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eccesso di velocità
1.
La camicetta, mavì come un mattino di sole invernale, arricciava sul seno.
Lei, la indossava con la consapevolezza di chi sa verrà guardata.
E tu guardavi. Con fatica, ma guardavi.
I bottoncini di madreperla aggrappati alle asole raccontano notti di sesso, di libidine e di lieve dolore.
Che non sarebbe stata una notte facile, il tenente del 58° distretto di Polizia, Alfio Moretti, l’aveva capito subito. Avvolto in un lungo cappotto nero, osserva incantato il corpo senza vita della donna.
I binari dell’adiacente ferrovia si avvicinano, si incrociano e si allontanano come due vite qualsiasi che si rincontrano dopo anni di separazione.
Dei ratti si muovono sicuri tra i cumuli di sporcizia e sassi, dileguandosi veloci su vagoni abbandonati come vecchi all’ospizio.
È mattina, quando arriva la scientifica. Cominciano subito a fotografare, selezionare, circoscrivere, recuperare ogni cosa. Qualunque cosa può essere utile a svelare l’identità dell’omicida.
Al tenente Moretti sembra invece non importare nulla di scoprire l’artefice di quel delitto. Passeggia avanti e indietro lungo i binari con un leggero fastidio; nessuno gli rivolge la parola, impegnati come sono a svolgere le proprie mansioni.
Il sole è quasi tramontato, il corpo esanime viene portato via per l’autopsia. Ma lui, il tenente Moretti, resta da solo.
Solo con i propri pensieri e qualcosa da fare prima di andare via.
2.
La stanza è in penombra. Un cono di luce illumina la scrivania traboccante di cartelle di vario colore. Un odore di chiuso e di vecchio aleggia nella silenziosa stanza. Antonio Capone con la testa all’indietro e gli occhi chiusi, sembra che riposi, ed invece sta pensando.
Un leggero ticchettio alla porta lo desta.
Silenzio.
Antonio Capone con la bocca impastata di saliva ordina di entrare.
Giacomo Vitolo, il suo braccio destro entra, in punta di piedi. A vederlo così sembra un ragioniere del catasto. Invece è un animale. Rozzo e violento.
Uccise sua moglie e il suo amante a colpi di Ulisse di J. Joyce, edizione finemente rilegata con costole di cartone pressato duro con titolo inciso a caratteri d’oro. Un regalo che il piccioncino aveva fatto alla sua colombina. La polizia trovò il piccioncino e la colombina in un lago di sangue. L’arma non fu trovata. Giacomo, il libro se l’era portato con se.
Antonio Capone aveva intuito che macchina da guerra, fosse, e lo aveva preso sotto la sua protezione.
Davanti al camino di pietra lavica Giacomo e Antonio Capone sfogliarono il libro con curiosità. Giacomo tentò di leggerlo, di capire cosa ci fosse in quello agglomerato di fogli di carta avorio ben rilegati, con la copertina dura sporca di sangue. Girò le pagine lentamente osservando tante parole una dietro l’altra senza una virgola o un punto. Il tutto per pagine e pagine.
Tutti si vogliono improvvisare scrittori, don Antò. Nessuno più vuole lavorare- esclamò alla fine Giacomo, gettando il libro nel camino acceso.
Giacomo Vitolo riuscì ad evitare il carcere e si mise per riconoscenza al servizio di Antonio Capone.
Non ha preso mai più un libro in mano in vita sua.
Che c’è Giacomo?
Don Antò, si tratta di sua figlia: ha preso una multa per eccesso di velocità.
Quando?
Venti giorni fa!
E dove l’ha presa?
Tra la 116esima e Brodway.
E che ci sta là?
Alcuni bar, uno studio fotografico, un laboratorio d’analisi, una farmacia, uno studio legale e un negozio di scarpe.
‘Sta ragazza mi dà solo pensieri!
3.
- Con quanti zeri la posso ringraziare, signor Coleman?
Ho solo fatto il mio dovere, signora Moretti. Le andrebbe un caffé?
Non bevo caffé, grazie. Di quanto l’assegno?
Quanto costa una Ford Mustang del ‘67 con motore Boss 429, signora Moretti?
Non saprei, non m’intendo di automobili, signor Coleman. Prenda questo assegno e se non le bastano, lo consideri un anticipo.
Troppo generosa, signora Moretti, grazie. Se le occorressero ancora i miei servigi, sa come trovarmi.
