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I. P. O.( Identified Penetrating Object)
I. P. O.( Identified Penetrating Object)
domenica 23 ottobre ore 12:00
Miriadi di bollicine avvolgevano e carezzavano il corpo di Zada. Le bocchette di erogazione emettevano getti potenti, che massaggiavano la schiena, i piedi e le gambe. L'acqua gorgogliava in un frullo continuo di bolle soffici e leggere. Un idromassaggio rilassante, esaltato dal leggero profumo di muschio bianco che solleticava le narici e dalla musica per pianoforte di Clude Debussy. Le fluttuanti melodie, libere e fuggevoli, rotolavano e tremolavano nel riverbero di tocchi leggeri uniti alla dissonanza oscillante, sostenuta e indefinita dell'armonia del Clair de Lune, Reverie, l'Isle Joyeuse... Risuonavano nelle cuffiette della pen drive, rievocando atmosfere orientali indeterminate e l'umore mutevole del mare. Zada era stregata dalla musica classica e pur non essendo un'esperta la utilizzava come training autogeno per rilassarsi contro l'insonnia e l'ipertensione. Era immersa completamente nell'acqua spumosa. I capelli nerissimi, raccolti e tirati indietro, scoprivano nuda la nuca, morbidamente poggiata sul bordo della vasca. Gli occhi socchiusi e le palpebre volte verso il basso erano l'espressione di un dolce godimento. I ciuffi ribelli ornavano il collo e le orecchie finemente disegnate, donandole un fascino selvaggio e sensuale. Sulla mensola in vetro erano riposti boccette, flaconi e ampolle colorate contenenti ogni sorta di unguenti e profumi. Un'ikebana, composta da una tegola di ardesia sormontata da fronde di felce, rametti di pino e fiori di ribes, occupava uno scaffale di pioppo rosa e si armonizzava con le pareti del bagno rivestite di specchi e piastrelle chiare in ceramica. Zada aprì gli occhi, si tolse le cuffiette e le ripose su uno sgabello, accanto alla vasca. Sollevandosi la schiuma frusciante, incatenata al corpo bruno, lentamente veniva giù, scoprendo i seni sodi e siliconati, impreziositi da due turgidi capezzoli simili ad ossi di nespola, e i fianchi squisitamente arcuati che preannunciavano un fondoschiena elegantemente tracciato, abbellito da due fossette alla base della schiena. Una Venere callipigia Brasiliana. Un ciuffetto dal pelo corto, di larghezza ridotta, adombrava lievemente il pube e gambe deliziosamente tornite e lisce terminavano in snelle e nervose caviglie. Zada era un cioccolatino croccante dal di dentro liquoroso. Era bellissima e sensuale allo stesso tempo, come la modella venezuelana Ainett Stephens. Escludendo gli assidui frequentatori di istituti di igiene mentale, i Pigmei, gli Aborigeni Australiani, i Boscimani del Kalahari e gli indigeni della foresta Amazzonica, per il resto della popolazione maschile eterosessuale Zada era una supergnocca da impazzire.
Una volta con la sua Mercedes tamponò un'auto ferma al semaforo, cambiandole radicalmente il profilo del portabagagli. Il conducente della macchina con il cofano modificato, non essendo vincitore del premio Nobel per la pace né tantomeno un individuo di enorme e smisurato buon senso, balzò fuori dallo sportello con gli occhi venati di sangue, un paio di ma li mortacccci tuaa e l'intenzione di massacrare a calcagnate sui denti l'autista della macchina colpevole dell'incidente. Si parò dinanzi Zada: centonovanta centimetri di statura comprensivi di tacchi, minigonna rosa e un body che strizzava le poppe enormi che stordivano solo a guardarle. L'uomo mutò umore, passando in un istante da mezzanotte a mezzogiorno. Si scusò e costrinse la gnoccona brasiliana ad accettare un compenso in denaro per riparare la Mercedes.
