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Qualche ospite indisederato in Africa
Prima di andare a Matany, nessuno mi aveva mai parlato dei serpenti o degli insetti che avrei potuto trovare lì, probabilmente perché, alle persone che avevo incontrato, prima di partire per la Karamoja, avevo posto molte altre domande.
La casa che mi fu assegnata era inoltre recente, costruita in mattoni, con il tetto in lamiera ed isolata con un buon contro soffitto; aveva due camere da letto, un soggiorno, una cucina e un bagno, tutte collegate da un lungo corridoio e alle finestre robuste zanzariere.
Se non avessi avuto le zanzariere alle finestre, durante la stagione delle piogge, sarei stato invaso da milioni di insetti, attirati in casa, la sera, dalla luce dei neon.
In Ospedale, invece, era impensabile mettere le zanzariere alle finestre perché le porte dei reparti erano costantemente aperte, perciò mi faceva sempre impressione, durante la stagione delle piogge, vedere alcuni muri del reparto neri di zanzare.
In casa, per fortuna, non c'era questo problema e, soprattutto con l'arrivo di Monica e dei nostri figli, nel 1994, il livello di guardia divenne massimo, con l’uso frequente degli spray insetticidi e di spirali al piretro in ogni stanza, e con controlli minuziosi di mia moglie, ogni sera, sulla tenuta delle zanzariere che coprivano i letti dei nostri bambini.
In casa c’erano anche degli ospiti non umani.
Il primo era un geco, una sorta di lucertola di color marrone chiaro, che viveva sui muri della casa e stazionava sempre in camera nostra.
Alla sera si spostava sulla zanzariera per catturare i piccoli insetti, tra cui le zanzare di cui era proprio ghiotto.
Questo animaletto l’ho sempre guardato con simpatia: era una piccola guardia del corpo nella mia camera, mi difendeva e, sapere che c'era, mi conciliava il sonno.
L'altro ospite presente in casa era la tarantola rossa, ragno assai velenoso.
Per fortuna, scoprii la sua presenza diverse settimane dopo il mio arrivo, quando il mio ambientamento in Karamoja era già quasi ottimale e così non sono morto dallo spavento vedendolo la prima volta.
In Ospedale, erano rarissimi i casi di morsi di insetti o di serpenti velenosi che curavo e mai gravi, quasi ci fosse un reciproco rispetto tra l'uomo e questi pericolosi animali nonostante di serpenti, con veleno mortale, scorpioni e tarantole ce ne fossero numerose specie in Karamoja.
Personalmente ne ho visti molti di serpenti lungo le strade, anche di grosse dimensioni, e ne ho uccisi alcuni passandoci sopra con le ruote dell'auto, di notte, correndo verso Matany.
La tarantola rossa è un ragno sorprendente e di dimensioni discrete, parlo solo del corpo. Una volta vidi un esemplare con il corpo addirittura grosso come il pugno di una mano.
Straordinaria è la sua velocità d’attacco e di fuga.
La prima volta che ne vidi una in casa era di sera. Ero seduto in poltrona a leggere un libro quando, con la coda dell'occhio, ho percepito un movimento rapido sotto il tavolo a due metri di distanza. Scostai leggermente il libro per osservare meglio e vidi che un grosso ragno rosso, una tarantola, stava percorrendo velocemente la stanza; questo, notando quel mio piccolo movimento, si fermò di scatto in atteggiamento di difesa.
Rimasi di sasso, fermo immobile, osservando questo comportamento, e non credevo proprio che un ragno, a tale distanza, per un mio impercettibile movimento, mi avesse così bene localizzato e stesse duellando con me.
Lo guardavo fissamente, ero immobile, e pensavo intanto come avrei potuto ucciderlo. Mi stava scrutando, pure lui fermo immobile, con le sue zampe sollevate, e quando, improvvisamente, decisi di muovermi, il ragno, come un lampo, fuggì e scomparve.
Capii, con altre esperienze successive, che questo ragno era troppo veloce per pensare di potermi avvicinare lentamente, ad una distanza tale da sferrare un attacco decisivo.
Mi capitò soltanto una volta, casualmente, in farmacia, mentre cercavo una medicina tra gli scaffali, di girarmi e, ad un metro circa, vedere una tarantola davvero grossa, tanto che pensai, lì per lì, che fosse una femmina gravida.
