IO E LUI
Oggi
Salve, mi presento. Mi chiamo Stefano Colli, quarantadue anni altezza media né bello né brutto. Uno come tanti, insomma. Sono diplomato in ragioneria (48/sessantesimi). Lavoro in banca, una piccola filiale di una grande banca in una piccola città. Ci sono entrato a ventidue anni prima come commesso poi alla cassa dopo un concorso interno. Sposato con Milena di tre anni più giovane di me, una donna come tante. Un figlio di quindici anni, Luca, che si divide fra studio (poco) playstation (tanta) e canne (troppe). E ho anche un meticcio preso in un canile dopo aver visto un servizio alla televisione sui cani abbandonati. Lo volevo chiamare Thor come l'eroe dei fumetti della mia infanzia, quella divinità vichinga che combatteva i nemici con un martello magico, ma mia moglie mi chiese cosa c'entrava un toro con un cane. Questo per darvi l'idea della sua ignoranza (di mia moglie, non del cane). Così l'abbiamo chiamato Bobby come voleva lei. Sono anche un tipo sportivo, se si può definire sportivo uno che gioca a calcetto con gli amici una volta alla settimana. Vivo in un appartamento di ottanta metri quadri con garage in un quartiere in periferia e vado regolarmente alle assemblee condominiali. Uno come tanti, come dicevo. E sto andando ad uccidere un uomo. Ma procediamo con ordine.
Oggi
Salve mi presento. Mi chiamo Giovanni Torelli, sessantacinque anni corporatura robusta. Fin da ragazzo sono sempre stato considerato “vivace”. Mi piaceva fare a pugni e misurarmi anche con quelli più grandi di me. A sedici anni sono stato in un riformatorio per aver rubato una bottiglia di gin dentro un bar, chiaramente dopo aver malmenato il barista. Poi ho avuto un periodo tranquillo, ho conosciuto Giulia e abbiamo avuto una bambina che abbiamo chiamato Valentina. Lavoravo in un'officina meccanica ma i soldi non bastavano mai. Ora Valentina ha quarantacinque anni, è separata e mi ha regalato uno splendido nipotino di dodici anni che si chiama Filippo. Ho fatto trent'anni di galera senza permessi, sconti e riduzioni varie e poi vedremo perché. Ho fatto tutti i trent'anni di galera che mi avevano dato al processo. Sono entrato in carcere che il Papa era ancora Paolo VI e i computer occupavano intere pareti. E ieri finalmente sono uscito. Ma procediamo con ordine.
Meno trenta.
“Stefanooo! ” È mia mamma che mi chiama “Vai dal nonno a prendermi le sigarette. E non tornare tardi che alle sette e mezza si cena”
La guardo dal basso del grande cortile condominiale mentre si ritrae senza nemmeno aspettare che le risponda. Tanto mica posso dirle di no. E poi dal nonno ci vado sempre, anche se lei non me lo chiede. Mio nonno si chiama Vittorio ed è il papà di mio padre. Mio padre è morto due anni fa. Morte bianca, la chiamano. Forse per pudore, come per non volermi fare del male. Come se una morte gialla o verde o nera mi avesse ferito di più. Quando telefonarono a casa dicendoci che era caduto da quell'impalcatura mia madre rimase immobile. Non pianse, non gridò. Forse se l'aspettava, credo. Glielo diceva sempre a mio padre
“Fai attenzione, tu soffri di vertigini”
“Lo so ma non preoccuparti, ho sempre il caschetto”
Chissà se la testa sotto al caschetto aveva resistito alla caduta. Il collo sicuramente no.
Mia madre è la classica donna che ogni marito vorrebbe sposare. Dedita alla casa, ottima cuoca e mille attenzioni anche per me. Comunque adesso c'è mio nonno. Per un dodicenne come me la figura del nonno è fondamentale. Appena finiti i compiti vado sempre da lui e lì davanti ho la compagnia di amici. Davanti alla sua tabaccheria, intendo. Vicino c'è il bar dove andiamo a giocare a Space-Invaders e a Packman e le duecento lire per giocare me le dà sempre lui, mio nonno. E davanti c'è un parchetto dove andiamo a giocare a pallone.
Arrivo nella tabaccheria e gli corro incontro.
“Nonnooo! ” grido
Mi prende per le ascelle e mi tira su come se fossi una piuma. È forte, mio nonno. Anche se ha tanti anni è ancora robusto e mi racconta sempre di quando faceva la boxe. Mia nonna non l'ho mai conosciuta e mi hanno detto che aveva una brutta malattia. Come se le altre malattie fossero belle. Morte bianca e brutta malattia. Valli a capire i grandi quando parlano. Mio nonno vive con noi da prima che nascessi e la sua presenza in casa è sempre stata abituale per me. La sua camera è attaccata alla mia e quando di notte non dormo busso sul muro dove so che dall'altra parte c'è il suo letto. E quando mi risponde sono felice. Poi da quando è morto mio padre lui mi ha avvolto con le sua attenzioni. Al suo fianco mi sento sempre protetto e lui protegge anche mia mamma. Dice sempre che quando sarò grande mi lascerà la tabaccheria così non avrò bisogno di trovarmi un lavoro.
“Stefanino! Hai fatto i compiti? ”
“Sì. La mamma vuole le sigarette”
“E tu cosa vuoi? ”
“La liquirizia”
Allora il nonno prende una rotella di liquirizia e me la dà dicendomi
“Però la mangi stasera dopo cena se no la mamma si arrabbia con tutti e due”
“Va bene”
Mi piace la sua complicità e non gli direi mai una bugia.
“Adesso prendi le sigarette e vai a casa. Dì alla mamma che fra venti minuti arrivo, il tempo di fare i conti e di chiudere. ”
Mentre mi dice così si gira per prendere il pacchetto proprio mentre entra un cliente. Ma non è un cliente vero. Ha una grossa pistola nera in mano e si avvicina velocemente al bancone.
“Dammi i soldi subito e nessuno si farà del male”
Non capisco se è uno scherzo o se è un ladro vero, mio nonno ha tanti amici che fanno gli scherzi. “Va bene ma metti via quella pistola” gli dice mio nonno guardando verso di me.
