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Il sapore delle parole
- Mmm…!
Nina tirò fuori il pollice dalla bocca con aria compiaciuta. Un leggero schiocco soddisfatto, le confermò che l’impasto era degno di essere considerato il cavallo di battaglia delle sue creme al cucchiaio.
In viso le restò un’espressione da bimba soddisfatta e in bocca, un sapore di panna fresca, uova eccitate con lo zucchero raffinato e un retrogusto di smalto…
Per lei in cucina bisognava starci ben preparate, quasi come in compagnia di qualcuno.
Alcuni ruvidi granellini di zucchero restavano li, impertinenti, a solleticarle il palato mentre si spostava tra il tavolo di lavoro e i fornelli. Soffiando l’aria dal naso, sentiva chiaramente la persistenza della cannella…la favorita tra le sue spezie.
Un leggero movimento sulla destra e lo sportello del frigo cedette docile per accogliere la ciotola con quella mousse carezzata con cura dal basso verso l’alto, color caramello spruzzato sulla neve.
La mano sinistra scoperchiò la pentola e Nina fu investita da quell’odore che sapeva di inizio inverno, di camino e anche un po’ di solitudine.
Il vin brulè chiedeva ancora mezz’ora, ma quelle tre minuscole bacchette di chiodi di garofano, si agitavano tra bolle borbottanti quasi come ne fossero l’anima stessa.
Nel pomeriggio aveva deciso di comperare le quaglie gia pulite ma soprattutto, morte!
L’ultima volta che aveva tirato lei stessa il collo ai malcapitati ma gustosi volatili, le era rimasto come un dispiacere nebulizzato sull’anima che poi, inevitabilmente le rovinò la cena.
Anche Renòn doveva essersene accorto, d’altra parte lui la conosceva bene.
Erano amici da tanto tempo e sapeva che, nonostante la cura maniacale per i particolari, per lei solo in cucina non c’erano regole.
Per cui lui capì dal suo viso imbronciato, che la “colpa” era da attribuirsi ai fantasmini delle povere quaglie assassinate, che probabilmente aleggiavano su di loro, anch’esse come i loro defunti corpicini, con un colorito niente male nel vassoio di portata, attorniati da piccole cipolline dolci iniettate di sughetto alle bacche di ginepro.
Ma questa sera Nina aspettava qualcun’altro…Le aveva detto:
- Alle nove in punto…al vino ci penso io.
Che gentile, aveva pensato lei.
Sette giorni fa, l’invito da parte di lei.
Sei giorni per pensare e orchestrare tutto il menù.
Cinque per la spesa. Per lei mancava sempre qualcosa, e quel qualcosa doveva essere perfetto.
Tanti piatti per due persone? Si, perché ogni assaggio era una parola, un’allusione, un sorriso…uno svelarsi in modo sincero e raffinato. Ecco perché.
Gli ingredienti venivano spostati, gli arnesi sporchi posti nel lavello, una corsa in bagno per rinfrescare il trucco.
Ore otto e quindici.
La tavola era quasi pronta. L’indecisione sulla scelta delle candele. Un’esperta, per non dire maniaca di Feng-Shuei, non avrebbe saputo posizionarle meglio.
Ore otto e trentacinque.
Uno dei suoi vestiti preferiti le calzava come un guanto, e lei lo sapeva.
Filtrò la densa vellutata nel setaccio come attraverso un velo da sposa, mentre i porcini abbracciavano il prezzemolo ormai appassito per unirsi in quel composto che solo dopo una lunga ora di cottura, raggiungeva l’apice del suo profumo.
L’odore brodoso di sottobosco dei funghi tuttavia, aveva invaso l’intera cucina e la nota di ciclamino dell’eau de toilette di Nina, la faceva sentire una ninfa degli alberi che si destreggiava tra le felci odorose.
Ore otto e cinquanta.
Dall’alto, sembrava di osservare una partita a scacchi al quadruplo della sua reale velocità.
Ogni mossa calcolata con una meticolosità matematica…
Ore otto e cinquantacinque.
Il cuore prese a batterle con una stizza del tutto imprevista (o quasi) fendendo come un metronomo invisibile, quella stanza e quella tavola così grande colma di piatti d’ogni genere.
