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Uccidimi fratello mio
Io sono Ignazio Atenza. E tu eri Clemente Delugu.
Più che amici, più che fratelli.
Cresciuti nel podere di Tanca Cuada, in riva al mare.
Che bello andare a cavallo lungo la riva! Ti ricordi Clemente?
Le navi carboniere che passavano, ci salutavano.
E ti ricordi, quando si falciava il grano a giugno?
La sera si ballava e si cantava in casa del nonno.
Ad agosto la festa di S. Maria, e portavamo a spalla la sua statua carica di oro, in processione.
E cantavamo
- Santa Maria, mama de Deus, prega pro nos attros peccadores…-
(trad. “Santa Maria, madre di Dio, prega per noialtri peccatori”).
Guardavamo le ragazze dietro il fumo dell’incenso e loro ci guardavano, sorridendo, con la bocca nascosta dietro i lembi dei loro fazzoletti della festa. Il prete alzava la voce pregando e ci spruzzava l’acqua benedetta dall’aspersorio e tu chinavi la testa. Anche i loro padri ci guardavano, mentre arrostivano la carne di capra, all’ombra degli olivastri secolari, intorno alla chiesa bianca. Ridevano fra i baffi e ci mostravano la frusta dei loro cavalli, battendosela come niente, lentamente, sui gambali, mentre si toglievano il berretto per farsi il segno della croce.
Stavamo diventando uomini anche noi, Clemente.
Poi scoppiò la guerra.
Uomini partivano e non tornavano. Allora veniva la tristezza anche da noi. Le nostre madri ci guardavano. Noi non pensavamo. Eravamo ragazzi. Nati nel 1899.
Chiamarono anche noi. Bisognava partire e piangevamo. Tu eri più delicato e io dovevo proteggerti. Non ci piaceva quella divisa grigioverde che ci soffocava nel collo. Odiavo le urla di quei caporali.
Quando ci fecero salire sulla nave e attraversare il mare…
Poi ci separarono. Sento ancora il mio pianto che copriva il tuo.
Il Fronte. Nel Fango, nel Freddo. Filo spinato. Stai giu! Fuma il sigaro con il fuoco in bocca di notte o il cecchino ti vede! La Gavetta. Questa è Anice, bevete, bevete, che facciamo l’assalto!
Fuori! Fuori! Viva! Tà! Pùm! No! Avanti! No! Ahhh!!
Vigliacchi!! Noo!! Morti…morti…morti…quanti morti….
Cara madre, quanto è brutta la guerra.
(la censura cancellò < brutta >)
Ma per diventare uomini, così bisogna fare?
Ma sopra quanto sangue bisogna camminare?
Perché..?
Passarono forse mesi. Eravamo invecchiati di anni.
Sempre al nostro posto, sempre di meno, su quelle montagne.
Venne un vecchio generale e ci diede una medaglia.
Un giorno ci radunarono. Ci dicevano che era un grande onore per noi, che dovevamo fare questo servizio per la Patria.
I soldati che dovevamo fucilare, ci dicevano, erano dei disertori, dei vigliacchi.
I primi dieci furono legati ai pali, davanti a noi, che stavamo appoggiati sul fucile. Il vento muoveva i loro capelli. Tutti furono bendati, uno rifiutò, scuotendo la testa.
Quello che dovevo fucilare io.
Passò il prete. Pregava e mostrava la Croce ai condannati, uno a uno, aspergendoli con l’acqua santa. Il condannato senza benda chinò la testa al Crocefisso. Poi la alzò verso il cielo e cantò:
- Santa Maria, mama de Deus, prega pro nos attros peccadores, in s’ora de sa morte nostra…-
Eri invecchiato anche tu al fronte, Clemente.
- Caricat!... Puntat! …Fuocoo!! -
Tutti caddero, ma tu no. Avevo sparato sopra di te.
- Uccidilo. O sarai fucilato anche tu. -
disse l’ufficiale con i guanti e il frustino.
Allora anche tu mi riconoscesti, Clemente.
Mi gridasti - Nanziu! Occìmi frade meu!.. Occìmi frade meu! E tui bìvas! -
(trad. "Ignazio! Uccidimi fratello mio… e che tu possa vivere!" )
Alzasti la testa al cielo e riprendesti a cantare, felice di avermi ritrovato - Santa Maria, mama de Deus…-
e mentre cadevi, con la smorfia della morte, mi donasti il tuo ultimo sorriso, alzando il mento, come facevi da bambino per dirmi :
- Ti d’appo fatta! Appo ‘intu deo! -
(trad. “ Te l’ho fatta! Ho vinto io! ” )
Io, Ignazio Atenza, non sono più degno di vivere.
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