Preferirei non rivederla più, signor Coleman.
Come preferisce, signora Moretti. Addio, allora.
Addio.
La signora Moretti strinse a se l’impermeabile marrone e si dileguò veloce tra la folla.
Coleman restò a guardarla finché non la perse di vista tra le centinaia di persone che affollavano la 5th. Avenue. Poi a passo deciso si introdusse in un bar; si accomodò ad un tavolo e attese che una gentile cameriera dallo sguardo dolce gli servisse un caffé.
4.
Te l’ho già detto, Giacomo. Io questo figlio me lo tengo!
Ma Hannah…
Niente ma, né però. Ne abbiamo già parlato abbastanza! Il figlio è mio e me lo tengo e tu dovrai assumerti le tue responsabilità!
Tra due giorni, quando torno dal master ne parlerò a mio padre, e lui sicuramente sarà d’accordo con me.
Okay, okay, ma ci parlerò io con tuo padre, lui mi vuole bene, sarà contento. Vedrai, aggiusto tutto io, amore.
L’aria era impregnata di chanel nr. 5 e di Boss pour homme parfum. Miscela esplosiva come una fuga di gas. Giacomo Vitolo finì di vestirsi. Osservò il corpo tondo e sensuale di Hannah, attraverso lo specchio dell’armadio; si portò il nodo della cravatta alla gola e disse:
Pensa a studiare e non ti preoccupare. Sarà tutto a posto al tuo ritorno- si avvicinò al bordo del letto, ci salì sopra con le ginocchia, si tese in avanti e la baciò sulla fronte: - Ciao, Amore!
Hannah lo guardò con i suoi occhioni candidi da liceale. Lo guardò sino a quando non sentì le scarpe nuove di vitello nere scricchiolare sulla scala esterna in ferro del motel. Quando sentì il rumore del motore dileguarsi in lontananza, strinse il cuscino a se e pianse.
5.
Alfio Moretti, nonostante i suoi anni, quella sera si sentiva un liceale. Scelse i suoi abiti con cura. Si pettinò i capelli corvini all’indietro, spalmandoli di brillantina. Prese il suo inseparabile loden ed uscì. Veloce. La 47esima è sempre piena di traffico a quella ora di sera, e Alfio non voleva far aspettare la sua Hannah.
Arrivò da Luigi’s con sette minuti di ritardo, ma Hannah ancora non era arrivata. Giunse dopo una ventina di minuti.
Con l’incedere di una principessa, attraversò il ristorante e si sedette di fronte ad Alfio, scoprendo le gambe e la camicetta azzurro chiaro.
Ciao. Mi stavo preoccupando.- disse Alfio
Lo vedo - rispose Hannah indicando con gli occhi le bucce di salame ammassate in un angolo del piatto.
Quando ho fame, devo mangiare, altrimenti mi sento male. E volevo che al tuo arrivo mi trovassi in forma. Vuoi ordinare qualcosa?
No, grazie. In genere mi diverto andare ai ristoranti e guardare la gente mangiare!- rispose Hannah, mentre con la mano destra attirava l’attenzione del cameriere.
La serata proseguì senza particolare enfasi.
Il signor Coleman li osservava con disincantato interesse due tavoli più in là.
È un buon conoscitore dell’animo umano.
Dote indispensabile nella sua professione.
Si divertiva ad osservarne gli atteggiamenti, i giochi di sguardi, i gesti anodini che portavano in una sola direzione: porre il meglio di sé, nascondendo i propri difetti. Quelli troppo evidenti, poi, sfruttarli per sembrare modesti e ironici e conquistarsi la simpatia altrui.
È sempre la stessa storia: tutti che si vendono come frutta al mercato: le mele marce sotto e quelle buone in bella evidenza nel cassettino. Mai a nessuno è balenata l’idea di essere semplicemente se stessi.
Ciò che ai due interessava veramente era uscire dal ristorante, appartarsi con l’auto in un posto tranquillo e fare del buon sano sesso.
Il signor Coleman, li guardava divertirsi e si rammentò ancora una volta del perché non avesse mai cercato moglie.
E del perché avesse una così bassa opinione del genere umano.
Altra dote indispensabile per la sua professione.
Erano da poco passate le undici quando i ragazzi chiesero il conto. Nel locale vi era poca gente sparpagliata per i tavoli. Erano ancora euforici quando gli innamorati uscirono dal locale.