Il mio attacco fu fulmineo e per lei davvero inaspettato e mortale, perché piovuto dal cielo.
Feci, infatti, un salto molto in alto ed in avanti, per disorientarla, pronto a colpirla con gli zoccoli che avevo ai piedi, in qualsiasi direzione avesse preso per fuggire.
Fui veramente rapido, non le diedi proprio scampo, atterrando con gli zoccoli e centrandola in pieno.
Feci uno schizzo enorme sul pavimento e andai subito, orgoglioso e ancora tremante, però, per la tensione appena vissuta, a raccontarlo agli infermieri del vicino reparto. Ero sorpreso e proprio soddisfatto, di quel mio duello vincente e della tecnica attuata, in modo quasi istintivo.
Una sera, lasciando la porta di casa spalancata, non ricordo per quale motivo, entrò dentro un grosso pipistrello.
Questo animale prese a volare per il lungo corridoio della casa e sebbene, volutamente questa volta, avessi lasciato la porta spalancata per farlo uscire, non sembrava proprio intenzionato ad andarsene.
Provai anche a spegnere la luce, sperando in un migliore successo, ma non ottenni nulla.
Il pipistrello percorreva volando continuamente, senza sosta, avanti e indietro, i 15 metri del lungo corridoio.
Mi appostai allora in cucina, incerto sul da farsi, e osservavo quello spettacolo pensando a come potessi toglierlo di lì.
Ricordai che, una sera a Kampala, un volontario in una situazione analoga, riuscì a colpire, al volo, con la racchetta da tennis un pipistrello e buttarlo fuori di casa. Uno smash perfetto!
Io non avevo, a Matany, la racchetta da tennis, ma improvvisamente mi ricordai di un bastone da passeggio, datomi da un pastore karimojong, appoggiato al muro in salotto. Lo presi e mi appostai bene, in corridoio, impugnandolo come una mazza da baseball.
Al primo passaggio presi la mira, pronto per colpire l'intruso al passaggio successivo.
Non avevo mai giocato a baseball, ma quella sera la concentrazione era proprio per il fuori campo del secolo. Sentivo il cuore battermi forte nel petto; mirai bene, calcolando l’altezza del suo volo, e sferrai, infine, rapido, il colpo micidiale. Bingo!
Non c'era purtroppo nessuno ad applaudire questa mia esibizione eccezionale, ma io ero proprio felice come avessi vinto un’importante partita.
Con la scopa lanciai, infine, l'animale fuori in giardino ai famelici gatti dell'Ospedale, per il finale dell'opera.
La mia porta di casa aveva, sul bordo inferiore, una piccola fessura.
Fossi stato nella foresta del Congo, come sette anni prima, durante un campo di lavoro da studente, avrei preso delle notevoli precauzioni.
Nel Congo infatti, esattamente nella foresta della provincia di Isiro, bastava una piccola fessura per essere invasi dalle temibili formiche guerriere. Ricordo che molti missionari mettevano sullo stipite della porta degli stracci imbevuti di benzina, come deterrente.
In Karamoja non c'erano però queste pericolose formiche della foresta e quella piccola fessura mi appariva proprio innocua.
Una sera, tornando a casa, aperta la porta, trovai un piccolissimo serpente, per fortuna nel corridoio, e quindi ben visibile. Per niente preoccupato, spalancai la porta e, con la scopa, lo feci volare fuori.
Avevo già visto grossi e lunghi serpenti, anche le terribili vipere, e quel piccolo rettile mi faceva pensare a un serpente neonato.
Dopo quel fatto, feci chiudere quella piccola breccia dai falegnami dell'Ospedale.
Una sera, inforcando la bicicletta davanti al reparto di pediatria, intorno alle otto, nonostante il buio, mi accorsi di un altro serpentello che se ne stava tranquillo vicino alla mia bicicletta, e non mi parve né pericoloso e neppure spaventato dalla mia veloce fuga con la bici.
La bicicletta era stata data in dotazione, dalle suore, a tutti i medici dell'Ospedale, solo nel secondo anno della mia permanenza a Matany, e mi risultava molto utile perché mi permetteva di arrivare in un lampo nei reparti, soprattutto in quello dei tubercolari, il più lontano padiglione dell'Ospedale. Inoltre mi dava notevole sicurezza, nel buio della notte, perché percorrevo dei tratti non illuminati, prima accelerando sui pedali, poi sollevavo le gambe, tenendole, così, il più lontano possibile da terra.
