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Il mio vicino di casa
Il mio vicino di casa, per otto mesi, nel 1994, fu il dottor Matthew con la sua numerosa famiglia.
Quanti fossero in famiglia, o più precisamente, quanti figli avesse il dottor Matthew, era difficile dire, perché, ogni tanto, arrivava a Matany un ragazzetto o un bambino, per noi nuovo, che prendeva alloggio nella sua casa: anche quello era un suo figlio.
Gli anni ‘90 sono stati gli anni tristissimi, per le conseguenze dell’ AIDS, che hanno seminato, in Africa, morte forse come nessun'altra epidemia o guerra o calamità precedente.
In ogni famiglia c'erano dei morti per quella malattia, talvolta così numerosi che molti villaggi si svuotarono lasciando come abitanti solo i nonni con i loro piccoli nipoti.
Molti superstiti venivano accolti dai parenti, e così faceva il dott. Matthew che accoglieva tutti, parenti vicini e lontani e ovviamente i suoi figli “illegittimi”, parola però sicuramente fuori luogo in Africa.
Quando arrivai a Kampala, prima di intraprendere con la mia famiglia il viaggio per Matany, ebbi un breve colloquio con il direttore dell'Ospedale, il dott. Daniele, in partenza per il Nord Europa per un Master di medicina. Nelle consegne che mi faceva sugli obiettivi, peraltro numerosi, che dovevo consolidare a Matany, c'erano anche dei consigli e delle avvertenze. Tra queste, due parole importanti furono spese per il dottor Matthew che, in sua assenza, diventava il nuovo direttore dell'Ospedale.
Il messaggio principale era di tenerlo d'occhio, farlo lavorare, impedirgli il più possibile di avere altri interessi al di fuori dell'Ospedale.
Il dottor Matthew non era certo un personaggio losco, anzi tutt'altro. Valente chirurgo, veramente dalle mani d'oro, era decisamente abile in ogni campo della chirurgia generale. Era inoltre simpatico, un vero gentleman; piaceva moltissimo alle donne e lui aveva per loro un gran debole.
Era giunto a Matany alla metà del 1989 e avevo fatto appena tempo a conoscerlo, prima di rientrare in Italia al termine della mia prima esperienza in Karamoja. Era arrivato perché innamorato pazzo di una bella infermiera Karimojong, che aveva conosciuto in un altro Ospedale, e che seguì fino a Matany perché incinta del loro primo figlio.
L’Ospedale di Matany, con l'arrivo del dottor Matthew, si poteva vantare di aver acquistato un astro nascente della chirurgia, pupillo della più famosa chirurga in Uganda, la dottoressa Lucille Corti, che l'aveva formato a dovere a Gulu, nell’Ovest dell’Uganda.
Quando arrivai nel 1994 a Matany, ebbi da lui una calorosa accoglienza e mi definì addirittura star dell'Ospedale. Ero soltanto poco più anziano di lui, solo per età. Matthew, lusinghiero, accomodante e abile adulatore cercava in tutti i modi di distribuire, mai imponendosi però, incarichi e responsabilità all'interno dell'Ospedale, per non soffocarsi di lavoro nei reparti e potersi dedicare ad altro.
Non riuscì, infatti, a spuntarla subito con me, il primo giorno, con la “distribuzione dei reparti”. Per fortuna mi ero ben preparato ad affrontare l'argomento, rifiutandomi di prendere il reparto più oneroso, la pediatria, che giustamente meritava una persona d’esperienza, come lui, e che Matthew, invece, sperava vivamente di cedermi con le sue lusinghe.
Devo avergli fatto buona impressione, però, alla mia prima presenza in sala operatoria, per un intervento al polmone, che aveva rimandato, attendendo il mio arrivo dall’Italia. Infatti, dopo qualche giorno, mi chiese, in modo veramente cortese, che gli incidessi un ascesso e successivamente mi pregò che eseguissi, sempre io, una biopsia a sua madre.