Il signor Coleman lasciò cinquanta dollari sul tavolo e si precipitò fuori.
Li stava alle calcagna con l’auto, con professionale discrezione. Attraversarono tutta Manhattan, poi imboccarono una strada sterrata e piena di curve. – si stanno imboscando in collina!- pensò tra sé Coleman, sorridendo tra i denti.
L’auto si fermò ad un passaggio a livello chiuso, Alfio Moretti spense il motore ed attese.
Il signor Coleman accostò un centinaio di metri più indietro, vicino al ciglio della strada, e spense i fari. I suoi occhi, allenati a scrutare in condizione di poca luce, videro la ragazza togliersi la giacca. Preferì non attendere oltre: prese la sua calibro 9 e scese dall’auto.
6.
L’auto percorreva sicura nonostante le curve e la scarsa illuminazione.
Alfio raccontava barzellette.
Hannah rideva; era bella quando rideva: aveva un sorriso che gli ricordava sua madre.
Ti puoi fermare un attimo? – chiese Hannah
Perché?
Ho un po’ di nausea. Mi sono accaldata con tutte queste risate, poi si sono messe anche le curve…e adesso non mi sento molto bene.
Curve? Ci sono le curve? Credevo fosse il vino che ho bevuto!
Hannah riprese a ridere. Rise fino a quando Alfio non si fermò ad un passaggio a livello. Si voltò verso di lei e guardandola mentre si toglieva la giacca di lino, disse:
Sono contento di averti ritrovata. Se non ti fossi beccata quella multa per eccesso di velocità, non ti avrei mai rintracciata.
Già! A volte nella vita ti accadono cose che non sono poi così brutte come sembrano in un primo momento. Come quando ho scoperto che i Capone erano genitori adottivi. Ricordo ancora i pianti solitari che hanno accompagnato la mia infanzia: invece, poi, mi sono trovata bene con loro, non mi hanno fatto mancare niente, e mi hanno voluto bene come una figlia.
Già, i Capone, quella che sarebbe diventata la famiglia più potente del west side. – ricordò Alfio - Ricchi e disonesti!
Solo con la disonestà si può arrivare a tanta ricch…-
Le parole, ad Hannah si bloccarono in gola. Un uomo con un sorriso secco e una pistola in mano li guardava dal finestrino.
Buonasera, signori. Mi chiamo Coleman e voi siete la mia commissione. Peccato interrompere questa piacevole conversazione.
Era sempre teatrale, il signor Coleman. Voleva rendere la sua professione meno squallida di quella che era, ricoprendola di tristi battute. Ma tutto quello sproloquio, diede ad Hannah il tempo di uscire dall’auto; mentre il Tenente Moretti portandosi la mano sotto il loden stava per estrarre la sua pistola d’ordinanza, ma Coleman fu più veloce di lui e gli perforò la fronte spaziosa, lasciando il suo corpo senza vita scivolare lentamente di lato, poi alzò la pistola in direzione della fuggiasca: tre spari, tre lampi baluginarono dalla pistola, illuminando il viso adirato del signor Coleman. I colpi giunsero ad Hannah alle gambe, facendola genuflettere sul terreno.
Coleman si avvicinò con tranquillità alla donna che stesa a terra piangeva alla luna e la guardò dritta negli occhi. Hannah non capiva il perché di quella violenza e lo chiedeva con tutta la forza che aveva in corpo, tra singulti e lacrime. Per risposta le giunsero solo due colpi all’addome, che le sporcarono la camicetta. Il signor Coleman si girò su se stesso e se ne andò. Lasciando Hannah sul terriccio umido, dissanguarsi e morire lentamente.
Era il suo modo di punirla per aver tentato di rovinargli la reputazione, cercando di scappare. Del resto stava solo facendo il suo lavoro, e a lui, piaceva farlo bene.
7.
Don Antò, disturbo?
Entra Giacomo, tu lo sai, non disturbi mai.
Don Antò io non vi avrei disturbato se non fosse una cosa importante.
Di che si tratta?
Ecco, vedete, come vi debbo dire… sua figlia…
Hannah?
Si, don Antò, Hannah, frequenta uno sbirro italoamericano!
In che senso frequenta?
Sono stati visti più di una volta insieme. Hanno pranzato, qualche volta lei è andata nel suo ufficio…a voi non vi ha detto niente?
No. Quella puttanella viziata non me la dovevo prendere in casa mia… a volte per fare favori…
Avete il cuore troppo buono, don Antò.