Raccolti i capelli nell'asciugamani, Zada uscì dal bagno. Prese una sigaretta dal pacchetto e l'accese. Dopo aver aspirato senza fretta, un fiotto netto e biancastro si dilatò in una nuvola fumosa, che velocemente si diradò. Aperte le ante della porta che dava sul balcone, uscì, aspirando un'altra volta. Dopo una notte piovosa tiepidi raggi di sole indugiavano nell'aria e sulle terrazze, regalando un dolce tepore. Aggrottò il viso contro il sole e tirò un'altra boccata, che ravvivò lo sfavillio della punta della sigaretta, smarrita tra i labbroni gonfi color nocciola, naturali e senza collagene. Guardò le sue mani, dalle dita lunghe, morbide e affusolate, le unghie finemente tagliate e laccate di rosa. Per breve i suoi pensieri furono occupati da vaghi e fuggevoli ricordi del passato che, come leggero venticello, giunsero e presto svanirono. Un gatto raggomitolato e nascosto tra i vasi di terraglia, guardava sonnacchioso alcuni piccioni che vennero giù dai cornicioni per piluccare qualche briciola di pane. Il telefonino squillò, ma lei incurante continuò a seguire il filo dei suoi pensieri e a fumare con calma. Dopo una decina di trilli, fastidiosamente imploranti, l'apparecchio telefonico tacque. Trascorsi una trentina di secondi riprese con insistenza a suonare. Zada spense il mozzicone di sigaretta nel portacenere e con la fretta opportuna prese il cellulare che era sul divano color crema del soggiorno, rispondendo con leggero tedio e con la sinuosa cadenza portoghese, salendo e scendendo sui dittonghi. Dopo un torrente in piena di vezzeggiativi e lusinghe, la voce del professore Ficcaverza assunse un tono più compassato nel momento di fissare l'appuntamento per l'incontro settimanale. Il professore Ficcaverza insegnava Scienze delle costruzioni alla facoltà di architettura di Valle Giulia. Un uomo che aveva superato da poco la sessantina, smilzo, curvo e guercio. Una corona di corti capelli bianchi gli cingeva il capo brachicefalo da testuggine marina dalla pelle raggrinzita come la buccia di una prugna secca. In gioventù era stato un ottimo studente, molto impegnato negli studi e nella carriera accademica, ma poco propenso alla vita mondana e soprattutto estraneo alle relazioni con il mondo femminile. Sino alla soglia dei cinquanta anni sporadicamente si era dedicato all'arte della masturbazione fai da te, poi, come fulminato sulla via di Damasco aveva scoperto verso le donne un'attrazione smodata, che probabilmente languiva repressa in un angolo remoto del suo essere. Forse la cattedra di professore ordinario aveva provocato in lui un effetto domino: conseguimento dell'obbiettivo prefissato - maggior sicurezza derivata - valutazione creduta ed ostentata della sua autorità - consapevolezza di dover recuperare il tempo perduto nelle faccende che lo riguardavano in fatto di donne. Purtroppo le uova che non si mangiano a Pasqua non si mangiano più. All'università sbavava dietro le belle allieve che seguivano i suoi corsi e non disdegnava regalare ed elargire voti altissimi in cambio di un ammiccamento o di adulazioni e moine da parte di studentesse scaltre e subdolamente compiacenti alle sue insipide battute da vecchio professore arrapato. Una volta a settimana si recava a casa di Zada per quietare i reclami della carne e placare i bollenti ardori a lungo repressi e ora emersi con gli interessi; fu durante una delle tante chiacchierate sottobanco con alcuni colleghi nei consigli di facoltà che era balzato fuori il nome di Zada, la sua stupefacente bellezza, la naturale propensione del suo corpo ad essere una macchina da sesso e la sua straordinaria capacità di soddisfare anche le più impensabili e incomprensibili libidini. Era trascorso circa una mese da quando per la prima volta il professore Ficcaverza aveva messo piede nell'appartamento di via Arbia al civico 16 una traversa della via Salaria nei pressi di Villa Ada. Per qualche ora di sesso lasciava seicento euro alla morona che con le sue chiappe brasiliane incantatrici poteva indurre in tentazione anche uno sciamano in piena estasi. Imprenditori, professionisti, professori