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Il sogno di Susan
L’arma è immobile sul tavolo di mogano, calda e invitante come una femme fatale. L'appartamento è piccolo, con il tetto irregolare e una grande finestra.
Fuori le stelle hanno lasciato posto alle invadenti luci al neon dei lampioni, e suoni di clacson e voci entrano nella stanza semibuia.
Il tempo scorre feroce e insensibile, Johnny indeciso sul da farsi suda e si torce le mani. Si alza, si passa una mano nei folti capelli neri, fa un giro intorno al tavolo e si risiede più nervoso di prima.
Karl da dietro il suo sigaro puzzolente lo fissa con occhi piccoli e una smorfia sul viso.
Karl era giunto a Southempton, anni fa. Aveva lasciato la sua amata Germania alle SS e alle assurdità per aprire un tipico pub bavarese non lontano dalle rovine del castello. Voleva rifarsi una vita, partire da zero e proprio da lì, da Southempton, cercando di non affondare come il Titanic. Lottare con la vita per restare a galla mentre gli anni diventavano massi che ti spingevano giù.
Johnny si recava ogni sera all’erste Lieber pub, per dimenticare qualcosa o, forse, qualcuno.
Susan serviva birra di frumento e brezel salati a camionisti di passaggio e a ubriaconi del luogo, tutte le sere.
Al loro terzo incrocio di sguardi, s’innamorarono.
Aveva occhi candidi e trasparenti, Susan. Capelli lunghi raccolti da un sottile filo di seta e abiti larghi e scollati. Johnny la osservava con i suoi occhi neri appesantiti da folte sopracciglia che davano allo sguardo un tocco romantico, quasi perdente. La osservava muoversi tra i tavoli con disinvoltura, e ogni volta che qualcuno allungava le mani verso di lei, Johnny induriva i suoi bicipidi e lo scaraventava fuori dal locale.
Johnny per tutta la sua vita non aveva mai realizzato un sogno, o forse, non ne aveva mai avuto uno; allora decise di voler realizzare quello di Susan: scappare da quel posto, e andare a vivere in una casetta vicino al mare sulle bianche scogliere di Dover, e passare le giornate a rotolarsi nella sabbia bianca, respirando gesso e salsedine e poi fare l’amore al tramonto, alla fredda luce di un sole che diventava una palla da bigliardo.
Così, Johnny, sei mesi dopo decise di affrontare Karl.
Johnny non era molto più alto di Karl e sicuramente non era più robusto, ma riuscii lo stesso ad alzarlo da terra e inchiodarlo al muro. Con voce autoritaria e baritonale gli illustrò la sua idea, gli parlò del sogno.
Ma a Karl non gliene fregava niente del sogno. Susan era sua e non l’avrebbe ceduta mai, ma gli piaceva scommettere, e così, dopo averlo convinto a metterlo giù, gli offrì una birra e gli fece una proposta.
Tra la quarta e la quinta pinta, Johnny accettò.
Sul tavolo, polveroso e unto di sudore c’è un revolver, sul divano, di un colore indefinito ma certamente scuro, una anonima sacca di tela contenente un milione di sterline e, rigido sulla sedia di spalle alla finestra, il corpo esanime di Karl.
Johnny prende la pistola e si siede mesto sul divano.
Tra un’ora Susan avrà finito il suo turno e lo raggiungerà. Lui gli mostrerà la sacca con i soldi, la prenderà per mano e insieme correranno leggeri come il vento nella loro casetta a Dover.
Ma a Johnny resterà per sempre l’immagine del corpo rigido e senza vita di Karl, con un sorriso beffardo e un sigaro spento in bocca. Questo non l’aveva previsto, Johnny. I suoi occhi, così abituati a vedere gli orrori di una guerra con un nemico dagli occhi piccoli e la pelle gialla, non sono ancora pronti per vedere un uomo ucciso per gioco.
Ma forse anche in Vietnam era tutto un gioco e lui non l’aveva capito, prendendo tutto maledettamente sul serio.
E senza più nessun alibi per quell'orrore, l’unica cosa sensata fu fuggire.
Karl aveva sedotto Johnny con un’offerta allettante: un milione di sterline e Susan libera in cambio di un poco di coraggio.
Era solo un gioco. Un gioco vecchio come il mondo. Le regole, anzi LA regola era spietatamente semplice: una pistola a tamburo caricata con un solo proiettile. I due partecipanti a turno si puntano l'arma alla tempia o alla bocca; chi non si becca il proiettile, si prende il malloppo.
Susan giunse tra le due e le tre di notte. Quando aprì la porta, un odore di morte la avvolse. Un buio immobile aleggiava nella stanza. Accese la luce e si avvicinò cauta verso il corpo freddo di Karl. Restò a guardarlo a lungo prima di scoppiare a ridere. Si ricordò di tutte le avance che le aveva fatto, puntualmente rifiutate e puntualmente afferrate con forza dalle sue mani callose. Si ricordò della bava che gli usciva dalla bocca quando godeva, l’alito puzzolente di tabacco, e i riflessi di luce sulla fronte glabra. Poi lenta si avvicinò al divano, dove Johnny con la testa all’indietro e la bocca squarciata fissava il soffitto. La macchia di sangue sulla parete aveva formato un’aureola rossa cremisi. Quegli occhi spalancati e spenti anche adesso avevano qualcosa di romantico. Come se guardassero ancora attraverso lo specchio deformante di un sogno.
Povero Johnny. Voleva portarla via, salvarla da una vita mediocre e da un uomo violento. Ma Karl non gliel’avrebbe mai permesso; lei, questo lo sapeva.
Che ingenuo, Johnny. Non aveva capito niente. Viveva in un mondo tutto suo, dove i buoni vincono e le damigelle sono sole ed indifese. Ma Susan aveva imparato molto presto a difendersi dalla vita. Una vita ostile che gli aveva rubato i giochi, i sogni e l’amore. Ma poi arrivò Johnny e con lui l'occasione per liberarsi di un uomo violento. E realizzare il suo sogno.
Così, Susan, libera, leggera e serena, prende la sacca con i soldi ed esce, volando sino alle bianche scogliere di Dover dove una casetta e un marinaio con la pelle che sa di gesso e sale, l’attendono.
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