La sorda vibrazione del cellulare squote Ivan dal torpore in cui è caduto. Accasciato sul sedile della metro, per qualche istante fatica a mettere a fuoco il suo involontario compagno di viaggio, tutto preso a ritmare con il capo la musica del suo walkman.
Con gesto deciso tira fuori dalla tasca interna quello stupido arnese. “Numero privato! Chi diavolo sarà costui e soprattutto perché proprio a quest'ora è venuto a scocciarmi!... Mah! ”
Ormai è quasi arrivato ed è inutile cercare di riannodare il filo che si è interrotto. Nella lunga ora che è costretto a trascorrere nel vagone che lo trascina avanti e indietro tra casa ed ufficio, Ivan si concede il lusso di mettere in folle i suoi sensi e lascia vagare la mente tra i meandri del suo subconscio. Ogni tanto è proprio così che riesce a trarre le idee migliori per scrivere qualche storia, ma oggi non è uno di quei giorni.
La voce metallica del capotreno virtuale annuncia con la sua solita enfasi l'approssimarsi della fermata.
Ivan si alza lentamente dal sedile, alza la mano e si aggrappa al sostegno vicino all'uscita.
La coda dell'occhio coglie al volo l'attimo in cui quella donna dai lunghi capelli ripone le sue cuffiette nella borsa a fa per alzarsi, ma uno spintone lo incita verso la porta appena aperta.
Esce automaticamente. Si volta, ma non vede più quella donna. “Chissà, forse scenderà alla fermata successiva... ” Le porte si richiudono davanti a lui con un sospiro sordo e il treno riparte. “Mah! Chissà poi perché l'avrò notata... ”
Automaticamente il polso si allunga scoprendo la manica e l'orologio. Senza guardarlo si affretta lungo le scale, mentre nella sua mente comincia a suonare una vecchia canzone degli Stadio.