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ombre dal passato
Ore 2. 30 dopo una serata con gli amici, passata in spiaggia attorno ad un falò per Beatrice è ora di tornare a casa, per fortuna c’e Andrea che come sempre fa da taxi per tutte! Beatrice arriva a casa, infila la chiave nella serratura ormai vecchia e rumorosa, e dopo qualche difficoltà finalmente riesce ad aprirla, si sfila i sandali e scende le scale senza far rumore, in punta di piedi per non svegliare nessuno, ad un tratto vede un ombra muoversi nella sua stanza, sente dei rumori ambigui; con il sandalo in mano spalanca la porta, pronta all’ attacco, ma ….. invece era solo il suo batuffolo di pelo, con le orecchie e il musino a punta, luna, la sua piccola cagnolina che possedeva da quando aveva 7 anni, che con le sue zampette stracciava i fogli sparsi per la stanza;dopo lo spavento si lasciò andare ad una risata:<<Che scema che sono chi altro poteva essere, se non tu piccola peste!>> Abbracciò la sua piccolina e si gettò sul letto, sfinita dalla serata. Ore 8. 43 la sveglia suonava all’ impazzata ma Beatrice presa dai suoi sogni, dormiva beata; allora la madre si catapultò nella sua stanza e la buttò giù dal letto: <<È tardi! Svegliati che tua sorella ti lascia a piedi, dai!>>. La madre era una donna che aveva vissuto una vita piena di dolori. Fin dall’ infanzia si trovò a far da madre ai suoi fratelli, il padre era troppo occupato a lavorare e a tradire la moglie, sua madre invece era impegnata a pedinare il marito per coglierlo in flagrante e a disperarsi perché non avevano abbastanza soldi per sfamare i nove figli di cui era madre; aveva il viso segnato dalle peripezie vissute, gli occhi spenti dal troppo dolore passato, che s’ illuminavano solo alla vista dei successi dei figli, era una madre dalle alte pretese, perché aveva fatto troppi sacrifici per i figli, per la famiglia e troppe volte era stata delusa; mascherava sotto l’ aria di donna severa e rigida, il bisogno di sentirsi speciale, di sentirsi amata dalla sua famiglia. Beatrice si rese conto di essere in ritardo e di non essersi svestita prima di andare a letto; si tolse la camicetta turchese cosparsa di fiori bianchi e la posò sulla sedia della camera, si sfilò gli shorts di jeans, li lasciò cadere sul pavimento, e s’ infilò velocemente nella doccia e con spruzzi di acqua ghiacciata si svegliò per bene. Nel giro di mezz’ ora era pronta. Era la classica ragazza mediterranea, lunghi capelli ricci castani e lucenti, carnagione olivastra, grandi occhioni verdi illuminati dalla voglia di vivere, labbra carnose, alta, dalle dolci curve, dalle spalle larghe, importanti, dalle gambe lunghe e snelle; vestendosi si mise la prima cosa che le capitò fra le mani, salì le scale, andò in bagno si guardò allo specchio e facendo una smorfia di disapprovazione, scosse il capo, legò i capelli in uno chignon improvvisato. Salì nel piano di sopra, andò in cucina e come quando aveva quattro anni salutò i suoi genitori con due grossi baci scoccati sulle loro guance, e come faceva ogni volta prima di uscire si mostrava in tutto il suo splendore davanti alla madre per avere la sua approvazione sull’ abbigliamento, fece una giravolta e chiese come le stesse il prendisole arancione allacciato al collo. Scese velocemente, sotto l’ aspettava Serena, la sua sorellina, cioè non proprio sorellina, era una delle sue due sorelle maggiori ma la considerava la sua sorellina per il fisico minuto e la sua altezza non molto elevata, a differenza della figura più prorompente. Finalmente arrivò alla spiaggia, dove quest’ estate avrebbe lavorato come animatrice