E in quel momento che lui si gira e mi vede. Rimane così un'istante mentre io penso “- Ecco, adesso il nonno esce da lì dietro e lo riempie di botte -”
Poi due spari e mio nonno per terra dietro al bancone con la camicia bianca sporca di sangue.
Meno trenta
Che cazzo ho fatto... l'ho ammazzato... sono fregato... chi ha sparato prima di me?-
A questo penso, immobile, mentre vado indietro di alcune ore
“Giovanniiii” è mia moglie che mi chiama dalla finestra della cucina. “Stasera non tornare tardi come al solito che ci sono Paolo e la Luisa”
“Lo so, lo so” rispondo. E come potrei essermi dimenticato di quei due rompiscatole? Paolo è il cugino di mia moglie e quando viene a cena da noi non fa altro che parlare del suo lavoro, dei suoi hobby, dei suoi viaggi. Dei suoi soldi insomma. Come se non sapesse che noi non nuotiamo nell'oro. Questo mese non ho neanche i soldi per pagare la bolletta dell' ENEL. Brutta bestia, il gioco. Da quando ho perso il lavoro quel bar è diventato casa mia. Gioco a tutto perché sono bravo e vinco spesso. Boccette e goriziana sono la mia passione ma i soldi veri girano di là, nella stanza prima del bagno. Lì prima di entrare devi chiedere il permesso a chi c'è già dentro. E se entri devi giocare, niente spettatori o commentatori del cazzo. Noi li chiamiamo “giocatori da spigolo” perché vivono sugli angoli dei tavoli e guardano le carte da dietro prima di dire “somaro, dovevi giocare l'asso! ”. Lì dentro si beve, si fuma e si tira la coca. E si gioca forte. Scala quaranta, poker, sette e mezzo, bestia, teresina, ramino pokerato e qualsiasi altro gioco di carte che presupponga un piatto alto. Io vinco sempre qualcosa ed ogni giorno porto a casa venti, trentamila lire. Più di quanto guadagnavo quando ancora lavoravo nell'officina meccanica, ma adesso ho qualche vizio in più. E anche la famiglia costa, Giulia non lavora e Valentina va a scuola. È molto brava, la migliore della classe. Comunque bisogna mettere in conto che non sempre si vince, anzi negli ultimi giorni ho perso quanto avevo vinto in un mese. Oggi sono al verde e mi servono assolutamente dei soldi. Ho tenuto d'occhio quella tabaccheria per una settimana. Il proprietario è un vecchio che appena vedrà la pistola si metterà a piangere e mi aprirà la cassa. Già, la pistola...
“Nano, mi serve un favore” Nano è un gigante di un metro e novanta che traffica in tutto. E quando dico tutto intendo tutto. Abbiamo fatto le elementari assieme e mi vuole bene come ad un fratello, non mi dice mai di no e mi difende ogni volta che litigo con qualcuno. Anche quando sono ubriaco e ho torto marcio.
“Se posso volentieri ma se sono soldi sono alla frutta” mi risponde
“Mi serve una pistola. Una pistola vera, non un giocattolo”
Nano mi guarda cercando di non mostrarsi meravigliato, ma non ci riesce.
“Ah sì, una pistola. Che calibro? ”
“Non mi interessa, basta che faccia un bel botto se sparo”
“No scusa non ho capito. Devi sparare a qualcuno? ”
“No, devo ripulire un tabacchi. Non devo ammazzare nessuno ma se quello fa l'eroe sparo un colpo nel soffitto, così si caga addosso”
“Ok Giovanni ma ti dò un solo proiettile”
“Perché? ”
“Perché tu non hai mai fatto una rapina. Un furto in un appartamento o in un bar quando è chiuso è diverso, molto diverso. Se dopo che buchi il soffitto le cose si mettono male ti beccano armato e con la pistola scarica puoi sempre dire che volevi sparare solo quel colpo per spaventarlo”
“Ma è proprio quello che voglio fare”
“Appunto”
Dopo venti minuti prendo la pistola dalle mani di Nano, a casa sua. Scendo le scale, esco e mi avvio verso la tabaccheria. È lontana circa un paio di chilometri da casa mia e ci sono entrato solo tre o quattro volte in tutta la mia vita e l'ultima due giorni fa per un sopralluogo. Ho visto che è grande e non vende solo le sigarette. È anche edicola, cartoleria e ricevitoria del totocalcio. Sta per chiudere e se sono fortunato ci tiro su un bel gruzzolo. Poi a Nano gli faccio un bel regalo visto che la pistola me l'ha prestata e non ha voluto niente in cambio. Arrivo davanti alla tabaccheria e scruto dentro senza dare nell'occhio. Il vecchio è di spalle e sta prendendo qualcosa dallo scaffale, tiro un profondo sospiro ed entro quasi di corsa.
“Dammi i soldi subito e nessuno si farà del male”
Il vecchio si gira di scatto e mi guarda negli occhi mettendomi a disagio. Non è per nulla impaurito e spero che non reagisca.
“Va bene ma metti via quella pistola” e dicendo così gira lo sguardo verso l'altro lato del negozio. Sembra quasi che mi ammicchi per indurmi a guardare da quella parte e saltarmi addosso ma fra me e lui c'è il bancone di mezzo così giro la testa ma sempre tenendo la pistola puntata verso di lui.
Solo allora vedo il bambino. Ha lo stesso sguardo del vecchio e mi fissa anche lui dritto negli occhi. Improvvisamente alle mie spalle sento uno sparo. Forte, nitido e terribilmente vicino. Il nervosismo e la paura mi provocano un sussulto e una contrazione. Sparo verso il vecchio senza nemmeno accorgermene. E mentre sento il tonfo del corpo che cade sulla pedana dietro al bancone penso
“- che cazzo ho fatto... l'ho ammazzato... sono fregato... chi ha sparato prima di me? -”
E resto lì finché non mi portano via.