Già, già. Quando torna facciamo i conti.
Don Antò, mi sono permesso di parlarci io. C’ho parlato come un fratello, don Antò, voi lo sapete, come la voglio bene, ma lei non ha voluto sentire ragioni.
Che t’ha detto?
Ha detto che lei vuole vivere libera e senza paura di essere uccisa. Non vuole passare tutta la vita imprigionata tra quattro mura, come fate voi, lei vuole uscire, divertirsi, frequentare chi le pare e quando gli pare.
Antonio Capone si alza di scatto dalla sedia e comincia a passeggiare nervosamente per la stanza. Borbotta tra se, guardandosi le punte delle scarpe lucide.
Giacomo Vitolo, braccio destro e uomo fidato, lo guarda con apprensione mentre aspetta disposizioni.
Trascorsero diciotto minuti prima che Capone parlasse. In quei diciotto minuti, Giacomo Vitolo era invecchiato di dieci anni
Giacomo, hai ragione. Parlargli non servirebbe a niente. E poi quanto mai si è visto che IO: Antonio Capone, si sia sottomesso a qualcuno. A una donna poi!
Ma è vostra figlia!
Non è mia figlia. Non lo è mai stata. È solo un peso. Di cui mi debbo liberare.
Chiamatemi la Whitman, Giacomo.
8.
- B…Buongiorno, signor Coleman. C…Che bella coincidenza incontrarla, come sta?
- Non credo alle coincidenze, signora Moretti. A dirla tutta, non so più a cosa credere.
Il signor Coleman, killer di professione, si sedette su la panca ricoperta di velluto rosso di un lunge bar, di fronte alla signora Moretti.
Una cameriera ispanica e in soprappeso, si avvicinò al tavolo con una brocca di caffé.
- Gradisce un caffé, signor Coleman?- chiese pallida la signora Moretti.
- Si, grazie. Lei non lo prende?
- Non bevo caffé, signor Coleman. Quale buon vento l’ha portata qua?
Il signor Coleman, attese che la cameriera con il suo passo pesante, si fosse allontanata, prima di continuare:
- Signora Moretti, lei mi ha assoldato per eliminare suo marito e la sua “puttana” come l’ha apostrofata lei.
- E allora?
- Mi ha riempito la testa di chiacchiere, dicendomi che la picchiava, che si assentava da casa per notti intere, che lei si sentiva umiliata ed abbandonata…
- le ho anche dato un assegno di 25. 000 dollari…- gli ricordò la signora Moretti.
- Certo. Ma il raggiro non era compreso nel prezzo.
- C…Che cosa vuole dire, signor Coleman?
- Cara signora Moretti o forse dovrei chiamarla signorina Whitman? Visto che Alfio Moretti non è suo marito, e a dirla tutta, non è per niente sposato, e quella che lei aveva fatto passare per sua amante era nient’altro che una sua sorella ritrovata dopo anni, di nome Hannah Capone, figlia adottiva del famoso boss del west side, di cui lei sarà di certo una sua concubina…
- Come si permette? Io non tollero…
- Si sieda, e non faccia la sceneggiata con me. Mi ha già troppo preso in giro…
- Come l’ha scoperto?
- Se glielo dicessi, non mi crederebbe. Diciamo che ho avuto una soffiata da una persona inaspettata che, come me, odia le ingiustizie.
- …
- …
- Quanto vuole, signor Coleman?
- Non sono in vendita, signorina Whitman. La mia vita non è in vendita, la mia intelligenza non è in vendita, la mia comprensione, non è in vendita. Il prezzo lo faccio io, e solo sulle vite degli altri.
- Che cosa vuole, allora, signor Coleman?
- Nulla, volevo solo capire. Mandi i miei saluti al signor Capone, signorina Whitman e gli dica solo che ci incontreremo presto. Ha ancora molte cose da spiegarmi. Addio.
Il signor Coleman si alzò rumorosamente sotto lo sguardo inespressivo della signorina Whitman, lasciò cadere una banconota da dieci dollari sul tavolo ed uscì.
La signorina Whitman ordinò un Hamburger con bacon e un dunat glassato al cioccolato alla cameriera che gli stava riempendo la tazza di caffé, poi, prese il telefonino dalla sua borsetta griffata, compose un numero, si portò il motorola all’orecchio e attese qualche secondo, prima di parlare.