Ricordo con simpatia il piccolo intervento che feci al dottor Matthew. Aveva tantissima paura e sapere che in Ospedale ci fosse finalmente un anestesista, lo confortava moltissimo. Mi pregò che gli facessi addirittura l'anestesia generale e lo operassi pure. Mi sentivo molto imbarazzato da quella sua richiesta e dalla fiducia ripostami anche per il duplice ruolo, ma sentivo che, accontentandolo, gli avrei fatto un grandissimo piacere.
L'intervento fu davvero breve, di pochi minuti, e lo eseguii in sedazione profonda. Tutto si risolse in poco tempo, tranne l'effetto euforico e disinibente dei farmaci anestetici che avevo utilizzato e che potenziarono, al cubo, la sua indole allegra e divertente.
Durante il risveglio dall’anestesia, ancora ad occhi chiusi, iniziò a ridere e continuò in questo modo per non meno di venti minuti e così forte che, per tutto l'Ospedale, risuonavano le sue divertenti risate. Numerosi infermieri vennero a vedere quella scena così curiosa, in sala operatoria, e davvero inusuale per l’Ospedale.
Tra uno scoppio di risate e l'altro diceva: “Antonio, come hai fatto a farmi stare così bene?! ”.
Fu un successo per me, e ricordo che fu anche l'effetto euforico incredibilmente più piacevole che vidi in un paziente.
Sembrava che Matthew assistesse ad un film comico e mi ringraziò moltissimo per quello che gli feci.
Per il dottor Matthew ho sempre nutrito una grande stima: era un valido medico, direttore dell'Ospedale, ed anche un capace imprenditore. Gestiva, infatti, al mercato di Matany, un piccolo negozio di alimentari e un bar. Con le sue due automobili dirigeva un'impresa di pompe funebri e pure un autonoleggio con un autista, uno dei suoi numerosi dipendenti.
La sua bella moglie, infermiera in Ospedale, a casa cucinava pietanze e pane per il bar del marito.
Matthew aveva sempre un simpatico sorriso tra le labbra e una parola piacevole per tutti. Non l’ho mai visto arrabbiato, ma angosciato e terrorizzato sì.
Questo avvenne durante uno sciopero, condotto in modo rabbioso, da parte di molti dipendenti dell'Ospedale.
Lo sciopero scoppiò improvviso, violento come un temporale d'estate e durò alcuni giorni sufficienti a mettere in ginocchio l'Ospedale che, in pratica, fu chiuso. I pochi dipendenti rimasti fedeli e le povere allieve infermiere che si sobbarcavano tutto il lavoro, vennero terrorizzati ed alcuni, pure, malmenati.
C’era un clima di vera paura, soprattutto la notte, che mi faceva pensare, sentendo da casa i tamburi e le grida di guerra provenienti dal quartiere dei dipendenti, che tutto fosse pronto per un imminente attacco all'Ospedale.
Matthew viveva nel terrore. Era il direttore sanitario dell'Ospedale e si sentiva minacciato non solo per il suo ruolo, ma soprattutto per essere di una differente tribù e non avere, in quel momento, nessun appoggio dai boss locali o dai capi tribù, ma soltanto quello delle suore Missionarie Comboniane, proprietarie dell'Ospedale. Troppo poco per riuscire a dormire la notte.
Ogni mattina, di quei giorni di sciopero, incontrandolo per il giro pazienti, lo vedevo sempre più affranto, angosciato, sofferente per le notti insonni. Aveva ricevuto anche una diretta minaccia di morte e non riusciva più a prendere nessuna decisione.
Lo consigliammo di chiamare l'esercito in difesa dell'Ospedale perché, in quei giorni, non si capiva proprio da che parte fossero schierate le autorità locali di Matany.
Alla fine, fui io con le suore a chiamare le autorità provinciali per trovare una soluzione che riportasse alla normalità quella situazione che sembrava poter sfuggire di mano da un momento all’altro.
Arrivarono, per fortuna rapidamente, le autorità governative, appoggiate dall'esercito, e gli animi via via si calmarono.