Meno venticinque
Nella tabaccheria adesso c'è mia mamma. Io quando ho finito di studiare vado sempre lì ma non per andare poi nel bar vicino o nel parchetto davanti. Adesso devo lavorare. Mia mamma si alza tutte le mattine molto presto perché arrivano i giornali e dall'altra parte della strada c'è la fermata dell'autobus. A pranzo mangia un panino nel bar a fianco poi quando verso le quattro del pomeriggio arrivo io va a casa e continua a lavorare lì. Deve stirare, lavare, cucinare... E fortuna che la signora Bonatti del piano di sopra si è offerta di darle una mano. Ha le chiavi e la mattina rifà i letti, prepara la lavatrice, spazza. Ci mette meno di un'ora ma è un bell'aiuto per mia madre. Ma l'aiuto più grosso è che pranzo da lei così la mamma non deve chiudere la tabaccheria per prepararmelo. La signora Bonatti è una brava donna che non vuole niente in cambio, così ogni tanto mia madre le regala una stecca di Multifilter. Non ce la passiamo male, ma è dura senza più il nonno. Prima mio padre, adesso lui. Al funerale c'era tanta gente, praticamente lo conoscevano tutti. Ricordo che non piangevo perché c'erano i miei amici e soprattutto c'era Milena che mi piaceva e non volevo farmi vedere in lacrime da lei. Ero ancora piccolo e non ho potuto seguire bene il processo, ricordo solo che quando mi portarono in caserma per la prima volta per raccontare quello che avevo visto dissi che avevo sentito due colpi. Ma la pistola del rapinatore aveva sparato una sola volta. E poi mio nonno aveva un solo buco nella pancia. Grosso.
”Sei sicuro di aver sentito due colpi? ” mi chiese quel giorno il carabiniere cercando di essere il più gentile possibile.
“Sì, uno dietro l'altro” risposi. Vicino a me c'era una govane donna, credo una psicologa o qualcosa di simile. Mia mamma mi aspettava in corridoio.
“Due colpi uguali? ”
“Sì. Cioè no... non lo so” stavo per scoppiare a piangere e la donna vicino a me se ne accorse.
“Maresciallo, forse è meglio aspettare qualche giorno” disse con fermezza
“Certo – ammise lui sospirando- certo... ”
In realtà non avevo ancora capito cosa volevano sapere da me, avevo capito solo che poteva essere importante.
Dopo la morte del nonno per tre anni mi hanno dato delle medicine perché di notte lo sognavo, mi svegliavo e piangevo. Dormivo nel letto con mia mamma e avevo dovuto ricominciare a mettere il pannolone. Poi il giorno del mio quindicesimo compleanno, due anni fa, chiesi a mia mamma come regalo di non metterlo più. Ora la mia vita è cambiata. Vedo i miei amici che vanno in giro e si divertono e io devo rimanere a casa a studiare o in tabaccheria a lavorare. Anche se sono ancora minorenne dimostro più anni e mi sono anche fatto crescere un po' di peluria sotto il naso. Sono cresciuto prima degli altri, fuori ma anche dentro. Ora non prendo più le medicine ma ogni tanto di notte mi appare il nonno e io mi sveglio e piango.
Meno venticinque
La vita in carcere è dura, non c'è niente da fare. Ma un po' alla volta ci si abitua. Al processo ho avuto la fortuna di trovare un bravo avvocato. D'ufficio naturalmente, perché non avevo soldi per pagarmene uno. Era un giovane neolaureato e si vedeva che voleva fare carriera.
“Allora, mi parli di quello sparo” mi chiese nella saletta del carcere.
“Niente, l'ho sentito da dietro. Ero teso, nervoso. Non avevo mai rapinato nessuno. E quando ho sentito lo sparo il dito mi è partito da solo”
L'avvocato in poco tempo rintracciò la persona giusta. Era il proprietario di una FIAT 128 che abitava vicino alla tabaccheria. Aveva installato un polmone nel baule dell'auto per farla andare a GPL. Al processò quell'uomo testimoniò dicendo che quel maledetto pomeriggio la 128, parcheggiata a cinque metri dalla tabaccheria, faceva i capricci per partire e ad un certo punto tossì forte. Un colpo solo, come quello della mia pistola. Era questo lo sparo che mi fece trasalire e sparare. Questo, unito al fatto che avevo portato un solo colpo in canna, avallò la mia versione. Che poi era la verità. L'avvocato fece un'arringa appassionata e mi evitò l'ergastolo. Mi diedero trent'anni ma lui disse che se in carcere mi fossi comportato bene sarei uscito prima. Adesso sono in un penitenziario a trecento chilometri da casa mia e mia moglie e mia figlia possono venire raramente.
“Hey Giovanni - è il mio compagno di cella. Si chiama Cosimo e l'hanno beccato con quasi venti chili di eroina in casa. Un povero diavolo che faceva il lavoro sporco per gli altri – con chi ce l'avevi in cortile? ”
“Con uno che voleva fare il prepotente. Bisogna stare attenti con i calabresi” gli rispondo cercando di non mostrare la paura che ho avuto poco fa in cortile.
“Anche io ho avuto dei problemi con qualcuno una volta. Poi ho chiarito tutto, gli ho rotto il naso”
La sapevo a memoria quella storia, ma gliela lasciavo raccontare sempre. Cosimo in carcere era rispettato adesso perché l'altro era un mezzo boss, uno di quelli che non ti chiedono una sigaretta ma te la prendono direttamente dal pacchetto. Un giorno Cosimo si è stancato e gli ha stampato un diretto sulla punta del naso. Se domani quello lì me lo ritrovassi di fronte dovrei fare come lui. Ma io da vent'anni non faccio più a pugni. E poi se ti beccano a litigare son cazzi, qui non scherzano.
Meno venti
Oggi è un giorno importante per me.
“Allora, signor Colli. Suo zio mi ha parlato molto bene di lei”
Mio zio in realtà era un cugino di secondo grado di mio padre che ricordavo di aver visto due sole volte in vita mia e che chiamavo zio. La prima volta al funerale del nonno e la seconda una settimana fa quando è venuto in tabaccheria per parlarmi di lavoro. Sicuramente c'era al funerale di mio padre ma io non me lo ricordo proprio. Abita dall'altra parte della città e lavora in banca. In questa banca, anche se in un'altra filiale.
