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Oggi sposi
Dormivo profondamente, come sempre, anche quella notte; una leggera coperta mi copriva fino alle spalle, sufficiente per stare bene con quella temperatura fresca, ideale per un sonno tranquillo, al riparo, dentro la zanzariera, dalle tremende zanzare anofele.
Ad un tratto sentii qualcosa che mi toccava il piede, prima in modo leggero, poi ebbi la netta sensazione di essere afferrato.
Balzai nel letto, nel buio della stanza, con uno scatto rapido, “L’ho preso! Al ladro! ” gridai ad alta voce. Un altro grido si levò subito: “Papà!? ”.
Era Monica, sveglia e impaurita con la mano sull’interruttore della luce, accanto a me nel letto.
Ci guardammo ancora scossi dallo spavento: avevo avuto un incubo e l’avevo afferrata per un piede.
Erano le nostre prime notti di matrimonio e ci sentivamo ancora estranei, dopo un lungo anno di fidanzamento per lettera ad oltre 6000 chilometri di distanza, lei in Italia ed io a Matany.
Ridemmo di quella buffa situazione che diceva proprio tutto su quell’inizio di vita a due e che ci vedeva cauti nella conoscenza l’uno dell’altro.
Eravamo, però, davvero felici di essere finalmente insieme, tanto c’eravamo desiderati durante quel lungo anno di lontananza.
C’eravamo innamorati un mese prima della mia partenza per l’Africa e il mio ritorno, per una vacanza dopo alcuni mesi passati a Matany, aveva confermato che insieme stavamo proprio bene.
Centinaia di lettere, negli otto mesi e mezzo successivi, e rare telefonate, possibili soltanto dal Post Office della capitale ogni due tre mesi, mantenevano altissimo il nostro reciproco amore.
Monica mi rispondeva dal telefono del salotto di casa. Quale privacy per lei senza cordless e con i nonni molto anziani sempre presenti!
Quando mi recavo al Post Office, avevo con me uno zainetto pieno zeppo di pacchi di banconote e mi muovevo per le strade con grande cautela.
In Uganda negli ultimi anni '80, c’era una grande e diffusa povertà, e l’inflazione era paurosa. La banconota di maggior valore era a quell’epoca da 100 scellini, mentre la mia telefonata di 30-40 minuti costava circa 80000 scellini, che dovevo pagare in anticipo; inoltre mi sorbivo l’effetto eco, veramente terribile, perché sentivo la mia voce ripetermi quello che dicevo a Monica, prima di sentire con un certo ritardo la sua voce, lontana e imbarazzata, per quella improvvisa intimità con me, mentre, vicino a lei, nel piccolo soggiorno, soprattutto nei mesi invernali, c’era tutta la famiglia.
Dopo la mia permanenza nell’Ospedale di Angal, nell’ovest dell’Uganda, e il fatidico sì di Monica, durante il mio breve soggiorno in capitale, ci furono soltanto due mesi per prepararmi al matrimonio.
Il primo, passato veramente male, con grande difficoltà ed incomprensione a Matany, il secondo in Italia, finalmente a fianco di Monica, nell’annunciare a genitori, parenti ed amici le nostre intenzioni e nell’organizzare tutto il necessario per le nozze. Questo ultimo mese, intensissimo di emozioni e difficoltà, di importanti esami all’Università, tutto davvero impegnativo, cementò il nostro amore e il nostro reciproco senso di appartenenza.
Il nostro matrimonio fu veramente una grande festa; mi vedevo felice, gioioso, sempre sorridente, gratificato dagli ostacoli ben superati uno per volta. Il mare in tempesta, che vedevo attorno a me all’inizio di quell’avventura, era, alla fine, diventato un mare tranquillo, che si navigava bene.
Salendo in macchina con i miei genitori, in quel caldissimo sabato mattina di fine luglio, diretto alla chiesa di Galzignano Terme, mi sentivo come un re che andava a celebrare le nozze con la sua bellissima ed amatissima principessa.
Quando vidi Monica, in chiesa, felice come me, radiosa nell’ abito bianco che esaltava i suoi freschissimi vent’anni, mi sentivo al massimo della felicità, stupefatto che tutto potesse accadere, che tutti i miei sogni si avverassero: Monica era tutta per me!
Le avevo promesso tutto il mio amore e una capanna in Africa, nulla di più, e lei aveva accettato.
Ricordo che suo padre, inizialmente, fu in grande difficoltà, tra l’emozione e la sorpresa, quando alla mia proposta matrimoniale mi chiese, cercando delle garanzie per sua figlia, se possedessi un lavoro, una casa e una macchina. Gli avevo risposto di no, che in quel momento ero in Africa, lavoravo e vivevo in una casa vicino all’Ospedale insieme a mio fratello. “E poi si vedrà”, terminai tranquillo, come se non ci fossero proprio altri problemi, mentre lui tratteneva le lacrime e i singhiozzi al pensiero di perdere così, improvvisamente, sua figlia, per lui ancora una semplice ragazzina.
