racconti » Racconti su sentimenti liberi » Una giornata di festa.
Una giornata di festa.
Quel giorno era festa al paese. Un sabato pieno di promesse che la pioggia ossessiva minacciava di disattendere.
Bastiano era andato all’ovile molto presto quella mattina, come ogni giorno.
Il suo lavoro non ammetteva né ferie né festività comandate, una tazza di caffelatte e pane come colazione e poi fuori: uno sguardo al grigiore del cielo e subito le prime gocce gli bagnarono il viso. Si strinse nel suo pastrano verde, si mise il cappuccio sopra la testa e si avventurò tra quel pantano che ormai era diventata la strada.
La luce del sole avrebbe dovuto accogliere con i suoi primi vagiti quella giornata e accompagnarlo per il sentiero che conduceva all’ovile, ma attendeva nascosto dietro quelle nuvole gonfie e dispettose. Avrebbe rimandato la sua comparsa di qualche ora.
Le donne si muovevano svelte in casa, si chiamavano ad alta voce, scherzavano tra loro e si affaccendavano tra i letti da rifare e la cucina.
Le più anziane impastavano pane e preparavano dolci, in una apparente confusione che invece era controllata consuetudine in quei giorni dell’anno dove le protagoniste della festa erano loro;
registe di questa giornata e anche di tutte le altre, forse inconsapevoli di questo, ma sicuramente forti di una tacita autorità.
In ogni casa dove si trovassero delle donne la scena sarebbe stata la stessa, e nessuna figura maschile tra i piedi a dar fastidio a quei movimenti svelti, pratici, di chi sa quel che fa perché lo fa sin da piccola, gesti ripetuti da sempre: dalla madre, dalla nonna che lo vide fare dalla madre e dalla nonna, e così via, fino a perdersi in antiche memorie; e comunque, anche allora, quando un uomo non era indispensabile, era meglio che girasse al largo. Allora come adesso, tra il silenzio delle coperte, ci sarebbe stato il resoconto della giornata e le vere decisioni, l’ultima parola, erano veto di una e solo di una, altrimenti in casa sarebbe stata guerra per giorni e giorni.
In piazza alcuni operai attendevano all’interno di un bar che la pioggia dimostrasse un po’ di clemenza, per terminare i lavori in tempo per il pomeriggio: un piccolo palco che avrebbe ospitato dei cantanti tradizionali.
Da lì a poco, pioggia permettendo, la piazza si sarebbe riempita di uomini col vestito buono.
Anziani e giovani avrebbero affollato i bar, avrebbero occupato i tavolini con carte da giuoco e bicchierini di vino bianco. Sarebbe stato l’inizio di un lungo sabato dedicato ad ampie bevute, balli, risate, e come spesso accade, scaramucce che l’alcool avrebbe amplificato seminando promesse di rivalsa, annunciate da sguardi di traverso e mezze parole dette con un bicchiere in una mano e l’altra intenta ad accarezzare il manico liscio di un coltello nascosto nella tasca posteriore dei pantaloni.
Bastiano era di rientro per mezzogiorno. Zuppo di fango e acqua, si avvicinava ciondolante sul suo antico e fidato mezzo di trasporto.
La pioggia si diradava lentamente e i raggi di sole sbadigliavano annoiati facendosi spazio tra le nubi; una leggera brezza di maestrale stava ripulendo il cielo. Il pomeriggio sarebbe stato caldo e assolato rispettando il calendario che ormai indicava l’inizio di giugno.
Quando fu ormai a casa smontò dal suo cavallo e legò l’animale all’anello fissato al muro di fronte, allentò le cinghie della sella lasciando che il cavallo si rilassasse in un lungo respiro; lo avrebbe condotto più tardi al suo riparo. Adesso aveva solo bisogno di levarsi gli stivali.
Un buon bagno caldo lo attendeva: avrebbe lavato quelle ore di lavoro e l’odore selvatico delle sue bestie, immerso nei suoi pensieri e nella vasca da bagno.
Avrebbe ripercorso nella sua mente le immagini di quella pioggia così diversa, di quel freddo così diverso, di quando una patria che non era la sua lo aveva chiamato lontano dalla sua terra, in quel continente al di là del mare dove la gente per strada non si salutava e andava svelta, e bisognava stare attenti quando si camminava, poiché ad ogni passo si rischiava di andare a sbattere contro qualcuno.