“Sono contento che abbia parlato bene di me ma ancora non ho capito di cosa si tratta”
“Sergio, il nostro vecchio commesso, la settimana prossima va in pensione e ci serve una persona giovane che ne prenda il posto”
“Commesso? ” non capisco il senso di questa parola associata ad una banca
“Sì, lei farà gli orari di banca e dovrà andare a portare fogli, documenti, contratti. Tutte quelle cose urgenti che non possono aspettare i normali tempi della Posta”
“E dove devo andare? ”
“Altre banche, aziende, negozi, uffici. Un lavoro tranquillo dove l'unico nemico è il traffico. Avrà un'auto aziendale, ovviamente. In più lei è diplomato e appena uscirà un concorso interno lei sarà in pole-position” aggiunge con un sorriso. Sembra molto disponibile nei miei confronti, forse lo zio gli ha raccontato anche che sono orfano e che ho visto il nonno morire ammazzato. Anzi, senza forse.
“Bene, allora accetto. Quando inizio? ”
“Il mese prossimo. Farà due settimane affiancato a Sergio che le insegnerà tutti i trucchi del mestiere. I percorsi, i clienti, gli orari eccetera”
Ci salutiamo e quando esco dalla banca mi sento sollevato. Penso che sia meglio così. La mamma è stanca e vorrebbe vendere la tabaccheria anche perché c'è un possibile acquirente. Io avrei voluto tenerla ma lei no.
“Senti Stefano, hai fatto mille sacrifici per diplomarti e adesso è ora che raccogli i frutti”
Ovviamente aveva ragione. E poi ogni volta che nella tabaccheria entra una faccia nuova mi torna in mente il nonno a terra con la camicia bianca intrisa di sangue.
La sera la mamma è felice.
“Davvero cominci il mese prossimo? Ma è solo un periodo di prova o ti assumono da subito? ”
Le spiego il tutto e sono felice nel vederla contenta. Ora so che potrà vendere la tabaccheria con più tranquillità e se dio vuole si potrà riposare un po'. Suona il campanello e vado ad aprire.
È Milena. Ormai siamo insieme da tre anni.
“Allora come è andata? ” mi chiede
“Benissimo, fra pochi giorni comincio a lavorare”
Anche lei è contenta, come mia madre. Decidiamo di andare a festeggiare, tutti e tre.
Meno venti
Dieci anni di carcere ti segnano. Ho chiesto il trasferimento in un carcere più vicino a casa ma me l'hanno rifiutato. Giulia viene a trovarmi una volta al mese e so che mi ha perdonato. Non so dove trovi la forza di restare sola per tutto questo tempo, ma forse se lo chiede anche lei. Valentina ora ha venticinque anni e lavora in un negozio. Ha sofferto molto, vede uscire il padre di casa e non sa che è l'ultima volta che lo vede libero. Una volta sì e una no accompagna la mamma in questi viaggi della vergogna. Cosimo è tornato a casa ed ora con me c'è un ex-brigatista. Ha ammazzato un giudice, un carabiniere e ha fatto saltare in aria un carcere in costruzione. Penso che da qui uscirà solo con i piedi in avanti. Qui è pieno di quella gente le cui gesta vedevo in televisione. Ci sono anche mafiosi, camorristi e terroristi in genere. Sembra che siamo tutti uguali, ma non è così. Io per esempio sono considerato un povero sfigato. Mica che io sia qualcosa di molto diverso ma sentirlo negli sguardi, nei gesti e nelle frasi mi fa capire quanto il carattere forte sia fondamentale per sopravvivere qui. L'infermeria è sempre piena di gente da ricucire e i clan sono numerosi. Le alleanze interne cambiano di continuo e devi stare attento a non parlare con le persone sbagliate.
“Che cazzo voleva da te il turco? ”
il turco era un siciliano implicato con non so quale famiglia mafiosa e mi aveva solo chiesto come era il lavoro nell'officina del carcere visto che dalla settimana seguente avrebbe preso il posto di uno che tornava a casa. E chi mi chiedeva cosa c'eravamo detti erano altri due siciliani, evidentemente di una diversa famiglia. Ho provato a spiegare ma non mi hanno creduto, o forse sì ma volevano comunque sfogarsi. Sta di fatto che mi sono ritrovato con un sopracciglio aperto e un dente traballante. Quando se ne sono andati ho immaginato la loro morte in mille varianti e l'esecutore ero sempre io. Ma un povero sfigato come me certe cose le può solo immaginare. Qui è così e per uscire il prima possibile devi essere un povero sfigato.
Meno quindici
È bello Luca. Milena ha sofferto molto al momento del parto ma ora anche lei è felice e io la amo come il primo giorno. Quando siamo tornati a casa dall'ospedale eravamo elettrizzati e non vedevamo l'ora di metterlo nella sua culla nuova di zecca con gli angioletti appesi in alto che suonano l'arpa. E ora ce l'ho in braccio e mi sento felice. Il lavoro in banca procede bene, ora sono alla cassa e ho finalmente smesso di andare in giro in mezzo al traffico. Lo zio ha lavorato bene per me. Anche il lavoro di Milena ci aiuta. Va tutti i pomeriggi in uno studio notarile e col suo stipendio ci paghiamo il mutuo. Mancava solo un figlio, cosa voglio di più? “È sano come un pesce” ci hanno detto in ospedale. Dicono che ha la bocca della mamma e il naso mio. O forse il naso della mamma e gli occhi miei. Boh, io tutte queste somiglianze non le vedo. So che è bello e che l'abbiamo fatto noi, e questo mi basta e avanza.. L'unico problema è quando lo devo cambiare io. È facile e si impara subito. Ma la prima volta è stato difficile, molto difficile. Un semplice oggetto ti può risvegliare sensazioni dimenticate. Riprendere in mano un pannolino è stato strano. Per un attimo ho sentito lo stomaco chiudersi e una gran voglia di piangere. Mi sono rivisto nel letto, al buio. Mi sono rivisto che parlavo nel sonno e ho visto mia mamma accendere la luce ed accarezzarmi la testa. Mi sono rivisto piangere e chiamare il nonno. Con il pannolone bagnato.
