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Non ritorno
Mi sono chiesto spesso quale sia il punto di rottura di una persona normale. Quando, arrivati ad un certo limite di sopportazione, senti come un “crack”, qualcosa che ti si rompe dentro e, come succede quando si rompe una diga, fuoriescono le tue emozioni tutte insieme, senza che tu riesca a controllarle. Rabbia, dolore, angoscia, frustrazione, disperazione ed ecco che poi anche l’individuo più tranquillo di questo mondo diventa un pericolo pubblico. Anzi. Sono proprio le persone più sensibili a diventare le più pericolose. La sensibilità è un’arma a doppio taglio: finché sei piccolo non fanno altro che lodarti e prenderti come esempio. Ma, mano a mano che cresci, ecco che la tua sensibilità diventa un peso, una zavorra per chi ti circonda. Nella vita non sopravvivono i coniglietti dal pelo morbido, ma le faine che si avventano su di essi. Per andare avanti bisogna avere il pelo sullo stomaco e, ironia della sorte, non sono i più intelligenti ad avere la meglio, ma quelli che sanno ingoiare il letame che viene propinato loro ogni giorno senza farsi venire un’ulcera. Non vi sembra divertente? Anzi, spassoso! Passi una vita intera cercando di comportarti onestamente, facendo il tuo dovere, per alzarti la mattina e poterti guardare allo specchio e poi arriva quel momento. Ed è allora che senti il crack; avverti il rumore, sordo e improvviso ed è come se la tua anima fosse una scultura di vetro colpita con una spranga di ferro che cade in mille pezzi. A quel punto ci sono due alternative: annegare o reagire. Ed io ho reagito.
Ho 58 anni e ho passato gran parte della mia esistenza a soddisfare le aspettative degli altri; quelle di mia madre che mi voleva ingegnere; quelle di mia moglie, ossessiva e bisognosa di attenzioni in maniera morbosa; e quelle di mia figlia, troppo presa dai suoi problemi esistenziali per accorgersi che stavo cadendo a pezzi. Ogni mattina mi alzo e vado al lavoro. Sono insegnante in un istituto tecnico, al cui confronto certi quartieri del Bronx sono posti tranquilli, dove le famiglie potrebbero andare in gita la domenica. Parlo, parlo, parlo e nessuno mi ascolta, risate, parolacce, bestemmie, totale indifferenza. Per loro non sono niente, non valgo niente. Spesso è come se li guardassi attraverso un vetro: vedo muoversi le loro bocche, le facce, le smorfie, ma è come se fossimo separati da una parete invisibile. Io da una parte e loro dall’altra. In mezzo il vuoto pneumatico. È come se parlassimo lingue diverse, all’inizio cercavo di aiutarli, ero pieno di ideali, di sogni e di speranze. Poi piano piano tutto si è spento. La luce che era accesa in me si è affievolita fino a scomparire del tutto.
Mentre sto qui a pensare mi ripulisco una mano sulla gamba; credo che mia moglie non farà storie questa volta per essermi sporcato i pantaloni, forse la situazione è più grave di quel che sembra. Non volevo fare del male a nessuno, solo non ne potevo più, tutto qua. Volevo indietro la mia dignità di essere umano, volevo solo che mi ascoltassero per una volta. Che mi dessero retta. Sento la testa che mi scoppia, troppi pensieri, vorrei un’aspirina e un bicchier d’acqua, ma non posso uscire, sono chiuso in quest’aula a chiave e non posso uscire. Aspetto.
Fin da giovane ho sempre avuto la passione per la caccia. Mi piaceva camminare in mezzo ai boschi, respirare l’aria frizzante del mattino, guardare il sole che sorge e sentirmi in piena armonia con la natura. Ho ancora i miei fucili. Stamattina, ne ho preso uno e l’ho messo in macchina. Sapevo cosa stavo facendo, ma era come se fossi fuori da me. Mi guardavo e mi chiedevo come sarebbe andata. Ho baciato mia moglie come ogni mattina. Era a letto, imbottita di tranquillanti, come al solito. Io mi prendo cura di lei, ma lei non si prende cura di me. Non vuole che la lasci. Non vuole che l’abbandoni. Non mi fa respirare e mi fa annegare nei sensi di colpa quando non le sono accanto. Piange dicendo che ha bisogno di me, ma poi maledice il mio nome se non riesco a starle accanto come lei vorrebbe. Mia figlia mi guarda e vedo pietà nei suoi occhi. Vorrei fuggire lontano da quello sguardo, non vederlo, ma poi i nostri occhi si incrociano e mi rendo conto di far pena a mia figlia. Un padre tocca il fondo quando arriva a questo punto. Chissà cosa penserà di tutto questo. Ha 24 anni e ormai è grande, ma io le ho rovinato la vita. Non potrà più andare in giro senza sentire sussurri, bisbigli e commenti di ogni genere su ciò che suo padre ha fatto. Mi si spezza il cuore, ma quando senti il crack non sei più te. Non ero io. Ero solo un vortice di emozioni che sono esplose tutte insieme. Credevo di aver fatto un buon lavoro come padre, di aver sopperito alle mancanze di mia moglie, depressa cronica ed eternamente sotto psicofarmaci ed invece sono io che le causerò il trauma più grosso probabilmente. Ma ora non ha importanza. Forse dovrei mettere in ordine, raddrizzare i banchi rovesciati, pulire con uno straccio, ma dovrei andare in corridoio per prenderlo e non posso. Sento le prime voci, qualcuno cerca di aprire la porta. Facciano pure. Io ho tentato solo di non annegare, ho reagito, non possono farmene una colpa.