Monica ed io arrivati a Matany, sposi novelli, trovammo un clima favorevole, ben diverso da come l’avevo lasciato un mese prima.
Mio fratello era infatti rientrato a Matany con l’annuncio della data del nostro matrimonio e aveva preparato l’ambiente in modo positivo, così tutti ci accolsero con grande affetto e gioia.
Eravamo stati, Monica ed io, così lontani per tanto tempo ed ora eravamo così vicini, intimi; la nostra vita era davvero cambiata e assaporavamo piano piano i frutti di questa nostra felicità e vedevamo che questa contagiava anche chi ci stava attorno.
Il nostro viaggio di nozze cominciato, dopo il pranzo nuziale, in direzione di Bressanone (BZ), a bordo di una Panda 750 color bordeaux, secondo il mio punto di vista non è mai finito, è ancora in corso.
In realtà a Bressanone, magnifico regalo di nozze di mio cugino Nanni, passammo solo tre giorni, anche se meravigliosi, prima di partire per l’Uganda.
Una volta raggiunta la capitale, Kampala, dopo due giorni di viaggio aereo, partimmo immediatamente per Matany a causa di gravi problemi di sicurezza sulle strade. Arrivati a destinazione dovetti riprendere subito il lavoro, non era certo possibile fare diversamente.
Per Monica, che sperava di restare sola con me per più tempo, prima che riprendessi il lavoro, il viaggio di nozze è durato precisamente sei giorni, e questo le è sempre un po’ pesato.
Per questo arrivo anticipato a Matany, gli altri medici ci hanno sempre riservato un riguardo speciale. Per esempio, nel mese successivo ci furono due occasioni per viaggiare e il responsabile dell’Ospedale, davvero squisito, ha pensato a noi regalandoci altri giorni di vacanza matrimoniale.
Viaggiare come novelli sposi per le missioni non è molto facile; talvolta ci sono alcune difficoltà che Monica ed io scoprimmo durante questi due viaggi.
Il primo fu presso una missione a 80 chilometri dall’Ospedale dove ci recammo per accompagnare una suora.
L’accoglienza nelle missioni è sempre ottima, specialmente se sei conosciuto, ma in ogni caso non è previsto che marito e moglie dormano assieme: non è opportuno.
Arrivati nella missione, al tramonto, dopo i saluti e una fresca bevanda al tamarindo, le suore ci dissero che avevano sistemato Monica in una stanza nel loro convento e il sottoscritto dai padri.
Restai proprio male alla proposta, ma, per nostra fortuna, la suora che accompagnavamo intervenne subito dicendo che non era lecito separare la moglie dal marito. Io mi feci avanti, approfittando dell'improvvisa occasione, affermando che sottoscrivevo pienamente la proposta della suora e che saremmo stati benissimo insieme nella stanza preparata dai Padri e che, inoltre, avevamo con noi le lenzuola matrimoniali.
Questo cambiamento di programma non fu proprio gradito ai Padri. Per fortuna lo seppi soltanto qualche mese dopo quel primo weekend fuori Matany.
Fu, infatti, il nuovo direttore dell’Ospedale, un religioso, a polemizzare con me per aver infranto una regola, non scritta ovviamente, ma dettata dal buon senso.
Gli risposi, mi ricordo bene, per le rime, dicendo che se fossero andati a trovarlo in missione, suo padre e sua madre, avrebbe certamente preparato una bella stanza matrimoniale. La sua risposta, scontata, fu che loro erano anziani, mentre noi invece giovani e che in quel modo davamo scandalo.
Il viaggio successivo, non molte settimane dopo, fu per accompagnare un sacerdote malato in Kenya.
Passammo due notti in due missioni, durante il lungo viaggio in auto, diretti a Nairobi e non fu proprio possibile dormire insieme, anche se, la prima notte, ci concessero due piccole stanze singole adiacenti.
Arrivati a Nairobi restammo due notti in un albergo diretto da suore. Quando arrivammo, la suora alla portineria, dopo averci visti, ci annunciò che non c’erano stanze matrimoniali libere, ma solo due stanze singole a piani diversi. Fui preso dalla rabbia e risposi con voce alterata che eravamo in viaggio di nozze e già per due sere eravamo stati divisi; chiesi, con tono deciso, l’indirizzo di un altro albergo.
A quel punto la suora, imbarazzata dal mio risentimento e dalla mia richiesta, disse che effettivamente c’era una stanza matrimoniale disponibile e poteva assegnarcela.
Tutto sommato c’è andata bene, ma non è proprio scontato vivere il proprio sacramento matrimoniale in un convento, almeno come lo intendono gli sposi, e soprattutto i novelli sposi.
Si crea imbarazzo e si rischia di non essere più invitati!
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