La cameriera si allontanò urlando l’ordinazione ad un ometto bruno con due piccoli baffetti, intento ad asciugare bicchieri dietro al bancone.
- Mister Capone? Sono io…
9.
La luce pallida del giorno faceva capolino all’orizzonte. Una luna ostinata si aggrappava a quello che rimaneva della notte mostrando i suoi tre quarti come se volesse non lasciarla andare via.
Alfio Moretti si sentiva frustrato e arrabbiato. Arrabbiato con una vita che lo aveva abbandonato, lasciandolo lì, da solo, a guardare sua sorella Hannah stesa sull’erba scura.
Ma ciò che lo rodeva di più era non essere riuscito a farla vedere a sua madre che, dopo quel abbandono controvoglia, obbligata a quel gesto da una famiglia bigotta che non riconosceva i figli nati da un amore incestuoso, precipitò nel baratro della depressione che la portò sino ad arrivare in quello ospizio su in collina, proprio dove Alfio Moretti si stava recando con la sorella poco prima dell’omicidio.
La notte è passata, Alfio Moretti aspetta. Sa che arriverà. Ciò che doveva fare l’ha fatto. Il suo dovere di poliziotto è compiuto, anche in quella insolita condizione. Gli resta solo d’aspettare.
Dopo poco, infatti, una luce attira la sua attenzione. Man mano che si avvicina assume sembianze umane: è Hannah, uguale a com’era in vita: gioiosa, solare, come se non si fosse resa conto di ciò che gli era accaduto. Lo saluta con un sorriso, gli prende la mano come se afferrasse un delicato cristallo e se lo portò via, lontano.
La tenace luna capisce che non vi sarà più buio e con discrezione si dissolve pian piano come titoli di coda di un bel film, lasciando al sole tutto il cielo per se.
10.
Il cassetto di mastello scuro era aperto. Antonio Capone ne stava rovistando il contenuto con ansia, cercando forse qualcosa d’importante.
Mannaggia, quando cerchi qualcosa, non la trovi mai!
E voi non la cercate, don Antò!
E pure hai ragione, Giacomì.
Toglie le mani dal cassetto e lasciandolo aperto si tira indietro, si appoggia alla poltrona e guarda fisso negli occhi Giacomo che seduto sulla poltroncina rossa di fronte alla scrivania, ricambia lo sguardo con la stessa intensità.
Giacomo, nella vita ho fatto molto del male. Ho rubato, ho ucciso, torturato, ma mai per futili motivi. C’erano sempre 6 o 7 zeri di buone ragioni che me lo facevano fare. Ma ho fatto anche del bene: a chi mi ha rispettato, a chi mi è stato vicino, a chi mi ha saputo consigliare.
Hannah è stata una svergognata. L’ho trattata come una figlia, anzi, meglio di una figlia. L’ho accolta in casa a braccia aperte, è stata servita e riverita come una principessa…
Fate il bene e scordatevelo, don Antò. Così mi diceva sempre mio padre. Pace all’anima sua.
Eh, no! Giacomì. Io non me lo posso scordare. Io non voglio scordare. Non doveva mettersi in quel guaio. Non lo merito. Sono severo e posso sembrare scostante e non ho da andare fiero di quel che ho fatto e faccio ancora, ma quando sono arrivato io, in questa terra di tutti e di nessuno, non ho avuto altra scelta. L’America era una puttana e tutti cercavano di farsela, chi davanti e chi da dietro ed io non ho potuto fare altro che adeguarmi!
Adesso sono qui, non esco di casa, ho tanti milioni di dollari che non posso spendere. Non posso andare al cinema, non posso andare a mangiare una pizza con qualcuno. Tutta la speranza cade su i figli. Sopporti tutto questo perché sei convinto di dargli un mondo migliore. Li fai studiare, divertire, gli insegni l’onore e il rispetto e loro che fanno? Ti pugnalano alle spalle …
Don Antò non ci pensate più. Metteteci una pietra sopra.
Ed è quello che io voglio fare: metterci una pietra sopra, ricominciare da zero. La femmina…, bé è ormai acqua passata, i figli maschi vivono in California e nemmeno mi pensano. Non mi resta più nessuno.
Ed io, don Antò? Vi ho sempre ubbidito e rispettato, che fine faccio, don Antò?
Tu Giacomì, andrai a far compagnia a Hannah!
Antonio Capone scatta dalla poltrona e dal cassetto aperto della scrivania estrae una pistola automatica che punta nella direzione della fronte di Giacomo.