Quattro rapidi colpi di spazzola; due per lato.
Tre scatti d’accendino, prima che la cera profumata alla mirra, prendesse vita.
Due tacchi alti. Dieci centimetri. Una tortura sopportabile dopotutto.
Un solo minuto alle nove.
“ Calma…calmati” pensava.
L’orologio a forma di gatto, scandì con la sua coda rigida nove rintocchi. Sembrava quasi l’inizio del Rocky Horror Show. E, come in ogni “horror” che si rispetti…
- Uhhh!
Un urletto, seguito da rapidi colpi di punteruolo dei tacchi, e Nina si precipitò dal corridoio al vassoio con il ghiaccio.
Le cinque ostriche erano ancora chiuse. Lei voleva che trattenessero dentro l’odore del mare il più a lungo possibile. Come aveva fatto a dimenticarsene!
Si auto ammonì mentre recuperava guanto e coltellino.
L’ultimo mollusco aveva appena ceduto che già il piccolo grembiule, giaceva appallottolato in un angolino.
Driiiiiiiiiiiin.
Il campanello finalmente!
Ore nove e dieci. Benedetto ritardo! Beh, pensò, almeno aveva fatto in tempo a lavarsi le mani.
Con disinvoltura plastica, la porta venne aperta e in contemporanea una ciocca di capelli spostata dietro l’orecchio.
- Ma…Renòn?!!! Che diavolo vuoi? Lo sai che aspetto…gente…
L’amico di Nina rispose solo dopo qualche istante. Non potè fare a meno di aspettare che gli aromi penetranti del cibo caldo, avvolgessero narici, polmoni e cuore.
Certo di solito ci si stupisce di un uomo ai fornelli…non il contrario.
Ma lei, Dio! Aveva davvero le mani d’oro!
Amava la sua caparbia scrupolosità certosina, le sue attente cure dettate dall’istinto e amava…
Lei; in silenzio.
Forse anche Nina lo sapeva; in fondo era una donna…e le donne certe cose, fanno solo finta di non saperle perché…perché era meglio così.
Infatti preferiva glissare anche solo mentalmente sull’argomento. Renòn uguale amico. Punto.
- Ero passato per…salutarti. Ecco.
Gli occhi di lei per l’intera durata di quel frammento di frase semi balbettata, non smisero di fissare l’ombra della tromba delle scale. Ecco, forse aveva sentito dei passi. Forse…
- Ok, salutata, ora…Sciò! Ci vediamo domattina per la crostata…Nottenotte!
Renòn venne praticamente liquidato a tempo di record con un bacetto, da un telegramma umano in tubino e tacchi a spillo.
Rimasto con la poco consolatoria compagnia della porta di Nina, a pochi centimetri dal naso, se ne tornò nel suo appartamento al piano di sopra, con uno sbiadito sentore di ciclamino e un mezzo misero segno di rossetto sulla guancia destra.
La luce delle scale si spense.
Ore nove e mezza.
Lei cominciò a desiderare di chiamarlo e nel frattempo ripassava la sequenza delle portate che avrebbe dovuto necessariamente riscaldare un po’.
Nove e quarantadue, decise di “disturbarlo” iniziando ad essere anche un po’ in pensiero.
“…Il Cliente da lei chiamato…“
- Si si… ho capito…non è raggiungibile! Un imprevisto…si un imprevisto…
Ore dieci, e più di dieci erano ormai le volte che ascoltava la voce fredda di quel telefono così irraggiungibile.
Beh, sicuramente c’avrebbero riso sopra appena fosse arrivato…Lei si sarebbe vergognata di certo per averlo tempestato con tutte le chiamate! Si si…Nina sorrise anche immaginando lui, che con quel sorriso ammaliatore le spiegava della mole di traffico notturno o di qualche suo amico bisognoso di passaggio o…insomma, un primo appuntamento da ricordare! …si; sorrise.
Sorrise per tentare di sciogliere quell’amaro che cercava di farsi strada serpeggiando tra il fastidio dell’attesa e “l’ologramma” di quegli sguardi d’uomo che carezzano e rassicurano.
Nina era fiduciosa, nel senso che si era fidata di quello che lui le aveva detto.