Aveva avuto fortuna comunque. Durante il militare aveva incontrato un sergente che era nato in un paese poco distante dal suo; gli aveva dato una mano ad ambientarsi, a capire le regole, a capire quella lingua in cui si impartivano gli ordini e a districarsi in quella babele di dialetti nella quale i suoi commilitoni si esprimevano.
Per il resto l’anno della naia era stato come una vacanza. Bastiano al suo paese si alzava molto prima dell’ora in cui si svegliano le camerate e il lavoro era meno faticoso del suo.
Il suo fisico era stato forgiato da anni di lavoro in campagna, da interminabili ore passate ad ascoltare la natura, con la sola compagnia dei suoi cani, del suo gregge, della pioggia violenta o del sole rovente, della paura che passava solo ai primi raggi di sole.
Unico amico il fidato coltello: stretto nel pugno durante il sonno, stretto nel pugno per la colazione, stretto nel pugno quando devi sgozzare l’agnello, tua fonte di rendita, cibo prelibato per i signori della città.
Incominciò a fare quella vita che non aveva dieci anni; smise solo per l’anno del militare e quando tornò a casa l’aria del nord non lo aveva di certo cambiato.
Partì che era uomo già da un pezzo, non fu certo un fucile o le giornate oziose in branda o le serate in pizzeria tra commilitoni che lo fecero diventare granito.
Di quei ricordi le uniche volte che gli si illuminavano gli occhi era quando raccontava delle ragazze del nord, tra gli amici, al bar.
Non ne aveva mai conosciuta una veramente. Le ragazze al nord non davano confidenza ai militari,
eppure lui al paese, quando passava per lo stradone il sabato sera, si faceva guardare.
Le ragazze ci lasciavano gli occhi e il cuore su quelle spalle di roccia e quel viso scuro, cotto dal sole. Morivano al pensiero di quella pelle di cuoio nascosta da una sottile barbetta, dal desiderio di quelle labbra carnose che celavano un raro sorriso. Un solo sguardo di quegli occhi corvini avrebbe sconvolto intere notti di troppe ragazze.
Poco prima dell’ora del pranzo la piazza era colma di gente. Ormai era una bella giornata. I ragazzi stavano fuori dei bar, con i bicchieri colmi di birra a guardare le ragazze che passavano, appoggiati con una gamba al muro e col pollice della mano infilato in tasca, atteggiamento spavaldo di chi sente nella sua gioventù la sua forza.
Gli anziani parlottavano tra loro. Qualcuno giocava a carte e ogni tanto si tirava su il berretto per grattarsi il capo; la giocata valeva un attimo di concentrazione, chi perdeva pagava da bere.
Anche Bastiano raggiunse la piazza: una camicia bianca, un abito di fustagno nero, la giacca sulle spalle e i pollici in tasca; l’abito della festa, quello d’ordinanza.
Anche la camminata era d’ordinanza.
Un saluto agli amici al bar, un bicchiere di birra gelata in mano, qualche risata per dei commenti a qualche ragazza di passaggio e gli accordi per la serata che doveva arrivare.
Fu allora che si sentì chiamare; si girò Bastiano. Due occhi verdi accesi dalla luce di un sorriso lo fissavano.
Un’ombra veloce di diffidenza invece attraversò lo sguardo serio di Bastiano, ma solo per un secondo; riconobbe quasi subito in quegli occhi i pomeriggi estivi trascorsi ad osservare le lucertole distese sui sassi, a tuffarsi dalla roccia alta nel lago della valle di sopra, a fare insomma tutto quello che fanno i bambini che hanno la fortuna, o la sfortuna, di nascere in una terra come quella.
Martin partì per la Germania seguendo i genitori in una migrazione che in quegli anni era la regola, Bastiano invece partì poco lontano, a governare il bestiame di suo padre.
Si videro raramente in seguito e ogni volta erano un po’ meno bambini.
Un abbraccio caloroso tra i due confermava tutti quei ricordi. Bevvero insieme, Martin e Bastiano, brindarono a quell’inaspettato ritrovarsi, si scambiarono frasi di rito e frasi sincere dandosi appuntamento per la sera, in piazza.
Il palco ormai era pronto e gli operai dopo un meritato bicchiere di birra fresca avrebbero raggiunto le proprie case, dove le loro donne avrebbero preparato il grandioso pranzo della festa, come a casa di Bastiano e come in tutte le altre case del paese.