e a volte pure qualche prelato, fissavano appuntamenti con Zada e le sue curve mozzafiato. L'escort Brasiliana tirava su al mese circa quindicimila euro solo dalle visite ricevute a domicilio e altri soldi entravano dalle serate nei sex-club della capitale. Domiciliava in un monolocale gustosamente arredato che un suo cliente milionario le aveva concesso in cambio di prestazioni e performance straordinarie e ovviamente gratuite. Era esperta ed abile nel comprendere e assecondare i gusti sessuali dei suoi clienti e le loro richieste più strane e bizzarre. Feticisti dei piedi, del deretano, masochisti, voyeur, amanti delle feci, impotenti carenti di coccole e gesti affettuosi. Lei concedeva tutto. Tutti i suoi pertugi erano proprietà del cliente. Probabilmente e per assurdo se il marchese de Sade in carne e ossa avesse bussato alla porta del suo appartamento per un incontro, ella non avrebbe opposto alcuna resistenza alle sue più sfrenate o presunte tali fantasie sessuali. Aveva ventisette anni e da più di un decennio usava il proprio corpo come macchina per produrre soldi. Figlia di una cameriera proveniente dai sobborghi di San Paulo che prestava servizio presso la residenza di un finanziere milionario di origine Francese. Il suo nome di battessimo era Fernanda Ferreira de Menezes. Sin dall'infanzia era vissuta circondata dal luccichio della ricchezza e del denaro e dalla prospettiva futura di vivere nel lusso e negli agi più smodati. Madre natura aveva dotato Fernanda di un corpo meraviglioso. In seguito lei, aveva provveduto con qualche piccolo ritocco a renderlo perfetto, gonfiandosi le poppe. Il magnate Francese, con l'assenso di sua madre, tra vettovaglie e provviste nella penombra della dispensa della cucina appena dodicenne la sottoponeva ai trastulli e ai giochi proibiti dei suoi piaceri sessuali. Dopo circa cinque anni trascorsi a soddisfare le voglie e le libidini del magnate ormai settantenne, morta sua madre per un cancro all'utero, decise di abbandonare la tenuta Bonaud, San Paulo e il Brasile per l'Europa. Partì con un bel gruzzolo di soldi, quelli lasciati dalla madre e quelli che il finanziere le aveva concesso per i suoi meritati servigi. Trascorsi due anni in Portogallo, a Lisbona, si trasferì a Roma invitata da una sua amica e collega, che la introdusse nei club privè, nei locali più esclusivi e nei letti degli uomini danarosi e benestanti di Roma. Tra questi aveva conosciuto il primario gastroenterologo Fava, un sessantenne brioso che le aveva accordato uno dei suoi innumerevoli appartamenti sparsi per Roma e grande autonomia per i suoi incontri lavorativi in cambio di assidue lubrificazioni al pistone e nottate di sesso bollente.
Zada concordò per il tardo pomeriggio del giorno seguente l'appuntamento con il professore Ficcaverza e terminò la conversazione regalandogli parole melliflue e vezzeggiativi dolcissimi. I clienti avevano bisogno di attenzioni e riguardi particolari. Zada non lesinava premure ed era molto attenta al denaro e ai suoi custodi.
lunedì 24 ottobre ore 18:00
Zada era seduta morbidamente sul divano color panna, mostrando le lunghe gambe accavallate e fasciate da reggicalze di pizzo bianco, in uno splendido contrasto cromatico con il color caffè della sua pelle. La vestaglia trasparente che indossava lasciava scorgere l'esuberante rotondità dei seni. Il professore Ficcaverza, che era seduto dinanzi a lei, sorseggiava impaziente il suo whisky con ghiaccio. Lasciava scorrere nervosamente i suoi occhi ardenti di libidine lungo l'arco delle cosce sino alla caviglia e nuovamente risalire fino alla sommità del ventre sormontato dall'aggetto convesso delle poppe. Sulla faccia piatta del televisore 43" al plasma passavano mute scene erotiche di corpi nudi avvinghiati che si dimenavano in movimenti sussultori. Buffamente i diffusori dello stereo emettevano in quel momento la marcia di Radetzky di Strauss pappa paraparapappa paraparapappa pararapapappa ahhh pappa paraparapappa paraparapappa pararapapappa sii, che sembrava assecondare la gestualità e il ritmo sostenuto del movimiento sexual.