Che state facendo, don Antò?
Tu credevi che non lo venissi a sapere? Mi hai fatto uccidere Hannah per nascondere la tua relazione con lei! E pensare che ti ho trattato come un figlio.
Don Antò, quella veramente si vedeva con lo sbirro.
Era suo fratello, coglione!
E io che ne potevo sapere?
Giacomo Vitolo si alza, teso come una corda di violino.
Don Antò, credetemi! Io non lo sapevo. È vero, ho approfittato di questa cosa ma ho solo aggiunto i miei interessi ai vostri. Mettete giù quella pistola, don Antò, posatela.
Antonio Capone lo guarda fisso negli occhi senza tradire alcuna intenzione, lo guarda e ci vede la bestia di sempre, l’animale, il bruto, l’assassino.
Capisce che veramente Giacomo non sapeva che il poliziotto era solo un fratello ritrovato di Hannah, e che l’aveva fatta uccidere solo per gelosia, come aveva ucciso sua moglie quattro anni prima. Era meschino anche quando si vestiva da agnello, come adesso, il suo sguardo di ghiaccio non esternava alcun’emozione ma solo cattiveria e terrore. Non sarebbe stato mai capace di amare qualcuno. Questo, Antonio Capone lo sapeva. Come sapeva che se avesse abbassato la pistola, non sarebbe stato al sicuro neanche più in casa sua.
Ma abbassa l’arma. Non per debolezza ma per amore: davanti a se tra la canna e lo sguardo cattivo di Giacomo, s’interpone un viso familiare. Un viso sereno ma deciso:
Non farlo, non ne vale la pena. Ti voglio bene, Papà. Abbassa la pistola.
È il viso pulito e sereno di Hannah che fa abbassare la pistola al boss che sprofonda nella poltrona mormorando il nome di sua figlia. Non la aveva mai chiamato Papà in vita, non gli aveva mai detto ti voglio bene, ma quelle parole, dette lì adesso, gli fanno scendere lacrime di gioia e di emozione sul viso appesantito dagli anni. Giacomo ha assistito la scena senza muovere un muscolo, ha visto la luce, forse ha visto Hannah, di certo ha visto la pistola abbassarsi. Si confonde solo per un attimo, poi estrae la sua Smith & Wesson da dietro la schiena e la punta sul boss.
Nell’aria si sentono quattro spari. Quattro bossoli cadono ad uno ad uno, come foglie d’autunno, sul parquet dello studio; Giacomo li segue con lo sguardo mentre si accascia a terra con loro. Il suo viso arcigno ha perso ogni cattiveria. Gli resta solo un’espressione di incredulità e di stupore. I suoi occhi fissano il fumo uscire da dietro la tenda verde. Tre pistole in sei metri quadrati! Un vero record. E uno spreco! Questo è stato l’ultimo pensiero di Giacomo Vitolo prima di arrendersi alla morte.
Antonio Capone lo guarda continuando a mormorare il nome di sua figlia e la parola perdono.
Perdono. Una parola che in quel momento non ha alcun significato; una parola troppo ingombrante in quella stanza troppo piccola!
Da dietro la tenda il signor Coleman fa il suo ingresso. Ha un soprabito bianco sporco e un cappello a larghe falde mosce a coprirgli il capo. Mette in fondina il suo ferro del mestiere e si toglie i guanti. Gli uomini di Capone sarebbero giunti da un momento all’altro. Sarebbe stato più giusto che non avessero saputo dell’attimo di debolezza del loro capo. Non avrebbero capito. Era meglio dileguarsi. Antonio Capone aveva ancora l’arma stretta in pugno. I suoi uomini non avrebbero sospettato nulla. Così il signor Coleman si volta verso il boss, alza il cappello a mezz’aria, in segno di riverenza, fa un inchino di saluto e se ne esce dalla porta laterale, quella che da nella camera da letto e poi sul viale.
È sempre teatrale il signor Coleman quando è intento a fare il suo lavoro. Si sente Bogart, quando stringe la automatica nella mano destra.
Mentre si allontana attraverso il viale alberato tra pini e querce secolari, alza la testa al cielo e tra le foglie gli sembra di vedere due volti familiari e sereni che lo salutano con un sorriso. Sta per alzare la mano per ricambiare il saluto, ma poi guarda davanti a se e accelera il passo.
Bogart non l’avrebbe mai fatto, era un duro lui.
FINE
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