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il signor Gianni
Fu così che un bel giorno al signor Gianni spuntarono le ali.
Già da un po’, in vero, più o meno dai primi giorni del mese, sorta di pruriti alle spalle lo tormentavano nell’addormentarsi.
“Sarà che siamo in Settimana santa e una lunga Quaresima pare che possa tirare questi scherzi”, pensò. E tanto basta agli uomini incauti per sottovalutare i sintomi. Disgraziatamente.
Aprile e maggio, è vero, sono mesi un bel po’ strambi; che finisce sfrigolando l’inverno, sputacchiando in mattine seratine ancora goccette d’acqua.
A maggio aprile, tanto per dirne una, non si sa come vestirmi.
Al povero nostro signor Gianni, tanto per dirne un’altra, in questo periodo gli attaccarono le ali.
Come fu e come non fu, non si sa; certo che, però, fu.
E non gli rimase che rassegnarsi alle belle piume bianche che parevano sete. Se non altro i pruriti erano scomparsi. Come ai bambini quando crescono i primi dentini bellini, di sopra e poi sotto.
“Cert’è che avere le ali” - pensò - “non è proprio come veder comparire i denti di latte”.
Minimo doveva farsene una ragione.
Solo agli inizi ebbe difficoltà; per non stropicciarle la notte, ad esempio; ma presto imparò a dormirci di lato con le bianche piume adagiate penzoloni sul letto.
Ma che fare di queste ali? Perché subito mica ci pensò neanche a provarle, che le ali, in genere, giovano a volare ma queste chi lo sa; e stava così, incerto, a guardarsele allo specchio.
Dopo un po’, però, la sera ci si metteva e chiudendo bene tutte le imposte (tanto le imposte aperte non le sopportava comunque) il signor Gianni passò dapprima da un capo all’altro della stanza, poi dallo studio al bagnetto, dallo studio alla stanza da notte, dallo studio in cucina, tutto senza poggiare i piedi in terra. In breve si convinse a salire in terrazzo, una gran notte, e da lì, volando, planò circospetto sul balcone di casa. Planò, non ruzzolò.
Insomma, era fuor di dubbio che il signor Gianni volava.
E volava volava, non è che sia accontentava, che so io, di svolazzare; no no, volava proprio, bello e contento; non come un’aquila, ma neanche come una strolaga o un cormorano. Cioè non era né goffo né troppo ergonomico ma si muoveva con grazia e movimenti giusti, come chi è avvezzo a volare ma non troppo e ne gusta il piacere senza risparmio di sorta.
Oh il signor Gianni! Avesse imparato da giovane certo non sarebbe stato uguale; avesse avuto per nascita e natura il destino alle ali ne avrebbe bruciato il godimento nell’età insana dell’adolescenza ed ora, che ha il suo bel tempo, sarebbe una pigra aquila e non un aquilotto.
Fortuna è che a volte le cose della giovinezza possono accadere nella maturità e subirne il gusto.
Fatto sta che a volare non ci si abituò, perché la sua non era età da nuove abitudini, e ogni volta sorvolare i campi da gioco, gli spiazzi, le ghiaie dei palazzi e casermoni (ovviamente allineati a fila) non era gioia ma era meglio; non era quella felicità che lungo tutta una vita si aspetta per gocce improvvise, ma era la vita stessa d’amore e negletta diffidenza che solo ci si immagina possedessero gli antichi popoli (i romani di Virgilio, i troiani di Enea, gli Ulisse, e dei porci i guardiani di Omero). (Avete presente il richiamo delle fragranze dei pani freschi e gli odori che in qualche parte dell’età adulta ad improvviso compaiono e comburono il cuore, lo frantumano e lo esplodono di calore?).
Il signor Gianni ha avuto la vita che ha avuto e qui non interessa; solo che mai – ho detto – per destino nascita o elezione poteva sospettare-immaginare che ad un tipo come lui sarebbe potuto toccare un simile imprevisto. Così imprevisto poi.
Avere le ali non è da tutti. È inutile specificarlo ma certe volte non guasta. Sono di quei fatti che accadono nei romanzi; meglio, sono quelle cose descritte in novellette racconti brevi per celia, da scrittori importanti. E il signor Gianni lo sapeva.
Certo che il nostro conduceva un’adagiata vita meschina-meschinella (qui ci sta un lieve accenno biografico) attento alle cure sanitarie, alle cure economiche, ad un parco utilizzo delle risorse sentimentali. Tanto per dirla tutta era un uomo comune/comunissimo, chiuso racchiuso e concluso.
Dicevo.
Il signor Gianni nonostante ciò sapeva bene, sentiva bene, che avere le ali era assolutamente un evento fuori dal normale. Se ne infischiava della miserevolezza della cosa e pensava che nonostante tutto valeva la pena di essere raccontata per brevi cenni, con brutte parole, solo come lui sapeva, perché almeno ne restasse traccia minima nei lunghi attimi della vecchiaia; soprattutto poi se un bel mattino si fosse risvegliato e le ali fossero sparite senza di lui. Prese quindi (come suol dirsi) carta e penna e cominciò il racconto più o meno con le stesse parole che mi è capitato di usare all’inizio. Usò, è ovvio, un bell’io narrante (non come me la terza persona) per accertarsi – ce n’era bisogno – che la cosa astrusa era capitata per davvero e per davvero proprio a lui.
Proprio a lui, al signor Gianni impiegato del Registro, non ad una bella fantasia.
Chiamò le cose con i loro bei nomi come solo sa fare chi un giorno si trova a volare con le ali, e le descrisse tanto bene, fu tanto poetico spontaneo incantevole che certo non ci sarebbe stato bisogno di questa mia brutta copia se al signor Gianni non fosse ben presto successo quel che gli successe.
Infatti in un bel giorno dolce di primavera la mammamalata lo mandò a chiamare (perchè il signor Gianni aveva una mamma che era una roccia tutta d’un pezzo e così s’era abituato a sentirla prima che gli anni intervenissero a demolirla pezzo per pezzo) e lui vi si recò così come potè al più presto, con le ali quindi volando; solo che piuttosto che atterrare sul balcone, che le imposte al solito erano chiuse, egli ritenne più decoroso adagiarsi, non visto, ad un angolo nascosto della via ed entrare come tutti gli umani dal portone, salire le scale d’ingresso, salutare il portiere, dirigersi in fretta all’ascensore e precipitarvisi dentro con la mente e il dito già pronti a schiacciare il “piano secondo”.
Solo che Gianni era troppo agitato, forse da giorni era già al di là dei sentimenti terreni, per accorgersi che la spia “presente” era accesa, che la maniglia fece lo scatto e girò ma la cabina con la sua provvidenziale piattaforma non erano al loro posto per condurlo dove egli con le ali sarebbe stato già.
Così fu che il signor Gianni venne giù veloce come una pietra poiché, è evidente, non è possibile che le ali di un angelo battano nell’imbuto di una tromba d’ascensore.
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