Le aveva detto che sarebbe venuto, che non si sarebbe perso la cena per nulla al mondo e lei gli credeva, stop!
Non si stupì, infatti, che al tentativo delle dieci e venti all’improvviso il telefono cedette alla sua insistenza…Dall’altra parte, dei fruscii, un rumore continuo e sostenuto di un motore, della musica, risatine, voci di persone o era la radio? …e un ssssssssssst ammonitore ed anonimo che gelido interruppe la comunicazione.
Ore dieci e quarantaquattro e Lei si era già data le più fantasiose spiegazioni che portavano a giustificare quell’invitato alla cena che stava inesorabilmente gelando.
Ma sentiva la verità che le sbatteva dentro come una porta chiusa male, e ad ogni ventata le procurava un dolore che scheggiava quel suo piccolo cuore di donna.
Era rimasta seduta per tutto il tempo, non sorrideva più, non sentiva il calore dei tacchi alti e i piedi che pulsavano. Non sentiva l’odore che aveva riscaldato fino a quel momento la cucina; non sentiva niente.
La coda del GattoOrologio, continuava a dondolare indifferente, ma Nina non sentiva più nemmeno quello. Provava un crescente disagio; così elegante e con tutta quella creatività sprecata servita nei piatti, incapace di sbarazzarsi dei ma perché, che nonostante tutto non erano sufficienti a zittire la stridula voce del suo realistico inconscio.
Incredibile quanto una mancanza di rispetto, coerenza o anche di semplice buon senso, possa colpire così duramente, anche nelle piccole cose.
Era scesa come una coltre di neve nella cucina di Rue De La Vie e tutto era silenzio.
A questo punto non aveva più importanza se era la prima volta, la terza o magari l’ultima; faceva male lo stesso, faceva male tutte le volte.
Ammucchiò su una sedia la tovaglia, l’intera mise en place e le candele per terra quasi del tutto sciolte ma fiere di quelle ultime flebili scintille di calore.
A piedi scalzi, affondandoli in quella stessa neve, soffice come un sorbetto, prese tutto quello che si trovava nei piatti di portata, sui fornelli, nei vassoi ancora tiepidi. Tutto.
Non avrebbe permesso che gelassero…che si spegnessero.
Rovesciò tutto sul tavolaccio nudo. Le scarpe, buttate al di sotto.
Ora non era più nella fredda neve, ma completamente nuda nel suo caldo mare di cibo…Il calore di ciò che aveva creato per lui, la stava salvando da lui!
Le patate le si schiacciavano tra i seni, bevve vino caldo dall’incavo delle braccia, il sugo dell’arrosto le scivolava dal mento fin dentro la piccola coppa dell’ombelico, per terminare la folle e copiosa discesa sotto la schiena, dove si raccoglievano, si mescolavano e si impastavano tutte quelle pietanze morbide, dure, fragranti e liquide…scoprì tra i singhiozzi, che la mousse au chocolat mescolata alle lacrime, raggiungeva un’insolita perfezione.
L’orologio riprese a “scodinzolare”. Doveva essere notte inoltrata. Il giorno seguente Lei non avrebbe voluto vedere nessuno…Renòn compreso, dopotutto era solo un amico.
Così, come una nouvelle Jeanne d’Arc che attendeva Dio tra le fiamme, Nina aspettava l’unica cosa in grado di salvarla definitivamente; l’indifferenza. La Prima nel suo legnoso ed ingiusto rogo…La Seconda, su un altare fatto anch’esso di legno ma cosparso di farina, morbida pasta, cioccolato, cannella e liquide perle salate.
In quello stesso istante, al piano di sopra, un’altra persona piangeva.
Ma alla fine, asciugate le lacrime anche Renòn si addormentò col pensiero di ciò che le aveva detto Nina; l’indomani si sarebbero visti per la colazione…
- Si…la colazione…. me lo ha detto Lei…!
Spesso non ci si rende conto quanto sapore possano avere le parole per alcune persone, impalpabili come zucchero a velo, appaganti come pane appena sfornato, necessarie come il lievito, multiformi come biscotti di zenzero, dense e voluttuose come crema catalana; concrete come una cena di mille portate per alcuni o… inconsistenti come un soufflé mal riuscito per altri.
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