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La mucca in dono
Quando arrivai nella corsia del reparto maschile, quella mattina, Sampson, il capo sala, m’invitò ad entrare nella seconda stanza a destra, perché un paziente voleva ringraziarmi.
Il paziente, seduto nel letto, appariva notevolmente migliorato e pensavo di dimetterlo quello stesso giorno. Era entrato in Ospedale, pochi giorni prima, con febbre alta, dolore toracico e tosse. Con l'esame clinico era stata diagnosticata una polmonite. Dopo averlo ricoverato nel reparto maschile, avevamo iniziato subito la terapia antibiotica endovenosa. Come la maggior parte dei pazienti con polmonite, il quadro clinico era solitamente così eclatante che non veniva richiesta la radiografia del torace, per una conferma, e anche per non causare ingolfamento in radiologia dove lavorava soltanto un tecnico.
Il paziente era sorridente, contento di sentirsi bene; non parlava inglese e perciò Sampson, infermiere karimojong, anche lui allegro e sorridente, perché sapeva già tutto, traducendomi disse che quel signore voleva ringraziarmi tanto perché, quando era stato ricoverato, pensava di morire, tanto male respirava, ed ora invece si sentiva guarito.
Disse che mi donava una mucca, e mi sembrò proprio molto soddisfatto e orgoglioso di quel suo gesto.
Io mi sentivo così imbarazzato che dissi solo "grazie", cercando nella mente di ricostruire il caso clinico che non mi era mai parso così drammatico. Non sapevo che altro dire, perché era la prima volta, in assoluto, che ricevevo un dono da un paziente particolarmente riconoscente.
Le mucche, sapevo bene, rappresentano per i karimojong lo scopo della loro vita e inoltre questi pastori sono convinti che tutte le mucche del mondo siano per loro; i karimojong sono pastori da secoli, e le mucche non sono utilizzate per la produzione di latte o formaggio, un cibo che non conoscono, e nemmeno per la vendita della carne o del pellame, ma principalmente come simbolo di ricchezza. Più mucche possiedi, più sei ricco, più mogli e figli ti puoi permettere e più importante appari nella loro società.
L’acquisizione del bestiame, in Karamoja, avviene, principalmente, attraverso la razzia, cioè il furto.
I karimojong sono pastori guerrieri, molto fieri, forti fisicamente, divisi in varie tribù, sotto tribù e clan familiari.
Sono amici o nemici tra di loro, secondo le varie alleanze stipulate di anno in anno dai capi tribù. Le alleanze servono soprattutto per organizzare le razzie, frequentemente solo scorribande notturne, al chiaro di luna, per rubare qualche decina di mucche, ma una o più volte l'anno, queste razzie acquistano dimensioni tali da sembrare delle vere e proprie guerre che procacciano, come bottino, anche centinaia di bovini.
Dopo un'importante razzia, che vedeva coinvolti molti guerrieri, armati con fucili automatici moderni, l'Ospedale accoglieva i feriti di ambo le parti.
Nel reparto maschile, la principale causa di ricovero era proprio la ferita d'arma da fuoco.
Quel regalo inatteso, quindi, m’insospettì molto, perché sapevo della grande gelosia e del valore che questa popolazione attribuisce alle mucche, e chiesi subito agli infermieri locali se quell'animale potesse essere un provento illecito, frutto di una recente razzia. Gli infermieri ridevano divertiti, come per dirmi che lì le cose funzionavano proprio così.
Mi domandavo cosa avrei fatto di quella bestia e così mi venne in mente che si poteva mangiarla tutti insieme, con il personale dell'Ospedale al completo.
Ne parlai subito con i miei infermieri e decidemmo di organizzare una grande festa.
La festa fu fissata per la domenica successiva, di sera, perché ci voleva tempo per macellare la mucca, frollarne la carne e infine cucinarla.