con Andrea il suo migliore amico, Giusi e Melania sue amiche fin da quando erano bambine; arrivò con il solito ritardo, le persone importanti devono farsi desiderare, questa la sua filosofia. Trovò tutti li ad aspettarla, scese in spiaggia e con la sua aria da bambina salutò tutti con un “ciao” caloroso e strizzo l’ occhio, si sfilò il prendi sole, e sfoggiò il suo bikini azzurro semplice ma che a dosso a lei sembrava un qualcosa di impareggiabile, con i raggi del sole la sua pelle diveniva ambrata, i suoi cappelli risplendevano di nuovo colore. Ora che nessuno mancava all’ appello potevano organizzare il lavoro, iniziarono a destreggiarsi fra merendine, secchielli, palle, pistole ad acqua e bambini che correvano a destra a sinistra, anzi “scimmiette urlatrici” come decisero di chiamarli loro. Le ore passarono velocemente e in un men che non si dica l’ orario di lavoro era giunto al termine; allora come ogni giorno Andrea la fece salire in auto, andarono a prendere un gelato e subito la riaccompagnò a casa; lei scese dall’ auto, lo salutò, e dopo quasi tre metri tornò indietro aprì lo sportello e scoccò un bacio sul suo viso di Andrea, “grazie” gli sussurrò ad un orecchio e subito corse verso casa e urlando gli disse: ci sentiamo dopo!! Salita a casa posò la borsa sul divano e velocemente salutò tutti: mamma, papà, serena e il suo fratellone Matteo. Ormai erano rimasti solo in quattro in casa, anzi in cinque, non dimentichiamoci di Luna, la sua cagnolina; Lorena, sua sorella maggiore, si sposò un anno dopo la sua nascita, a soli 19 anni, si innamorò del suo professore di recupero di matematica; come si dice in questi casi l’ amore non ha età; invece Luca il suo fratellino si era sposato circa 4 anni fa, troppo in fretta, fece tutto da solo, non si rese nemmeno lui conto del passo che stava per affrontare, ma tutto sommato era suo dovere, la sua ragazza era incinta e doveva prendersi le sue responsabilità. Pranzò con la sua famiglia, raccontò della sua avventura con le scimmiette urlatrici, e stette ad ascoltare i consigli della madre su come comportarsi con bambini. Aiutò a sparecchiare, e iniziò a rassettare la cucina, finite la faccende domestiche, prese il gelato e seduta sulla veranda con l’ mp3 nelle orecchie, canticchiando le canzoni del momento, affondò il cucchiaino nel verde pistacchio del barattolo. Dopo un pomeriggio passato ad oziare chiamò Andrea e come quasi ogni sera organizzarono una serata in discoteca con gli amici. Passarono la serata ballando, ridendo, divertendosi e bevendo, ma come sempre alle 2 di notte erano tutti già a casa a dormire sani e salvi. Questa una giornata tipo di bea ma un sabato sera non si concluse così. Non tornò a casa. Chiamarono dall’ ospedale i genitori della ragazza, dissero che era stata vittima di un’ incidente stradale tornando a casa. La loro auto uscì fuori strada per evitare un auto che invase la loro corsia. I genitori corsero in ospedale, la madre addolorata e piangente voleva sapere le condizioni della figlia, allora il medico le disse che aveva subito una forte botta al capo ed era probabile che perdesse la memoria temporaneamente. Tutti i presenti nell’ auto avevano bruciature, fratture di lieve peso, ma il conducente aveva una ferita profonda nell’ animo, il rimorso di aver causato le sofferenze dei suoi amici. Beatrice si svegliò circa 12 ore dopo l’ incidente erano le 15. 00, trovò tutti li presenti, subito Andrea, anche lui vittima dell’ incidente, corse a chiamare un medico. Posero alcune domande alla ragazza del tipo: -Come ti chiami?
-Quanti anni hai?
-Riconosci tutti i presenti nella stanza?