Il professore Ficcaverza tirò fuori dal taschino interno alla giacca una violetta da cinquecento euro seguita da una banconota verde da cento e le pose sul ripiano in plexiglas blu del tavolino, sul quale erano riposti un portafrutta e un vassoio ovale con applicazioni in fibra di sisal realizzati con residui della lavorazione del caffè. In ogni angolo dell'appartamentino erano presenti monili che richiamavano l'oggettivistica brasiliana: enormi maschere in legno appese alle pareti e vasi in ceramica a tema floreale affilati sulle mensole. Zada prese le banconote e le ripose nella borsetta riversa su un fianco accanto a sé. Poi si alzò lentamente, svelando un perizoma ridottissimo in pizzo incastrato tra le lunghe gambe. Un odore dolce di mora, seguito da una scia di gelsomino vellicò le narici lanose del professore, che inebriatosi e con la faccia da ebete, simile a quella dello studente universitario impreparato al cospetto di una domanda inattesa, seguì Zada nella camera da letto, arredata con un certo gusto. Il pavimento, dalle piastrelle in gres porcellanato nella tonalità del beige, dilatava lo spazio ed evidenziava il contrasto con il tono scuro dei suppellettili. Tre lampade in vetro decorate a fantasia, quasi sospese per aria, scendevano dal soffitto. Le persiane chiuse. Posati su una poltrona in pelle tra l'armadio e la cassettiera a sei cassetti c'erano perizoma e reggicalze in pizzo valenciennes. Sette statuette di bronzo di guerrieri tribali graduati in altezza erano collocate sulla cassettiera accanto al letto. Il professore era allupato più del solito. Ricordandosi di un articolo letto su una rivista gastronomica riguardo i cibi afrodisiaci, a pranzo aveva fatto cucinare alla cameriera Bengalese, pessima cuoca, risotto con tartufi e arrosto misto di carne, divorando poi tantissima frutta esotica e un tortino alle mandorle e pinoli. Inoltre da qualche giorno assumeva farmaci utilizzati per la terapia della disfunzione erettile, senza aver consultato un medico specialista. Non era impotente sessualmente ma ultimamente avvertiva la fatica dello stress e dopo l'ultima performance sessuale, scadente e fiacca, riscontrava ansia da prestazione. Quindi aveva trangugiato un miscuglio di pillole di Viagra, Cialis e Levitra. Ora le reazioni e gli effetti erano visibili. Aveva gli occhi spiritati, lucidi e tremolava agitando a scatti la testa a testuggine marina che si ritrovava. Il flusso del sangue attraversava e irrorava fluente i tessuti corporei e miliardi di neuroni eccitati si dipartivano dall'encefalo lungo il midollo spinale sino ai nervi delle zone periferiche dell'organismo. Vampate di calore salivano lungo la schiena. Le guance striate di rosso e la fronte febbricitante. Il professore era eccitatissimo. Sbuffava come una vecchia locomotiva a carbone ridacchiando come una scimpanzé. Zada si distese sul letto avvolto da una copertina in tessuto di raso ed esibendo lascivamente le gambe iniziò lentamente a spogliarsi. Anche Ficcaverza diede inizio allo striptease sospirando eccitato. Si tolse la giacca, le scarpe, i pantaloni e gli slip, rimanendo in camicia, con le chiappe sfiorite in bella mostra e corti calzini bianchi sotto le gambette magre da ranocchia albina. Improvvisamente ruppe gli ultimi deboli freni inibitori e si lanciò. Abbrancò le tette di Zada, ruotando nervosamente le mani come se volesse girare i pomelli di un rubinetto. Cercò con ferocia di strappare la lingerie che aveva addosso. Lei, colta di sorpresa e per alcuni istanti ammutolita, tentava di pararsi con le braccia, garantendogli per ammansirlo di soddisfare tutte i suoi appetiti sessuali, come