Il giorno successivo, gli infermieri, incaricati di gestire l’animale, mi dissero che questo in realtà era un vitellone e che il macellaio del villaggio chiedeva, per sé, come compenso, metà della bestia. Il tutto mi puzzava un po' di imbroglio, ma mi dissero, rassicurandomi, che questo era il giusto compenso e che c'era lo stesso da mangiare per almeno cento persone. Avrebbero provveduto loro, con le allieve infermiere, a cucinarla.
Io avrei, inoltre, fornito il riso anche questo poi cucinato da loro.
Mi accordai bene anche di organizzare degli spettacoli per rendere quella cena davvero speciale. Anch'io m’impegnai a dovere e presentai, durante la festa, una scenetta sulla vita di un pastore karimojong.
L'idea mi venne in mente ricordando una vecchia e simpatica scenetta che facevo da ragazzo, quando ero scout, trasformandola e ambientandola a quella popolazione africana. Mi sembrava proprio adatta per divertirli, ma anche per introdurre dei messaggi provocatori, come la propensione al furto, ben evidente nella loro società, in un mix di comicità e satira di buon gusto.
Arrivò finalmente la domenica e mi godetti tutta la bella festa fino alla fine, contento di non esser stato chiamato in Ospedale per qualche urgenza, soddisfatto per la perfetta organizzazione e qualità della cena a base di carne e riso, che gustai proprio volentieri, ed infine per la qualità degli spettacoli presentati e, soprattutto, per il successo della nostra scenetta!
Alla serata erano invitati tutti i lavoratori dell'Ospedale, medici, infermieri, tecnici, ausiliari, meccanici, le suore e i padri missionari, in tutto, circa 100 persone. Di cornice alla festa, assiepati tutto intorno per vedere gli spettacoli nel giardino dinnanzi la scuola infermieri, c'erano molti pazienti, familiari, bambini del villaggio di Matany, incuriositi dalle luci e dal gran chiasso.
Dopo cena, iniziarono gli spettacoli, davvero numerosi e ben preparati, simpatici e divertenti anche se bastava veramente poco a quel pubblico, così propenso alla risata, per scatenare il delirio e anch'io mi sono sentito, quella sera, vedendo come si sbellicavano dalle risate, un gran comico.
In quattro medici italiani avevamo preparato quel divertente sketch, dove io figuravo da pastore karimojong, Stefano, un trevigiano, da ladro karimojong, mio fratello Andrea e Gigi, torinese, mimavano, invece, una mucca davvero speciale (produceva latte in polvere), che io portavo al mercato.
Soltanto il mio ingresso in scena, vestito da karimojong, con tanto di bastone e seggiolino originale, scatenò cinque minuti di fragorose risate, tanto che dovetti passeggiare avanti e indietro un bel po' con la finta mucca, aspettando che la platea si calmasse e potessi, non avendo il microfono, iniziare a parlare.
La nostra comica ebbe così tanto successo che la presentammo ad un'altra festa, qualche mese più tardi, facendo una seconda puntata, con gli stessi personaggi ed avemmo ancora più fortuna.
Degli sketch, presentati dal personale infermieristico, ne ricordo bene, almeno due. Il primo era presentato da due suore keniote, allieve infermiere, che, vestite da nane, con un perfetto e buffo travestimento, ballavano al suono della musica. Le due suore ci spiegarono bene quel simpatico camuffamento che utilizzammo in Italia, in più occasioni, con analogo successo.
La seconda rappresentazione fu una parodia su di me e mio fratello, medici ospedalieri. C'imitarono proprio bene, cogliendo molti dei nostri atteggiamenti più caratteristici, resi ovviamente esagerati e goffi per suscitare le risate.
La scenetta era ambientata in un reparto dell'Ospedale, durante il giro pazienti, e vide la partecipazione anche di un’allieva infermiera, molto carina che per esigenze di scena, con gran naturalezza si spogliò e si distese sul lettino da visita, davanti a tutti. Il pubblico, ben abituato a vedere le donne karimojong vestite con la sola gonna e niente sopra, non cambiò, durante quella scena, il tono chiassoso delle risate, tutt’altro che sorpresi da quell’aspetto scenografico.
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