Beatrice rispose alle domande correttamente, ma improvvisamente disse di non ricordarsi in che città fosse, in che città fosse nata, che scuola avesse frequentato, il medico le spiegò che era stata vittima di un incidente di aver perso la memoria in questo caso degli eventi passati, ma per fortuna la sua condizione non era gravi perché era già una grande cosa che si ricordasse dei presenti. Dopo circa 10 giorni venne dimessa, tornata a casa le vennero in mente come dei flash back, lei bambina in quella casa enorme e la figura di una donna a lei ora sconosciuta. Scendendo nella sua camera vide delle foto che attirarono subito la sua attenzione, una bambina imbraccio ad un uomo che già conosceva, ricordava la sua voce, i suoi occhi, le sue braccia, ma chi era?? Passarono dei giorni, e finalmente ebbe il coraggio di chiedere chi fossero quelle figure cosi sfocate nella sua memoria, ma si sentì dare sempre la stessa risposta: Non so, forse saranno frutto della tua immaginazione; Lascia stare meglio non ricordare a volte. Allora non soddisfatta dalle risposte alla sua domanda decise di trovare da se le risposte; chiamò Andrea, gli chiese se poteva passare a prenderla, gli disse di dover tornare nella vecchia casa al mare e di aver bisogno di qualcuno di cui potersi fidare. Erano circa le 10. 30, Beatrice era già giù ad aspettare, il suo viso era spento, i suoi occhi bassi, appena vide Andrea si infilò nell’ auto, e raccontò quello che le era successo, gli chiese se lui sapesse qualcosa di più, ma a questa domanda lui cambiò espressione; anche tu non vuoi dirmi nulla vero? Lui le rispose che gli sarebbe stato vicino e che l’ avrebbe aiutata, ma non poteva dire ciò che la sua famiglia nascondeva. Arrivarono alla vecchia casa al mare, sembrava tutto così uguale, come se il tempo si fosse fermato, c’ erano tanti bambini, ma una in particolare attirò la sua attenzione: guardando quella bambina, mi ricordo di me stessa alla sua età, quando tutto era un gioco, quando tutto era facile; disse fra sé. Si fermò davanti la grande porta di legno, sulla quale c’ erano incise quattro lettere, le iniziali delle sue migliori amiche di allora, si voltò e diede un ultimo sguardo al panorama; <<Finalmente un po' di tempo tutto per me. Oppressa e confusa, il mare mi tranquillizza. C'è vento, tanto vento. Porta odore di salsedine, e mi piace. Amo il vento. Mi arriva sulla faccia, mi scompiglia i capelli, ma poco importa. Dai entriamo.>> Disse ad Andrea. Aprì la porta con fatica erano anni che nessuno non ci entrava più, era tutto ricoperto di cellofan, era irriconoscibile, non sembrava più la casa vissuta durante la sua infanzia, ma non si soffermò molto ad osservare ciò che la circondava, doveva tornare indietro nel tempo, doveva riscoprire la sua identità, doveva riscoprire se stessa. Prese la scala e aprì una botola, Sali le scale, Andrea la seguiva di pari passo. Era una soffitta polverosa, con travi di legno e pavimentazione grezza. C’era di tutto: armadi che custodivano abiti anni ’50 di mamma, cartoni pieni di tesori inaspettati come centinaia di foglioline di rame che mio padre chissà quando aveva sapientemente battuto a mano, in un suo momento di creatività artigianale; buste che celavano misteriose pellicole mai sviluppate; scarpe. Decine e decine di scarpe nuove, di quelle che adesso vanno tanto di moda: le spadrilles col tacco alto ma non troppo, per intenderci. Di tela, di pizzo, di raso, di juta, di pelle; infilate in due buste di plastica trasparente, di quella plastica spessa, e ben sigillate. Finalmente vide il suo baule: <<è quello! –Esclamò- dai aiutami a tirarlo più avanti>> disse al suo compagno di avventura. Lo aprì con cura, quasi spaventata da quello che avrebbe potuto trovarci dentro, c’ era una cartella piena di disegni, tanti disegni, schizzi di abiti, di paesaggi, amava disegnare, ma fu una passione che accantonò a causa dello studio. C’ era un borsone rosa, lo tirò fuori, e lo aprì, c’ erano dei tutù, delle scarpette rosa da punta, dei chignon, delle fasce, dei body; improvvisamente ricordò di aver studiato danza per molti anni, troppi, ricordò il suo ultimo spettacolo, il suo ultimo saggio, quando con a dosso un delicato abito di tulle bianco e azzurro, volteggiava delicata ed eterea, sicura come non mai, roteava sospesa sul palco, mentre si mostrava in tutta la sua eleganza, in tutta la sua essenza. - Andrea tu ti ricordi?? ero proprio brava vero?? Andrea le rispose: -come posso dimenticarlo? Da quando ci conosciamo sono venuto ad ogni tuo spettacolo, e lo sai benissimo, eri comparabile a Tersicore, dai andiamo avanti!! Le capitarono fra le mani numerosi cd di vecchi artisti, peluche, e una maglietta macchiata d’ inchiostro blu, ricordò subito quella maglietta, quando bisticciando con suo fratello, sbadatamente si verso a dosso la boccetta d’ inchiostro di mamma, e per nascondere il disastro alla madre l’ accantonarono nella vecchia soffitta. Ritrovò alcuni vecchi diari li divise in due mucchietti, uno spettava a lei, l’ altro ad Andrea, entrambe iniziarono a sfogliarli velocemente fino a quando non lesse:
17/01/2001 17. 00
Caro diario,
oggi ce qualcosa di strano nell’ aria, avverto la tensione di mamma, oggi improvvisamente e scoppiata a piangere, non capisco il perché, voglio sapere!