Matthew approfittò di quella tregua per partire subito, da solo, con la sua auto, per un mese di vacanza, allontanandosi dall'Ospedale per respirare aria nuova, nella speranza che quei giorni terribili fossero presto dimenticati.
Ricordo che assunsi temporaneamente, in sua vece, l’incarico di direttore sanitario e partecipai, in quella veste, alla grande assemblea di chiarimento, indetta al mercato di Matany, con le autorità locali e governative.
L'appoggio concreto del governo permise, all'interno dell'Ospedale, di prendere delle soluzioni rilevanti, come il licenziamento dei leader dei rivoltosi.
Provai, in quell’occasione, una penosa sofferenza perché si decise di allontanare delle persone, diventate davvero ingombranti, che in passato, però, avevano dato un grosso contributo allo sviluppo sanitario di Matany, e che, inoltre, stimavo e conoscevo personalmente davvero bene. Tutto fu sistemato, senza particolari risentimenti, e, anzi, con reciproca soddisfazione.
I due leader furono presentati, con nostre ottime referenze, a due società nel capoluogo e subito assunti con uno stipendio nettamente superiore a quello che speravano di ottenere con lo sciopero.
Ricordo che incontrai uno di loro dopo qualche tempo e, complimentandomi per la nuova assunzione, gli dissi: “Finalmente hai raggiunto una posizione di gran prestigio, non possibile altrimenti in un piccolo Ospedale come il nostro”.
La causa dello sciopero, che prima non ho menzionato, fu una richiesta d’aumento di stipendio. La richiesta venne come conseguenza dell'improvviso raddoppio dello stipendio statale, a quel tempo, veramente basso. Gli infermieri del vicino Ospedale governativo, pressoché chiuso, con quell’aumento, ricevevano, anche senza lavorare, un salario quasi uguale a quello dei nostri infermieri di Matany, Ospedale privato.
I nostri infermieri che avevano sicuramente un lavoro molto pesante e un orario di 40 ore rispetto ai loro colleghi di Moroto, che se ne stavano praticamente a casa, risentiti per questa loro situazione divenuta svantaggiosa, scatenarono le prime dimostrazioni. Queste divennero violente, subito dopo l'assemblea indetta dalla responsabile economica dell'Ospedale.
Ricordo quanto ero preoccupato per le conseguenze possibili nel presentare agli infermieri karimojong il budget con cifre così giganti per la loro comprensione. Infatti, pur presentando il bilancio in profondo rosso, le somme elencate, con tutti quegli zero che non finivano mai, sconvolsero la testa anche ai più istruiti.
Gli infermieri scatenarono uno sciopero convinti che avessimo forzieri nascosti, pieni di denaro.
Il dottor Mathew, per i facinorosi, era il primo della lista ad avere i soldi nascosti, convinti che la sua ricchezza dipendesse dallo stipendio, piuttosto che dalla sua abilità imprenditoriale.
Quando Matthew tornò da quella lunga e quanto mai opportuna vacanza, fece la strada, pieno di paura, nelle prime ore del mattino e a tutta velocità, temendo ancora un'imboscata. Tutto per fortuna, quando arrivò, si era calmato, grazie anche all'azione del governo e l’Ospedale riprese rapidamente il suo ritmo di sempre, con il dott. Matthew alla direzione, in attesa del ritorno del dott. Daniele, missionario Comboniano e responsabile dell’Ospedale, ancora in Europa per alcuni mesi.
Ai nostri infermieri rimaneva, purtroppo, la delusione di ricevere lo stesso stipendio degli infermieri di Moroto che praticamente stavano a casa senza lavorare.
A tutti fu offerta, in alternativa, la possibilità di andarsene a Moroto, con una buonuscita, ma tutti preferirono rimanere al loro posto, saldamente attaccati alla sicurezza che dava, da sempre e a tutti, lavoratori e malati, l'Ospedale Missionario di Matany, vera e preziosa oasi nel deserto.
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