aveva sempre fatto con i suoi clienti. Il professore, come una scimmia impazzita, agitava le mani palpando e premendo con forza. Zada impaurita cominciò ad urlare e a dimenarsi cercando di liberarsi dalla morsa di quel polipo umano e dai suoi tentacoli. Gli occhi del professore avevano un'espressione strana, vuota e animalesca nello stesso istante. Un demone di una sabba ubriaco di libidine e ferocia. Comprese che se si fosse abbandonata nelle sue mani, lui l'avrebbe stuprata e magari alla fine pure trucidata. Era certamente una puttana ma pur sempre una donna. Il terrore si impadronì di lei. Riuscì a colpire il professore in piena faccia con un cazzotto, ma lui ancora più eccitato continuò a palpeggiarla. Era preda di un raptus erotico e cacciatore del piacere più estremo. Aveva il volto vermiglio e gli occhi iniettati di sangue. Emetteva sospiri affannosi seguiti da grugniti asmatici. Il professore, come invaso da una nuova forza, aveva moltiplicato le sue energie. Era un toro inferocito, il letto l'arena e Zada la toreador da incornare. Con rinnovato vigore riuscì a strapparle il perizoma poi serrandole la faccia tra le mani, cercò di orientarla verso i suoi genitali. Lei con gli occhi slargati di paura, a tastoni cercò la cassettiera. Afferrò una di quelle statuette di bronzo che vi erano posate e la vibrò sull'ampio cranio brillo di sudore. Si aprì uno squarcio, da cui iniziò a zampillare sangue. Il professore non emise alcun lamento e continuò imperterrito la sua azione di avanzamento. Lei allora sferrò alla cieca una serie di colpi, che andarono tutti a segno. Uno gli aprì lo zigomo sinistro, uno trasformò il naso in un savoiardo inzuppato di sangue e infine quello più efficace gli squarciò un occhio, quello da camaleonte. La testa della statuetta di bronzo che Zada impugnava si era inserita esattamente nella cavità orbitale. Il professore tramortito, esitò un istante, oscillando leggermente il capo prima di cadere di peso su Zada che, piegate le ginocchia e puntati i tacchi a spillo contro il torace, si liberò come una molla caricata e lo scaraventò a terra. Il professore capitombolò in un cupo tonfo sul pavimento. Le braccia e la bocca aperta in una smorfia orribilmente sorridente e il naso simile al becco piatto di un ornitorinco. La fiancata sinistra del volto era ammaccata, verniciata di rosso brillante. Il sangue colando lungo il collo si riversava sul petto, imbrattando la camicia e sul pavimento alimentando una grossa chiazza viscosa. Zada si sollevò e si diresse in bagno, lasciando il corpo del professore ormai privo di energie steso come uno zerbino. Curva sul lavandino, si lavò il viso e la nuca guardandosi atterrita nella specchiera mentre l'acqua crosciante dal rubinetto veniva giù; poi, raccolte le mani al volto, scoppiò a piagnucolare e a lamentarsi. Pensò che quell'arrapato del Ficcaverza era un vero coglione patentato. Se solo avesse atteso e non l'avesse terrorizzata con quel tentativo di stupro, lei avrebbe come sempre soddisfatto tutte le richieste del cliente e quel cazzone eccitatissimo fornito di tentacoli non sarebbe riverso sanguinante sul pavimento. All'improvviso sovvenne e urlò - Oddiooo! È morto, l'ho ammazzato - storpiando e prolungando le ultime parole. Non ebbe il tempo di accorgersene e di pensare ad altro, che si sentì cingere energicamente il ventre dalla stretta di avambracci tesi e rovistare i seni da mani avide. Poi avvertì qualcosa di duro puntato alla base delle natiche. Era il professore che grugnendo cercava di montarla da dietro. Il montone andava a vuoto, premendo contro la coscia e alla parte inferiore della natica