e di vederlo ridere fissando il libro. Anche quel giorno di quasi un anno fa non mi stupii di vederlo ridacchiare tenendosi una mano davanti alla bocca, per non farsi vedere dall’insegnante. “Cosa c’è? ” chiesi io, solo muovendo le labbra (leggere il labiale era il metodo di comunicazione più efficace!). Lui fece cenno con la mano come per dire “niente, niente”, ma sempre tenendo l’altra alla bocca e continuando a ridere. Io lo guardai con aria curiosa; cercavo di immaginarmi quale fosse stata la frase o la parola che lo stesse facendo ridere, ma come più di una volta accadeva pensai che fosse stato qualcosa che avrebbe divertito solo lui, quindi per un po’ lo ignorai.
Quando però mi accorsi che dopo oltre un minuto stava ancora ridendo, più intensamente di prima, la mia curiosità si riaccese, e dopo aver attirato la sua attenzione, gli chiesi nuovamente cosa avesse da ridere tanto. Lui mi rispose con lo stesso gesto di prima, e continuò a ridere. Continuai a fissarlo, con la speranza di riuscire a cogliere la causa di tanta ilarità. Ipotizzai la complicità della sua compagna di banco, ma anche lei non riusciva a capire perché Tom ridesse tanto.
Insomma, non sto qui a raccontarvi per filo e per segno ogni particolare, sta di fatto che rise per oltre venti minuti senza farsi vedere dalla professoressa (ancora oggi stento a crederlo), senza interruzioni. E come passava il tempo aumentavano le sue risate, fino a quando tutta la classe se ne accorse, compresa l’insegnante. Un richiamo, poi un altro e un altro ancora. Tutto inutile, Tom continuava a ridere come un dannato. Anche la prof era un po’ stupita, e in principio cercò di capire anche lei cosa ci fosse di tanto divertente. Inizialmente ridevamo anche noi, vedendolo sganasciare in quel modo, soprattutto quando cadde dalla sedia tenendosi la pancia, rosso in volto e con le lacrime agli occhi. Smettemmo quando iniziò a mancargli il respiro, come accade quando si ride troppo. Ma normalmente quando si arriva al quel punto si smette, ci si asciuga le lacrime agli occhi, e si continua a ridacchiare. In quel caso no. Continuò a ridere sempre di più, fino a quando, sotto ai nostri occhi, smise di respirare. Talvolta i sensi di colpa mi attanagliano, anche se so che non avrei mai potuto fare niente.
Vennero fatte delle analisi, com’era giusto che fosse; per quel che ne so quello era la prima volta al mondo che una persona moriva dal ridere. Proprio così: Tom è morto dal ridere. È normale che questa affermazione risulti un po’ assurda, quasi divertente. Ma non per me. Spensierato e con la battuta sempre pronta, vidi morire il mio migliore amico in un modo assurdo. Solo una cosa riesce di tanto in tanto a tirarmi su di morale: il pensiero che Tom sia morto facendo la cosa che più gli piaceva, ridere.
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