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Un piccolo incontro
“Vedi”, diceva il centurione Adrio al giovane legionario Tito, appena arrivato da Roma :
“All’inizio credi che sia impossibile vivere qui, ma ti assicuro che anche a Gerusalemme ci sono luoghi e giardini che ricordano casa”.
Tito annuiva guardandosi intorno, mentre il sudore gli scendeva copioso dalla testa rasata chiusa nell’elmo, sempre più bollente sotto il sole.
Si trovavano in una piazza dove c’era mercato, piena di tende multicolori, sotto le quali si vendeva di tutto.
Una processione interminabile di persone, famiglie intere, carri, animali da soma carichi di ceste e giare di vino, andavano e venivano in tutte le direzioni, sollevando una coltre di polvere che si infilava dappertutto, toglieva il respiro.
Un vociare continuo in svariate lingue e dialetti, specialmente in prossimità dei banchi di vendita e delle taverne.
Era l’inizio della festività di Pèsach, Pasqua in latino, spiegava il centurione, ecco perché c’era tanta gente, veniva da tutti i paesi intorno.
“Sono pacifici, certo, non tutti ci amano, bisogna capirli, siamo a casa loro, ma è da un bel po’ che non ci sono disordini…”
Un vecchio di bassa statura e piegato, seduto sopra un asino carico di ceste, salutò con un sorriso sdentato il centurione, che si mise a parlare con lui e poi con altri uomini che si univano poco alla volta, mostrando familiarità con il loro idioma aspro, confidenza e allegria, che al giovane legionario Tito sembravano eccessivi, perciò rimaneva in disparte, ostentando una guardinga indifferenza.
Quando Adrio tornò da lui vide che soffriva, ansimava.
“Non sei abituato al caldo eh? ”
Tito si appoggiò alla tenda di porpora di un banco, quasi rovesciandolo.
Il proprietario lo guardò di traverso, ma vedendo il centurione si ritrasse con un lieve inchino.
“Sto male centurione, mi brucia la gola, mi esce sangue dal naso…”
“Lo vedo, lo vedo, siediti qui”
cacciò dei ragazzini che mangiavano all’ombra di un muretto
”Slacciati l’elmo, vado a prenderti del vino alla taverna, non preoccuparti. ”
Sparì tra la folla, in direzione di alcune arcate sormontate da tende.
Tito sputò sangue, si accasciava sempre di più, il cuore sembrava impazzito, respirava come dentro una fornace, la luce del sole lo accecava, infieriva sulla sua testa. Nessuno mostrava di accorgersi di lui, chiuse gli occhi, sperando che il centurione tornasse presto. Quando li riaprì, si vide davanti un paio di piedi sporchi dentro sandali impolverati. Un ragazzino, con una tunica di lana bianca stretta ai fianchi da una fune e una kefiah bianca e azzurra avvolta sulla testa lo guardava, mangiando lentamente un pezzo di carne di agnello avvolta in foglie di vite.
“Vattene! ” gli disse Tito.
Quello non si mosse. Dietro di lui altri ragazzini parlottavano fra di loro indicando divertiti il legionario.
“Cosa vuoi? Vattene! ”
Ripetè Tito, allungando la mano per schiaffeggiare quell’insolente, ma barcollò, un dolore atroce al ventre e al petto, si sentiva morire.
“Stai male legionario” disse il ragazzo in latino, avvicinandosi talmente al suo viso che Tito ne avvertiva l’ alito, di carne di agnello, che gli faceva rivoltare lo stomaco.
Lo sguardo del ragazzo sembrava compassionevole, addolorato.
“Si…Sto male…” rispose Tito guardandogli gli occhi, che non lo lasciavano mai.
Il ragazzo posò una mano sul suo viso.
“Vuoi uccidermi?.. Sei uno stregone, un ribelle…maledetto…no..! ”
Il buio e il silenzio scesero su Tito.
Riaprì gli occhi.
La luce lo inizialmente lo accecò. Poi vide nitido. L’aria era fresca, la folla intorno a lui si muoveva, sollevando la polvere che turbinava in alto come una danza, una festa, una gioia…che bello vedere quella gente allegra, viva, e lui… stava bene, non sanguinava più, la testa non gli martellava, il ventre e il petto erano forti e sani, il sole non lo tormentava, era rinato.
Persino il vociare incomprensibile della gente intorno a lui ora sembrava musica.
Raccolse l’elmo, quando vide il ragazzo porgergli l’agnello che stava mangiando.
Era talmente vicino al suo viso che poteva sentirne l’alito, vedere il suo sorriso, i denti spiccavano bianchissimi sul viso abbronzato. Tito assaggiò la carne avvolta nelle foglie di vite. Si stupì di provare appetito, piacere.
“Sei stato tu…chi sei ragazzo…come ti chiami? ”
“Joshua ben Joseph”
Tito scosse la testa sorridendo.
“Dimmelo in latino”
Il ragazzo sorrise anche lui e rispose :
“Gesù, figlio di Giuseppe, legionario. ”
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0 recensioni:
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- Primo Wong, Alberto Veronese, vi ringrazio per il vostro apprezzamento.
A rileggerci.
Alberto
- interessante, bel finale
- bello, oltre ogni previsione; quel Tito mi ha spiazzato. letto con molto gusto.
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