destra. La brasiliana gli passava venti centimetri in altezza. L'acqua crosciava riempiendo l'incavo del lavabo. Zada vide il volto deformato del professore riflesso nella specchiera dinanzi a sé, privo di un occhio e imbrattato di sangue come se gli avessero rovesciato un secchio di vernice rossa sul cranio. Aprendo la bocca orribilmente alterata, emetteva versi rauchi e sospiri di piacere. Il primo tentativo di divincolarsi dalla presa andò a vuoto. Il professore premendo con la tempia destra sulla schiena di Zada, ostinato continuava a molleggiare sulle gambe e a scuotere le sue natiche flaccide e sfiorite nel movimento di penetrazione. Poi riuscì a farlo ruotare sul suo fianco destro e dopo averlo afferrato per la nuca provò a orientare la testa verso l'incavo del lavandino. Ficcaverza emettendo strani suoni gutturali simili a gorgheggi sgraziati, a sua volta cercava di liberarsi da quella morsa. Iniziò a mulinare le braccia per aria. Rovesciò molte boccette di profumo e creme che erano sul ripiano della specchiera posta al di sopra del lavabo. Ficcaverza adunò le ultime forze rimaste e si liberò aiutandosi con un colpo di gomiti. Iniziarono una lotta simile allo judo. Si presero per le braccia barcollando e producendo movimenti a scatti. In una movenza sgraziata, per mantenere l'equilibrio, il professore alzò una gamba che a sua volta sollevò la levetta del miscelatore del bidè, che era sistemato alla sinistra del lavandino e accanto al water. Le urla e gli affanni della lotta si mescolavano allo srsrsrsrsrsrssrsr dell'acqua che scrosciava dai rubinetti. Zada divincolò un braccio e afferrò la maglietta in cotone che era immersa nella bacinella a mezz'acqua per il lavaggio a freddo e la spiaccicò grondante d'acqua sulla faccia deforme del professore. Traballò, cercando di riacquistare l'equilibrio. I bianchi calzini non fecero presa sul pavimento reso scivoloso dall'acqua, dal sangue e dagli unguenti versati. Schizzi e sgocciolamenti alla J. Pollock. Il professore, liberatosi dalle braccia di Zada, iniziò a slittare a scatti emulando il passo di moonwalking reso famoso da Michael Jackson. Poi ruotò, perdendo definitivamente il contatto col pavimento viscido, e si sedette sul miscelatore sollevato del bidè Squercrcrcr!!! - Pronto con chi parlo...! - Si rivedeva la faccia di Giancarlo Magalli alla trasmissione I Fatti Vostri, che diceva - Bene signore le offriamo un miscelatore j-type per bidè in nichel brillante per il valore di 79, 90 euro invece del... che fa accetta? - L'orifizio anale del professore aveva accettato senza riserbo alcuno. Insolitamente la levetta del miscelatore non si era tirata giù. La dinamica della caduta e la rapidità del carico di punta esercitato dal corpo con le chiappe protese in avanscoperta aveva fatto in modo che si infilasse proprio lì. - Eureka I. P. O. Identified Penetrating Object - esclamò l'ano slabbrato dell'irreprensibile e stimatissimo Prof. Ing. Attilio Ficcaverza. Sodomizzato dalla levetta e incastrato sul bidè, con il membro duro sporgente simile ad un altro rubinetto, il volto sanguinolento e tumefatto, la bocca spalancata, la lingua e le braccia penzolanti e una smorfia di piacere tracciato sul viso, si stava spegnendo come una candela a cui sta per finire la cera. Prese a delirare e a biascicare domande ad un immaginario studente. - Cipriani nel solido di Saint-Venant... Parfulli mi parli della rottura duttile... signorina mi tracci il diagramma del taglio... le tensioni prodotte... l'equazione di Navier... la torsione... compressione... momento flettente... Jourasky...-
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