Un esodo tacitamente concordato spogliava lentamente la piazza. Ognuno si dirigeva verso le proprie abitazioni, i tavolini si svuotavano e il riverbero abbagliante del sole mangiava pian piano le ombre e metri di cemento.
In pochi minuti la piazza e le strade del paese si sarebbero avvolte in un silenzio desertico, rotto solo dal ronzio di qualche cicala nascosta tra i muretti a secco.
Sarebbe rimasto solo il caldo a farla da padrone nelle prime ore pomeridiane, mentre all’ombra delle case la gente banchettava col cibo generoso che quella terra sapeva offrire: gli agnellini più teneri e saporiti, maialini dalla cotenna croccante e succulenta, vino forte e generoso come i cuori di chi vendemmiava.
E infine il silenzio, nelle stanze del riposo, dove il vino avrebbe cullato un sonno pomeridiano per gli uomini e premiato le donne per il lavoro fatto.
Solo i bambini restavano irrequieti nei loro lettini lontani dal sonno, imprigionati tra le mura di casa a fare giochi sottovoce, con l’ordine di fare silenzio per non disturbare e l’imperativo di non uscire. In quelle ore la “Mamma del sole” si aggira per le strade, e la Mamma del sole non ama i bambini.
Dolcemente il pomeriggio scivolava via. Lentamente le luci delle bancarelle accompagnavano gli ultimi raggi di sole oltre le colline mentre le strade principali del paese si risvegliavano. Le ragazze passeggiavano tenendosi sottobraccio, soffermandosi ogni tanto ad osservare le dimostrazioni di straordinari venditori di oggetti miracolosi, che avrebbero alleviato le fatiche di tutte le massaie pulendo alla perfezione qualsiasi pavimento, tappeto o superficie lavabile senza risciacquo e senza spaccarsi la schiena. I bambini tiravano per la gonna le madri di fronte alle bancarelle di dolciumi e le mannaie dei venditori di torrone schioccavano insistentemente sui taglieri.
Intanto nella piazza tutto era pronto, sotto il palco incominciavano a raggrupparsi i primi spettatori e da lì a poco dei cantori tradizionali avrebbero acceso la festa.
Nei bar traboccanti di gente era cominciata la danza dei bicchieri. Si scontravano i cristalli negli innumerevoli brindisi. Occhi negli occhi e giù, tutto d’un fiato, ancora, ancora e ancora.
Vino, birra, liquori tradizionali e acquavite della più forte. Questo era il menù, il rito consueto, che avrebbe portato sul tardi della sera a qualche scazzottata tra amici e non di rado al luccichio di qualche lama. Non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta che davanti ad una battuta pungente a pungere sarebbe stata la lama.
La musica dal palco incominciava a coinvolgere il pubblico: cantilenante, rauca, un’armonia unica e inconfondibile, ripetuta e irripetibile. Tenori da una voce antica costruivano sbilenche melodie sulle voci ritmiche e roche dei bassi. Era così da sempre, era così da secoli.
Donne e uomini si prendevano sottobraccio e ballavano balli antichi. Si univano in piccole file, ballando con piccoli passi veloci, creando cerchi e girando in tondo.
Da quelle parti era così da sempre, era così da secoli.
Bastiano è al bar anche lui, anche lui fa danzare il suo bicchiere e beve, come tutti del resto.
Poco lontano un gruppo di suoi amici gioca alla morra. Bastiano si avvicina e, divertito, si mette ad osservare il gioco. Una mano sulla spalla lo distrae: è Martin.
I due si sorridono e un secondo dopo brindano insieme. Gli occhi negli occhi e giù, ancora e ancora.
Non bastano venti anni di Germania per trasformare il sangue che ti scorre nelle vene.
I due parlano delle loro vite, scherzano tra loro e con gli amici, parlano di ragazze, giocano alla morra e bevono. Tra un - “ti ricordi di quando…” e l’altro, si ritrovarono a parlare della valle di sopra, dei tuffi estivi nel lago, da bambini. Fu una luce strana negli occhi di Martin a proporre il desiderio di rivedere la valle.
La logica avrebbe voluto che a visitare la valle si andasse l’indomani, nel pomeriggio, alla luce di un caldo sole ma, sotto l’effetto di calici mai stanchi, alcune azioni apparentemente senza senso, assumono un proprio senso logico.