22. 00
Ho scoperto cosa è successo, anche se avrei preferito rimanerne all’ oscuro. Papà ciccio è morto, mamma è distrutta, chi non lo sarebbe sapendo che tuo fratello e il padre della figlia che stai crescendo è morto. Spero solo che superi il dolore in fretta. Ora vado a letto. A domani, notte!!
Letta questa pagina di diario i suoi occhi diventarono rossi, si gonfiarono, e una lacrima scese sul suo viso. chi sono?? Urlò. Andrea prese il diario e lesse, l’ abbraccio e le disse che chiunque fosse, sarebbe rimasta sempre lei, perché non ce nessuno migliore di lei. Continuò a leggere alcune pagine di quel diario per continuare il suo viaggio nel passato.
24/09/2006 7. 40
Caro diario,
oggi è il mio compleanno che bello, non vedo l’ ora di salire in cucina e ascoltare la solita canzoncina che ogni anno papà e mamma mi cantano prima di andare a scuola. sono super strafelicissima!
23. 00
Oggi è stata una giornata memorabile ho ricevuto dei regali magnifici, a pranzo c’ erano tutti: mamma, papà, Serena, Lorena, Matteo e Luca con le rispettive mogli e figli; è stata una grande festa. La torta era magnifica, buonissima, piena di panna e cioccolato. Ma oggi non ho ricevuto nessuna chiamata da parte di mamma Nadia, a differenza di ogni anno, come può dimenticarsi di chiamare sua figlia, come può dimenticarsi di questo giorno, lo stesso in cui mi mise al mondo; non glielo perdonerò mai!!
Lesse ancora altre pagine, il dolore era lacerante ma doveva capire, non riusciva ricordarsi perché lei fosse con un’ altra famiglia, perché i suoi genitori biologici l’ abbiano affidata ai suoi zii. Trovò diverse fotografie, una vedeva impresse lei e le sue migliori amiche su degli scogli in mezzo al mare, sembravano delle sirene, quasi non si riconosceva, era così cambiata. Trovò un’ altra foto c’ erano lei e Andrea, bambini, mano per la mano, confrontò la foto con la realtà, Andrea era rimasto tale e quale, i suoi occhi neri e profondi, i suoi capelli chiari, il suo sorriso, ma ora era più alto, più forte, era un uomo. Scovando fra i vecchi documenti di famiglia racchiusi nel baule trovo il suo certificato di nascita, era nata a Modena, da un uomo calabrese, del sud Italia, e da una donna straniera nata nella calda terra della Tunisia; << e così la mia vera madre è straniera>>.