Meno quindici
Il direttore del carcere è un uomo ancora giovane e brillante. Quando c'è da punire non si fa pregare e se c'è da elogiare fa altrettanto. Così sono di fronte a lui, in piedi davanti alla scrivania.
“Sono contento di lei, Torelli. In tanti anni che è qui dentro mai una nota di biasimo”
“Sono stato anche fortunato. Nessuno mi ha mai importunato” Mento ma non voglio che sappia dei continui soprusi che devo subire. Il mio nuovo compagno di cella è un pericoloso psicopatico. In due mesi che è qui mi ha messo sotto e io non riesco a reagire. Dovrei farmi rispettare ma ho paura della sua reazione. Sì, paura. In quel cazzo di buco ci siamo solo noi due, dove scappo? Meglio non reagire ed approfittare di tutto quello che la legge ti concede anche se hai ammazzato qualcuno, farò sempre il bravo qui dentro.
“Quindi lei saprà sicuramente che ci sono i presupposti per una futura riduzione della pena. In questi casi il giudizio del direttore è fondamentale”
“Sì lo so” - rispondo - “ma ancora non so niente di certo, L'avvocato ha detto che mi verrà a trovare la settimana prossima”
“Sì, ho visto la richiesta. Senta Torelli, le voglio parlare chiaro. Io non sono contrario a queste cose. Sconti, riduzioni, permessi, semi-libertà. Servono anche per svuotare le celle, ogni tanto” - così dicendo mi sventola un foglio - “la vede questa? È la mia relazione su di lei, finora è ottima ma non me ne faccia pentire”
“Nossignore” Saluto, ringrazio ed esco scortato da due guardie fino dentro la mia cella. So che non se ne parlerà prima ancora di cinque o sei anni ma saperlo in via ufficiale dal direttore mi ha messo ottimismo. In uno dei tanti giorni inutili e vuoti è come se avessi preso un appuntamento per domani.
Meno dieci
Fantastico il corpo umano. Se abbiamo sonno ci fa sbadigliare per far arrivare più ossigeno al cervello. Se abbiamo impurità nel naso o in bocca ci fa starnutire o tossire per espellerle. E se abbiamo freddo ci fa rabbrividire per scaldare i muscoli. E quando capisce che le emozioni sono troppo forti ci fa svenire, come ha fatto con me. Ora mi sono risvegliato e sto bene ma me la sono vista brutta
“Mani in alto, è una rapina! ”
Se avessero girato un film avrebbero detto la stessa frase, ho pensato. Ma non era un film, era terribilmente vero. I tre malviventi erano entrati in rapida successione. Uno si era appoggiato alla parete davanti alle casse, uno era rimasto vicino alla porta e uno si era messo in fila. Proprio al mio sportello. Magari a ripensarci meglio un occhio clinico avrebbe codificato quei comportamenti ma io, almeno, non mi ero accorto di niente. Erano italiani e non avevano particolari inflessioni dialettali, ben vestiti e a volto scoperto. Sicuramente venivano da fuori città. Appena ho sentito urlare la fatidica frase ho alzato gli occhi dal bonifico che stavo compilando per il cliente ed ho visto un signore che mi passava una borsa da sopra il basso vetro divisorio.
“Riempila e non fare scherzi o ti apro la testa” me lo ha detto come lo direbbe un De Niro incazzato. Con lo sguardo cerco i miei colleghi. In banca siamo in cinque, il direttore due negli uffici e due agli sportelli. La figura del commesso è sparita da anni, ora c'è il fax per far firmare documenti urgenti. Siamo tre uomini e due donne. Ho guardato la ragazza al mio fianco all'altro sportello. Si era alzata in piedi e stava insultando i rapinatori. Mi ha meravigliato la sua reazione, mica sono soldi suoi. Ma forse era la classica reazione isterica delle donne. Poi come per magia ho visto la pistola. Era grossa, nera, lucida e puntata sul mio naso. Non mi sono chiesto neanche per un istante se potesse essere vera, per me lo era. Un contorno di luce accecante e dentro l'immagine del nonno per terra con un buco nella pancia.
“ - è finita - “ ho pensato.
Ora sono seduto sul pavimento con la schiena appoggiata al muro. Capisco che sono svenuto dalle attenzioni dei colleghi. Capisco anche che i rapinatori sono scappati per le urla della mia collega. Sono passati dieci minuti durante i quali ho dormito mentre tutto intorno il film continuava.
“Su su Stefano” la voce della giovane cassiera è gentile mentre mi passa sulla fronte un fazzoletto bagnato.
Arriva anche il barista con dei caffè e forse dei cognac o whisky. La sirena è vicina e voglio alzarmi. Non mi va di stare lì come una donnicciola paurosa. Appoggio le mani a terra per sollevarmi e la vedo. E la sento, anche. È una chiazza scura sui pantaloni. L'ho fatta addosso. Ho visto la pistola, sono svenuto e l'ho fatta addosso. La vergogna prende il posto della paura.
“Tutto bene Stefano? Se le serve in borsa ho una tuta per la palestra di stasera. È pulita, non si preoccupi” la ragazza ha un tatto particolare per farmi capire che si è accorta della macchia in mezzo alle gambe e vuole darmi una mano per uscire da quella situazione imbarazzante.
Prendo la tuta e chiedo il permesso a uno dei carabinieri che nel frattempo sono entrati. Entro nel bagno e guardando il cavallo dei pantaloni mi chiedo per quanto tempo dovrò ancora trascinarmi dietro questi incubi.
Meno dieci
A questo non ero preparato. Venti anni di carcere e mai lo avrei immaginato. Un pedofilo in cella con me, da solo.