Tornando a casa, una sera all'ora di cena, e correndo con le gambe ben sollevate, intravidi un grosso serpente, proprio nel sentiero dieci metri più avanti. Il rettile, prima sollevò la testa in alto per circa un metro, in atteggiamento di difesa, poi veloce, per mia fortuna, fuggì via, passando vicino alla porta della mia casa.
Al mio vicino, il medico ugandese Emmanuel, capitò invece un'avventura con un serpente che lo fece diventare proprio “bianco” di paura.
Una sera, mio fratello ed io avevamo appena finito di cenare, quando sentimmo, forte, un grido di aiuto provenire dalla casa vicina. Incredibilmente il grido, che proveniva dalla casa del dottor Emmanuel, era in perfetto italiano.
Terrorizzato, Emmanuel diceva: “Aiuto! Correte, c’è un serpente nella mia camera”.
Non pensavo proprio che Emmanuel sapesse parlare in italiano; con lui, infatti, parlavo solo in inglese, ma sapevo che aveva vissuto molti mesi in casa con un altro volontario italiano e probabilmente aveva imparato, in quel periodo, molte parole.
Rimasi comunque stupefatto che il terrore lo facesse parlare nella nostra lingua. Pensai, inoltre, che abitando vicino a casa nostra e di fronte al convento delle suore, quasi tutte italiane, quell’urlo in italiano avrebbe sicuramente avuto maggior effetto. Infatti, in pochi secondi, noi e le suore eravamo di fronte alla sua casa.
Emmanuel continuava ad urlare, spaventatissimo, di stare attenti perché aveva visto un grosso serpente in camera e ci diceva che di essere balzato sopra il letto e, quindi, di averci chiamato.
Emmanuel era dentro al buio.
Entrammo cautamente nel corridoio, con le torce accese, ed accendemmo la luce in casa.
Le suore intanto erano arrivate, proprio tutte, portando anche Dick, il grosso cane lupo, agitato dalla chiamata a quella caccia notturna ed improvvisa.
Facemmo entrare il cane in camera da letto e quindi liberammo Emmanuel dalla sua posizione sopra il letto.
Emmanuel ci raccontò di essere stato al buio in veranda per un bel po' prima di entrare in casa e di aver lasciato la porta spalancata. Sempre al buio, mentre entrava in camera da letto, aveva intravisto un grosso serpente uscire velocemente e dirigersi verso il bagno.
Senza dubbio il serpente era ancora in casa e mandammo avanti il cane nella direzione del bagno.
Dick appariva sempre più agitato, per i comandi delle suore, che continuamente lo incitavano: “Prendilo, Dick, prendilo! ”.
Dick corse avanti, ma tornò subito indietro con il muso che faceva intendere di non aver trovato niente. Noi lo rimandammo più volte ancora avanti e Dick, forse per l’eccessiva agitazione creata delle innumerevoli incitazioni di tutti noi, tornava indietro sempre più scosso e confuso.
Arrivarono intanto anche le guardie dell'Ospedale che, insieme al cane, si spinsero con tanta attenzione, armati di bastone, più avanti verso il bagno.
Il bagno appariva vuoto, ma davanti alla porta c'era un grosso cesto della biancheria. Doveva essere proprio là dietro!
Anch’io incuriosito, assieme ad alcune suore, mi ero fatto più vicino, lungo il corridoio, proprio dietro le guardie: una di loro con il bastone scostò piano, con cautela il cestone.
Il grosso serpente, bene raggomitolato dietro, si mosse velocissimo in avanti, prima verso di noi, e poi, improvvisamente, trovato un buco nel muro, per lo scolo dell'acqua della lavanderia, uscì fuori.
Attorno alla casa c’erano già numerose persone, richiamate dalle urla di tutti noi, e visto il serpente uscire dalla casa riuscirono a colpirlo con i bastoni ed infine ad ucciderlo.
Era un grosso esemplare, lungo quasi tre metri, e faceva veramente impressione.
Fratel Carlo, missionario comboniano, ebbe molto lavoro, la mattina successiva, a chiudere, con gli operai, tutti quei buchi, per lo scolo dell’acqua, delle case dell'Ospedale.
Così, tutti noi, ci sentimmo decisamente più al sicuro.
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