Una chiara luce lunare indicava il percorso per la valle. Guidava Bastiano, anche se l’auto era di Martin, poiché lui conosceva bene la strada. I due si passavano continuamente da bere mentre Martin notava, osservando fuori dal finestrino, che per quanto poco visibile fosse il percorso, quei pochi chilometri, che dal paese portavano alla valle erano rimasti uguali a prima, al periodo in cui lo percorrevano sul dorso di un somarello, o magari a piedi.
Ci sono posti che l’uomo non riesce a trasformare, o forse non vuole. Forse, una saggezza innata di alcuni uomini, una legge non scritta, un patto antico tra la natura e l’uomo, un giuramento fatto stringendo tra le mani zolle di terra umida o facendosi scorrere l’acqua fresca di un torrente tra le mani e sul viso, avevano permesso che tutto fosse uguale. Forse per questo niente era cambiato nella valle, forse per questo da quelle parti la natura non ha mai offeso gli uomini.
Sughereti e querce, corbezzoli e mirto convivevano a ridosso del placido lago allora come adesso.
E gli uomini godevano dei tesori della valle donando in cambio cura e rispetto.
Da quelle parti era così da sempre, era così da secoli.
I fari potenti del fuoristrada tedesco di Martin illuminavano quasi a giorno il placido lago dei ricordi adolescenziali. Ancora alcool tra i due e risate e scherzi. E ancora quell’illogico balzano agire. Martin spinge in acqua Bastiano fino alle ginocchia, il quale non molla la presa, trascinando Martin con sé.
Sono tornati bambini ora. Non esiste più la Germania, l’ovile, il paese, solo schizzi d’acqua e risate.
I due si spogliano dei vestiti ormai fradici, nuotano nella scia di luce dei fari dell’auto. Giocano fra di loro e per scherzo lottano nell’acqua. Quei corpi nudi si muovono avvinghiati in un abbraccio ellenico. Sembra una scena benedetta da Ares. Muscoli tesi in un gioco maschio. L’argenteo scintillio di spruzzi d’acqua sulla pelle nuda dei due, ombre e chiaroscuri disegnati su corpi di antichi guerrieri. In altri tempi sarebbe apparsa come una lotta sul monte Olimpo, dove due dèi avrebbero giocato la loro olimpiade per ottenere in premio una Venere. Scomparivano irreali quei corpi tra lembi di brunita luce lunare, e riapparivano all’improvviso nel fascio dorato e violento dei fari dell’auto. Qualsiasi pubblico avesse assistito allo spettacolo si sarebbe sentito rapire dalla sensuale energia di questa arena. Una finta violenza si celava tra quella strette, tra quelle spinte. Un attimo di respiro per guardarsi negli occhi. Fu Bastiano che baciò violentemente Martin. Si trascinarono senza staccarsi dalla stretta, con i nervi ancora più tesi in quell’abbraccio, fino alla riva del lago.
Si sdraiarono sull’erba umida e iniziarono un’altra lotta che nessun altro uomo mai avrebbe approvato in paese.
Nessuno vinse in quella lotta, solo il sonno e l’alcool lasciarono i due stremati e vinti sulla sponda del lago. Le prime luci dell’alba risvegliarono i corpi tremanti sotto una fresca brina.
Storditi tornarono in silenzio in paese. Martin guidava mentre Bastiano teneva lo sguardo fisso sulla strada.
Da lì a poco si sarebbero salutati per sempre.
Bastiano si infilò sotto la doccia, questa volta per levarsi di dosso l’odore di erba umida, e forse, l’odore di Martin.
Doveva andare all’ovile, doveva andarci comunque, anche quella mattina.
Avrebbe sbrigato velocemente le sue faccende di lavoro, per tornare giusto in tempo per il pranzo.
Ogni tanto pensava alla notte precedente. Sapeva che non avrebbe più rivisto Martin, ma un’ombra di rimorso lo disturbava. Di rimorso, non di rimpianto. Aveva paura di essere stato solo imprudente: se qualcuno avesse visto, se qualcuno avesse raccontato.
Sarebbe stato costretto a rispondere a quell’infamia con la voce del suo fucile.
Da quelle parti era così da sempre, era così da secoli.
123456
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0