“... occhio Torelli, starà qui solo tre giorni al massimo poi lo riporteremo via - “ avevano detto “ - lo mettiamo con te perché se no gli altri lo ammazzano - “ Si fidavano di me, d'altronde in tutti questi anni mai una piccola cosa che potesse vagamente assomigliare da lontano ad un'insubordinazione. Sempre puntuale, sempre gentile con tutti, sempre pulito in cella. E poi fra pochi giorni vedrò il mio avvocato. Ha presentato tutte le richieste nei tempi e nei modi giusti, mi ha detto che se va tutto bene il prossimo mese avrò il primo permesso. Dire che le guardie mi vogliono bene è esagerato ma di sicuro per loro sono l'unico che si può tenere in cella un pedofilo senza ammazzarlo. Perché i pedofili e gli stupratori in carcere hanno vita breve, così si mettono in cella con quelli come me.
“Chi ha violentato? ” avevo chiesto alla guardia con aria vagamente disinteressata.
“Nessuno, sono tutte balle. È vittima di un errore giudiziario e qui è solo di passaggio, fra tre giorni lo spostiamo che ha il processo. Non dare retta alle voci” è chiaro come il sole che, pur fidandosi, non vogliono noie. Ma radio-carcere racconta altro. Racconta di un mostro che si è fatto una ragazzina di dodici anni. Lui è un ometto quasi insignificante, più giovane di me ma basso e secco. Mi chiedo come ha fatto, così piccolo, a tener ferma una ragazzina che si divincola. Ho sentito dire che l'ha fatta entrare in casa con una scusa e che l'ha drogata. Mi affiora l'immagine di lui che la spoglia e la violenta e lei intontita che non può reagire. I bambini non si toccano, bastardo. Non so perché glielo chiedo, forse per stabilire subito le gerarchie all'interno della cella. O forse per vedere se era un povero sfigato anche lui.
“È vero che hai drogato e violentato una ragazzina di dodici anni? ” figurati se mi dice di sì. Adesso salta fuori la storia dei vicini che ce l'hanno con lui, della ragazzina che ha inventato tutto perché lui una volta ha picchiato il cane di lei, della polizia, del magistrato...
“Sì, è vero. C'è qualcosa che ti dà fastidio in tutto questo? ”
Me lo dice così, senza guardarmi negli occhi e con una vagonata di sarcasmo. Come se parlasse da solo e io non fossi lì. Lo prendo per un braccio, lo giro e lo colpisco forte sulla bocca. Non so perché lo faccio ma sento che è giusto così. Ho sempre odiato i pedofili e non penso alle conseguenze. Magari invece del mese prossimo il permesso me lo daranno più tardi. A questo penso mentre lo vedo barcollare all'indietro, cadere e battere la testa sul pavimento. Forte, troppo forte. Capisco che se ne sta andando quando vedo un rivolo di sangue che gli esce dall'orecchio. Frattura della base cranica, dovrebbe essere. Mi sono fregato da solo. Un'altra volta.
Meno cinque
Me l'ha detto Dino. Dino è una guardia carceraria nel carcere cittadino, un piccolo carcere dove passano solo scippatori tossici e spacciatori del sabato sera. Dino bazzica il bar dove la mattina vado a prendere il caffè. “Dino il secondino” lo chiamiamo noi che abbiamo confidenza. Abita lì vicino ed ha il conto nella banca dove lavoro così spesso parliamo del più e del meno. Ha una decina di anni più di me e si ricorda dell'omicidio di mio nonno perché all'epoca viveva in quel quartiere e passò di lì quando la polizia era già arrivata.
Me l'ha detto lui che quel bastardo se la passa troppo bene.
“La settimana scorsa abbiamo portato un detenuto in un altro carcere e indovina chi ho visto? ” - mi ha chiesto - “ho visto Torelli, Giovanni Torelli” mi ha detto senza enfasi.
Dino sapeva che i ricordi ormai non mi ferivano più, ne avevamo parlato spesso da quando aveva saputo casualmente che quel bambino che aveva visto piangere quel pomeriggio era io.
“Ah” ho detto solo così, non sapevo cos'altro aggiungere. Non sapevo neanche dove Torelli “alloggiasse” in quel periodo visto che avevo saputo di un paio di suoi spostamenti di carcere subito dopo il processo ma non me ne fregava più di tanto di dove fosse ora. L'importante era solo che soffrisse.
“Sì, era nell'infermeria. Un mio collega mi ha detto che è una specie di boss”
“In che senso? ” nella mia ingenuità non potevo mettere detenuto e boss nella stessa frase.
“Dicono che ha ammazzato un lurido pedofilo a mani nude. Ma qualcuno dice che lo abbia sgozzato con un coltellaccio costruito chissà come. Fatto sta che adesso sono anni che la vita in carcere per lui è un po', come dire... più morbida, diciamo”
Mi sono fatto spiegare in cosa consiste una vita in carcere più morbida.
“Beh, diciamo che i miei colleghi non gli urlano dietro ad ogni passo e che gli altri detenuti gli offrono sempre l'ultima sigaretta del pacchetto. Magari il tempo del colloquio per lui si allunga un po', tutte queste cose qui. Forse a te sembrano banalità ma ti assicuro che per chi sta lì dentro è quasi una manna. Serve anche a non impazzire. E comunque qualcosa di giusto almeno lo ha fatto, quel disgraziato. ”
No, non mi sembrano banalità caro Dino. È da ieri che ci penso, da quando me l'hai detto.
Ma come cazzo si fa? Mi ha ammazzato mio nonno davanti a me. E lui ora è... rispettato. Ma chi cazzo è lui per ergersi a giudice supremo del bene e del male? Mi ha rovinato l'adolescenza, ho dovuto rimettere i pannoloni per altri tre anni per colpa sua. Ho dovuto sopportare gli sguardi di commiserazione dei miei colleghi di lavoro. Mi ha stuprato la vita. E lui ammazza uno stupratore e diventa una specie di eroe? E anche Dino ieri ha detto che ha fatto bene. Tutti lo dicono. Ma non capiscono l'assurdità? Spero proprio che qualcuno in carcere lo ammazzi.
Meno cinque
Pensavo peggio, pensavo di finire qui dentro i miei giorni. Alle guardie ho detto che era scivolato e aveva battuto la testa ma il labbro rotto li aveva messi in allarme. Ho rivisto nei loro occhi lo sguardo freddo di tanti anni fa. Mi hanno intimato di appoggiarmi alla parete faccia al muro e anche se non li ho visti ho capito che avevano le pistole in mano. E magari avevano ragione, va bene che era un porco pedofilo ma un morto ammazzato in carcere è sempre un problema per tutti. Invece è andata bene. Se mi avessero processato avrei avuto una condanna per omicidio preterintenzionale. Addio sconti, nuova condanna e sbarre a vita. Invece...
