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Monologo
È così che fermo ogni mio piccolo gesto quotidiano, come se fossi in una specie di confine, tra la sostanza e l’essenza e, divento curiosa, oltre a Dio cerco qualcos’altro di tuo per aggrapparmi ad entrambi, così mi sembra di essere appesa lungo il filo che vi unisce e mi sento con le gambe penzoloni con sotto il nulla, l’abisso… ho quasi paura di guardare, paura di non vedere niente, neppure il fondo e vorrei chiudere gli occhi e lasciarmi andare, cadere, volare giù, fidarmi sapendo che ci sarai tu a prendermi e che aprirò gli occhi e ti rivedrò. È in questo stato che davvero mi metto a cercare qualcosa di tuo… che buffo… ad un tratto mi sembra che in fondo non abbiamo niente di effettivamente nostro, niente… se non il tempo. Niente se non il tempo che ci avvolge e ci protegge, perché è sempre uguale; saturo di ricordi, non scappa, non rallenta, non aspetta, ma rimane comunque intatto, non si ferma… cammina lentamente al tuo fianco, con le valigie piene di cose nostre, piegate e conservate lungo il cammino della vita e… c’è sempre… puro… orgoglioso… e allo stesso modo umile e paziente
Non dirò più “non ho tempo”. Il tempo è ciò che possediamo veramente, è l’unica cosa che non possiamo portare via, che nessuno ci può portar via, l’unica eredità che cediamo a chi resta quando decidiamo di lasciarlo.
Noi abbiamo tutto il tempo che vogliamo finché viviamo… è tutto a nostra disposizione e lo riempiamo così tanto di quello che facciamo che alla fine è ciò che possediamo veramente: le nostre cose diventano il tempo, tutto quello che resta di noi, noi stessi siamo il tempo perché ci identifichiamo con quelle briciole di vita che si chiamano ricordi!
Cerco te, fuori e dentro di me, tra i miei pensieri che corrono esasperati lungo questo immaginario filo appeso e mi ritrovo a rincorrere il tempo
passato … mentre lo faccio, mi rendo conto che solo quello si può fermare e non perdo la consapevolezza che intanto il presente cammina e che domani, sarà un ricordo. È nei ricordi che ritrovi l’unica conferma della certezza che tu hai vissuto… che sei stato veramente!
Ti cerco … cerco ancora qualcosa di tuo fuori dal giro vizioso di questi pensieri… lo faccio con lentezza per paura che possa sfuggirmi qualche dettaglio importante e per rallentare ciò che mi sfugge dentro. Ecco che lo trovo: è quando mi allaccio il grembiule e sento il tuo braccio cingermi la vita fino a farmi mancare il respiro. I ricordi mi guardano, li sento dietro le mie spalle, ma ora ho quasi paura di voltarmi per cercarti. Resto immobile, quasi non respiro… ed è così che ti vedo e ti lascio fare… finché posso.
Il sole è già in piedi da un pezzo quando esco di casa. Faccio un po’ fatica a muovermi, sento le gambe pesantissime, mi basta raggiungere lo steccato e appoggiarmi per sentire di nuovo la tua mano. Vorrei fermarmi in quel punto per ricordare ma, sento una spinta improvvisa, quasi reale, che mi incita ad andare. L’uomo del dubbio è ancora là. Sento che il suo sguardo mi segue, seppure non s’incontra col mio… faccio finta d’ignorarlo perché mi deconcentra da te e non voglio. Non mi volto neppure, guardo avanti sicura di poterti sentire di nuovo.. magari incontrarti più tardi. Mi sono messa il vestito più bello, non voglio che tu mi veda in disordine… caso mai tornassi… se decidessi improvvisamente di tornare. Questo pensiero mi rende il passo un po’ più veloce, raggiungo la panchina rossa sotto il pino secolare, mi siedo e aspetto.
Questa attesa mi mette in agitazione. Mi sento come dovesse succedere qualcosa d’importante, una questione di vita o di morte... mai aspettarsi qualcosa.. se poi non arriva?
Mi mordo il labbro superiore, può essere che sto aspettando te? Sempre aspettarsi qualcuno! Sono così assorta nei miei pensieri che solo ora mi accorgo di quel qualcuno che mi si siede accanto: uno… nessuno… centomila? Migliaia, si, mille mi piacciono proprio, è bello parlare di mille… mille… mille fiocchi di neve mi si avvicinano silenziosamente, quasi intuendo il ritmo dei miei pensieri, con calma, fioccatamente… si… come solo i fiocchi di neve sanno fare… mi si siedono accanto… ne arrivano altri… uno sull’altro… si adagiano… ancora… senza rumore…, tutti consenzienti di farsi posto e… di non farselo…di esserci o non esserci, perché quando s’incontrano diventano uno… li vedo… con le braccia aperte…visibili e invisibili… felici di accogliersi l’un l’altro.
Sento il mio cuore scaldarsi, quasi sciogliersi… man mano che i fiocchi si abbracciano, mi pare di sentire il loro respiro e farsi presenza. Li vedo cadere e mi appaiono come angeli che scendono dal cielo, con le loro ali semi chiuse, candidi, morbidi e silenziosi, in balia dell’aria. Sono tutti seduti qui, accanto a me, uno sull’altro col sorriso sul volto, come facessero un gioco. Vorrei alzarmi per far loro più posto, ma ce li ho tutti addosso e ho paura che possano cadere, allontanarsi... partire. Ecco ne arrivano ancora… mi coprono… sono leggeri. Ho l’impressione di essere anch’io un angelo-fiocco di neve perché mi sento impressa sul viso quell’aria che hanno tutti i fiocchi di neve, da ebete, già con quel sorriso traboccante dello stupore proprio di chi sta volando, di chi è sospeso tra il cielo e la terra, con il cuore in gola, il respiro sospeso… Penso ci si senta così in volo, con il cuore sospeso nel respiro, proprio come ora il mio. La gente che non sa guardare, non può immaginare cosa fa un fiocco di neve quando cade… non lo può vedere giocare, non lo può sentire respirare... sorridere… abbracciare. Scorgo una sagoma in lontananza, ha le braccia aperte, come se volesse abbracciare la neve o se dovesse spiccare un volo… mi fa pensare all’uomo del dubbio. Che abbia deciso di prendere l’aereo per partire? Sorrido all’idea e mi pare di sentire che anche i fiocchi di neve lo facciano.
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