Forse ho sbagliato; guardo i loro corpi senza vita e mi chiedo come ho potuto farlo; da fuori viene un rumore bestiale, sirene, urla isteriche, probabilmente dei genitori, e rumori di passi per il corridoio. Erano solo ragazzi. Mi hanno umiliato nel più profondo dell’anima, ma erano solo stupidi ragazzi. Io li vedevo come mostri deformi ormai, ma in realtà erano solo adolescenti superficiali. Solo ora me ne rendo conto. Ho ancora un colpo in canna. Posso usarlo prima che sfondino la porta. Vorrei solo dire a mia figlia che mi dispiace. Di mia moglie non mi interessa, è anche colpa sua se io adesso sono qui.
Ho passato pomeriggi interi nella nostra camera da letto al buio a tenerle la mano mentre stava male, mentre era presa dal panico e puntualmente quando si sentiva meglio non sapeva fare altro che stringere il cappio che mi teneva intorno al collo. Volevo solo il suo amore e la sua comprensione. Lei invece mi ha rovinato: mi ha isolato dal resto del mondo, mi voleva solo per sé, il suo infermiere personale. Non ce la farà senza di me. Forse è meglio così. Nostra figlia sarà finalmente libera. È l’unico pensiero che mi conforta. Ora devo andare. Voglio solo chiudere con questo schifo e niente altro.
Crack.
Buio.
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0 recensioni:
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- brava, mi piace il tuo stile: moderno, scorrevole, analitico!
Anonimo il 15/02/2011 23:35
Racconto scritto molto bene, mi è piaciuto
Suz
Anonimo il 21/01/2011 22:29
Scrivi un libro e fallo pubblicare : sei molto brava!
- coinvolgente, mi ha tenuto incollata a leggere!!
amaro ma realistico. è la follia omicida di chi non ce la fa più!
- Ben scritto, gran ritmo che ti incolla alla storia.
- Scritto benissimo, non ha mai "cedimenti" ... brava.
- Scritto benissimo, senza pause (e l'argomento non aiuta), giuso mix. Finale all'altezza. Brava.
Anonimo il 27/06/2009 13:59
Bello, anche se una triste verità.
- Bello! Il finale mi ha molto colpito. Brava!!!
Anonimo il 31/05/2009 09:53
INCREDIBILE, racconto realissimo, mi ha shockato...!
- bellissimo
- in un attimo di follia... veramente tanto senza ripetere nessuno. brava.
kiss
Anonimo il 16/03/2009 10:46
Grazie Francesca di esistere e dunque di scrivere,
troppi parlano di amore e del giorno pieno di sole,
ma pochissimi di giornate nere e di mondi dolorosi, ma vivi.
Tu lo fai con ineguagliabile stile.
Grazie grande conterranea.
Anonimo il 21/02/2009 09:11
Bellissimo, intrigante, ben scritto. Brava
- Molto coinvolgente ed estremamente scorrevole nel suo svolgimento. Mi sono sempre piaciuti molto i racconti della psiche... questo mondo misterioso. Brava!!
- Notevole. Complimenti
- Un buco nello stomaco, per una realtà che purtroppo spesso si materializza in modo angosciante e la cosa più terribile è che sia arriva a tanto senza che nessuno se ne accorga. Bravissima
- Brava Francesca! Il racconto, oltre ad essere scritto con il consueto stile lineare scorrevole asciutto e coinvolgente, descrive efficacemente una realtà amara ma innegabile: la fragilità della psiche umana, che può spezzarsi da un momento all'altro quando è esposta al peso delle miserie che la vita ci riserva...
Anonimo il 14/01/2009 01:52
Il protagonista del racconto viene indagato psicologicamente in modo capillare, nella sua follia lucida e frustrata. La narrazione molto coinvolgente e senza alcuna sbavatura, sembra ispirata da uno dei tristi episodi di cronaca dei nostri tempi. Questo testimonia la notevole capacità dell'autrice di ascoltare e interpretare la realtà.
Non dò voti, ma questo racconto merita il massimo che si possa esprimere con un commento.
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