“Torelli, lei mi ha messo in un brutto guaio” mi ha detto il direttore nel suo ufficio
“Non volevo ammazzarlo. Abbiamo avuto un diverbio, lui mi ha messo le mani addosso e io ho reagito. Mi dispiace che sia morto. ”
“A me no”
La sua risposta mi aveva lasciato di stucco
“Vede Torelli, pedofili e stupratori sono la feccia della feccia e averli tra le palle mi dà il voltastomaco. Per loro sì che ci vorrebbe la pena di morte. In fondo lei ha fatto la cosa giusta e si è trovato anche una bella via d'uscita. Il medico ha confermato che è stata la caduta ad ucciderlo. ”
“E adesso a cosa vado incontro? ” chiedo cercando di mettere in mostra un'aria contrita.
“In un'altra contesto... a morire qua dentro. Ma sto pensando di far passare la cosa come un incidente e basta. Così non dovrò scoprire se qualche guardia ha sbagliato qualcosa. O magari se ho sbagliato qualcosa io. Ma scoprirlo vorrebbe dire una condanna per lei, non se la caverebbe così. Quindi è meglio per tutti se nessuno saprà la storia. Ma lei e il suo avvocato dal canto vostro non mettetemi in difficoltà con altre richieste. Permessi, avvicinamento, buona condotta... lei si è giocato tutto. Niente più richieste, di nessun tipo, intesi? ”
Questi ultimi cinque anni sono stati i più facili da affrontare. Sì, va bene, sarei potuto uscire da tempo senza quella cazzata ma proprio quella cazzata mi aveva cambiato i rapporti con gli altri detenuti. Ammazzare un pedofilo è il sogno di tutti dentro un carcere. È la possibilità di far vedere al mondo fuori che tu sei diverso. Hai rapinato, hai sparato, hai ucciso ma mica hai violentato un bambino. Il “cattivo buono” che giustizia il “cattivo cattivo”. Il problema è che poi se ne pagano le conseguenze, e così io l'ho fatto per tutti. Ora avverto attorno a me un sorta di rispetto misto a simpatia e la storia romanzata dell'evento ha fatto il giro del carcere. “... prima gli ha strappato le palle e poi... ” - “... gli ha aperto la testa contro lo spigolo del muro... ” queste sono le voci che girano e quando mi chiedono conferma io sorrido e ammicco. Nessuno mi importuna più, anzi se non fosse perché è sempre un carcere direi che mi sento come... coccolato. E non solo dagli altri detenuti. Pure le guardie che fanno finta di non vedere che il tempo del colloquio è scaduto e mi lasciano solo con Giulia che non vede l'ora che torno a casa e Valentina che finalmente ha lasciato quel fannullone del marito. Hanno avuto un figlio, Filippo, che mi sta aspettando a casa. Penso che quando uscirò gli farò da padre.
Oggi
Non so perché non me lo ero mai chiesto prima. Forse perché sapevo già la risposta, e cioè che lo avrei ammazzato. Ci sono cose che devi fare e basta. Se mi fossi chiesto “ - cosa farò quando uscirà? - “ non ci avrei dormito, avrei vissuto solo con quel pensiero. “meglio aspettare che il momento arrivi”, e oggi è arrivato. Non pensavo che il giornale avrebbe pubblicato la notizia perché non immaginavo che sarebbe stato così importante ma evidentemente per la cronaca cittadina lo era. E quando la settimana scorsa l'ho letta ho capito che dovevo farlo, che era giusto. “LUNEDI' TORELLI ESCE DAL CARCERE” diceva, e poi un lungo articolo che faceva un riassunto per spiegare chi è e che cosa ha fatto. C'erano anche una foto di lui allora e una di lui di due o tre anni fa, presa da alcune immagini televisive di non so quale servizio. Sicuramente l'avrei riconosciuto. È uscito dal carcere ieri. La pistola l'ho trovata tramite un poco di buono che ha il conto corrente da noi perennemente in rosso. Pensavo di non riuscire neanche a tenerla in mano ma mi sbagliavo, l'odio fa miracoli. Gli ho dato duecento euro per una grossa pistola nera e una decina di proiettili e da come era contento forse potevo dargliene di meno. Così per sicurezza sono andato in un bosco fuori città a provarla, per come la possa provare uno che non ha mai sparato in vita sua. Ma mi interessava solo vedere se i colpi partivano, se funzionava bene, se non si inceppava. Perché per aprirgli la pancia da venti centimetri non ci voleva molto allenamento. Mi sono preparato bene. Stamattina ho fatto un giro davanti a casa sua. Ho sempre saputo dove abitava perché un giorno mi è capitato fra le mani un foglio del tribunale con i suoi dati compreso il suo vecchio indirizzo, che è ancora l'indirizzo attuale della moglie. Quindi è logico che sia lì, almeno oggi. Ho studiato la zona e la via di fuga. A venti metri c'è una viuzza piena di negozi e ben trafficata. A piedi mi confonderò fra la gente. E chi andrà a pensare a me umile ed onesto bancario, uno dei tanti? No no, è sicuramente un regolamento di conti, forse fra ex-detenuti.
Arrivo sotto casa sua e mi metto a qualche metro dal grosso portone di legno che dà nell'androne del palazzo.
“ - Fra poco uscirà – penso appoggiato al muro - deve uscire, dopo trent'anni... -
Lo vedo lo riconosco sì è lui è vecchio ma è lui. Mi metto una sigaretta in bocca, stringo il calcio della pistola dentro la tasca del giubbotto e mi avvicino. È rimasto fermo sul marciapiede davanti al portone aperto e non si muove. Si guarda attorno come se cercasse qualcosa ma in realtà capisco che dopo trent'anni cerca solo il suo nuovo panorama.
“Scusi, ha da accendere? ”
Sono davanti e lui e lo guardo negli occhi da meno di mezzo metro. Finalmente ce l'ho di fronte e siamo soli. Io e lui. Ricambia il mio sguardo cercando l'accendino nella tasca dei pantaloni. Non ci stacchiamo gli occhi di dosso mentre lo tira fuori e mi accende la sigaretta e mentre con l'altra mano copre la fiamma. Ecco, ora non ci sono braccia di mezzo.
“... era mio nonno... ” gli sibilo in faccia proprio un attimo prima che un bambino esca correndo dal portone aperto.
“Nonno! ” grida. Avrà avuto dodici, tredici anni. Il vecchio si gira di scatto e io sparo.
Solo in quel momento capisco. E la prima cosa che mi viene in mente mentre guardo il bambino è “ - chissà se anche lui da stanotte dovrà rimettere i pannoloni... -”. Poi guardo il vecchio per terra con un buco nella pancia e la camicia tutta imbrattata di sangue e mi chiedo se anche lui trent'anni fa si è sentito una merda come me adesso.
Oggi
Finalmente mi sento libero. Sono uscito dal carcere ieri pomeriggio ma non puoi dire di essere veramente libero se la mattina hai ancora visto le sbarre alla finestra. Stamattina invece quando ho aperto gli occhi le sbarre non c'erano. Libero. Ieri sera ho conosciuto Filippo, il mio nipotino. Sua mamma le ha sempre nascosto tutto di me ma io piano piano voglio che sappia che non si può buttare via una vita per un gesto come il mio. Ora mia figlia e mio nipote dopo la separazione vivono con noi, con me e mia moglie Giulia che non mi ha mai abbandonato. Con Filippo ci ho giocato a rubamazzo e insieme abbiamo guardato la televisione sul divano. Valentina mi ha detto che è bravo a scuola e che sembra essersi rimesso bene dalla separazione dei genitori. Gli ho promesso che oggi pomeriggio dopo i compiti lo avrei portato al cinema. L'Alexander è sempre lì a due passi. Ed ora sono qui che lo sto aspettando sul marciapiede.
“Spengo il computer e arrivo” mi ha detto. Incredibile come adesso li facciano piccoli i computer.
“Allora ti aspetto di sotto”
E sono sceso perché voglio vedere più cose possibili del mio nuovo mondo, anche se è pur sempre il mio mondo di trent'anni fa.
“Scusi, ha da accendere? ” mi chiede il signore che non ho nemmeno visto arrivare. Mi guarda fisso negli occhi e io non posso fare a meno di ricambiare il suo sguardo. Anche mentre gli accendo la sigaretta. “... che cazzo hai da fissarmi... ” mi ritrovo a pensare. Poi mi dice qualcosa piano piano, quasi sussurrando ma non capisco. Sto per dirgli “cosa, scusi? ” ma la voce di Filippo mi fa girare. È bello Filippo. E anche bravo. Voglio essere un buon nonno per lui. Lo sparo e la fiammata arrivano improvvisi e mi sento mancare le gambe. Cado all'indietro e faccio in tempo solo a sentire Filippo che mi chiama.
Ora
Una volta un comico ha detto che l'attimo è quella frazione di tempo che passa da quando scatta il verde a quando quello dietro di te ti suona il clacson. Forse quel comico voleva dire che l'attimo è veloce ma sicuramente lui non ha vissuto quest'attimo. Quando il bambino è uscito dal portone è stato come vivere un film. Ho visto il vecchio a terra con un grosso buco nella pancia. Ho visto il bambino che piangeva e che lo chiamava. E ho visto mio figlio a casa senza più suo padre. C'era qualcosa di troppo schifosamente familiare in quel bambino. Anzi non nel bambino ma nella scena che vedo quando torno in me. Abbraccia felice il nonno, questo vecchio assassino che ho davanti a me. Lui gli sorride e torna a guardarmi mentre aspiro la prima boccata. Non mi molla lo sguardo nemmeno mentre ripone l'accendino nella tasca dei pantaloni. Lentamente, troppo lentamente. Sembra quasi che mi sorrida. Ci è andata bene a tutti e due, mi è passata la voglia di ucciderlo. E poi che vendetta sarebbe se nessuno ne conoscesse il motivo? Dovrei ammazzarlo e poi costituirmi per spiegare al mondo che un assassino di padri e di nonni non può essere giudice di nessuno. E magari prima di sparargli lo dovrei far inginocchiare e puntandogli la pistola alla testa gli dovrei raccontare tutta la storia di questi trenta anni partendo dalla rapina, proprio come fanno nei film polizieschi. Forse adesso è meglio andare, mi stanno tremando le gambe. È strano come questa volta io non sia svenuto, forse i miei nervi saranno più forti d'ora in poi. Lo ringrazio, lo saluto con un cenno impercettibile del capo e mi avvio verso la viuzza piena di negozi. Comprerò un regalo per Luca e uno per Milena.
Ora
Le braccia di Filippo che mi cingono la vita mi risvegliano. Ho sentito un brivido, ho sentito il rumore del vento ma tutto era immobile. Ho immaginato che questo qui mi sparava a bruciapelo e io cadevo all'indietro e Filippo che mi chiamava. No non l'ho immaginato, l'ho visto nei suoi occhi proprio come fosse un film. Eppure ho smesso da parecchio di prendere brutte cose. Deve essere lo stress, devo ancora abituarmi alla mia nuova vita. Ok, ora il vento si è fermato e non sento più i brividi. Ma perché continua a fissarmi? Forse mi ha scambiato per qualcun' altro. O forse è un vecchio amico che vuole vedere se lo riconosco. No, niente di tutto questo. Se ne sta andando. Ah, adesso mi ricordo cosa mi ha detto. “... era mio nonno... ” boh, sarà uno dei tanti matti che circolano da queste parti.
“Chi era quel signore nonno, un tuo amico? ”
“Non lo so. Forse. ”
Lo guardo mentre si allontana e solo adesso vedo il calcio della pistola che gli spunta dalla tasca del giubbotto. Deve stare attento, gli sta per cadere a terra. Chissà cosa ci deve fare, forse vuole fare una rapina. Cazzi suoi.
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