Trovò delle lettere mandategli dalla donna che la mise al mondo, accompagnate da una sua foto, non le somigliava, o per lo meno non voleva somigliarle, lesse delle lettere in cui chiedeva di poterla tenere per alcuni giorni lì a Modena fin quando non fosse andato il controllo; si, perché poteva stare in Italia dopo la morte del marito solo perché aveva una figlia italiana; era il suo passaporto. Grazie alle informazioni raccolte nei giorni seguenti riuscì a scoprire dove stava ora, risalì al suo indirizzo, era in Tunisia in un quartiere della parte vecchia della città, la Medina. una mattina si svegliò, fece le valigie salutò tutti e disse solo che stava partendo per un viaggio di rivelazione e che avrebbe raccontato tutto al suo ritorno. Arrivò in aeroporto a Roma dopo un viaggio in autobus di circa sei ore; s’ imbarcò, si sedette, era sola, si mise vicino ad una delle finestrelle che tutti tenevano coperte con la tendina, lei l’ aprì, voleva guardare. Mentre metteva le cuffie dell’ mp3 nelle orecchie, vide comparire Andrea, con un bagaglio a mano, si sedette a fianco lei, che lo guardava con occhi sgranati. Come pensavi che ti avrei fatto affrontare tutto questo da sola??-le disse- E comunque avevo proprio bisogno di un bel viaggetto. Arrivarono in Tunisia circa le 22. 00. stanchissimi cercarono un albergo dove alloggiare, optarono per il ABOU NAWAS TUNIS. Sistemarono i bagagli nella loro stanza, e andarono nel giardino a parlare sotto le stelle, finalmente Beatrice ebbe il coraggio di sfogarsi, di ammettere le sue paure, chiese se fosse un errore questo viaggio. Si fece subito l’ alba i due salirono in camera, cercarono di riposare, il mattino avrebbero dovuto mettersi alla ricerca della sua famiglia biologica, dei suoi nonni, di sua madre. Si fece subito l’ ora di scendere in città. Passeggiando tra le vie di Tunisi, una cosa in primo luogo attirò l'attenzione dei due turisti: le meravigliose e misteriose porte che costeggiano le strade soprattutto della Medina. Nonostante comunichino un qualcosa di misterioso, un qualcosa di impenetrabile, quelle porte rimandano a centinaia di significati, simboli e indicazioni, soprattutto di ciò che celano all'interno di esse. Quelle porte sono l’immagine del modo di pensare e di vivere delle famiglie tunisine che ci vivono. Vi erano porte semplici ad un battente, porte rettangolari doppie di stile Hafside, porte ad arco a due battenti, aventi una piccola sottoporta; quest’ultimo tipo di porta è il frutto dell’astuzia di una donna, fu ideata dall’intelligente principessa spagnola, sposa di Abdulaziz Ibn Moussa Ibn Noussair, per far inchinare i suoi sudditi che le mancavano di rispetto e si inchinavano solo dinanzi a dio, da allora chiunque a causa delle dimensioni della porta doveva chinarsi per farle visita. La strada principale della Medina era intasata: si camminava a passo di bradipo in un flusso umano di turisti e tunisini in giro per fare acquisti nei suq. Arrivati all’altezza in cui la strada diventa coperta, un corridoio su cui si apriva un ristorante e un bar, oltre ai negozi di stoffe, vasi, ceramiche e strumenti musicali videro un gruppo di italiani che occupavano il passaggio. Si tratta di due famiglie con passeggini, ferme davanti a un negozio che vendeva scarpe. I componenti delle due famiglie parlavano un dialetto a loro molto familiare, erano del sud Italia. Poi chiamarono una guida per chiedergli dove potevano trovare la casa dell’ indirizzo, segnato su un foglio, stracciato da una vecchia lettere ritrovata nel baule. La guida li accompagnò, sembrava tutto così magico, l’aria era profumata per le mimose e le fioriture dei gelsomini che avvolgevano la casa di romantica atmosfera. Al tramonto il colore candido del piccolo quartiere si trasformò in un disegno di bimbo e ogni casa bianca dalle persiane azzurre sfumò in una violacea tinta, la zona assunse l’aspetto di un immenso paesaggio uscito dalla fantasia fanciullesca. Bussò alla porta, aprì un uomo anziano, lei le mostrò la foto della madre e di lei bambina, il viso dell’ uomo anziano dal mento canuto fu attraversato da una lacrima, mise la mano sulla spalla di Beatrice ma subito la trasse a se e chiuse la porta. Beatrice decisa a non arrendersi si sedette a dorso di un muretto che costeggiava la candida abitazione, e pensava al perché di quella reazione, e in che modo riuscire ad entrare in quella casa. Andrea poco più in là osservandola ne contemplava la bellezza, i suoi lunghi capelli sciolti sulle spalle, i suoi occhi verdi carichi di lacrime trattenute a stento, le sue labbra carnose che mordicchiava con ostinazione, come faceva sempre quando era nervosa, la vide prendere un block notes e una penna blu; iniziò a scrivere. Cosa stava scrivendo?
Si avvicinò a lei le si sedette accanto, e cercò di sbirciare cosa scriveva con foga su quei foglietti scarabocchiati, senza farsi notare da lei. Sentirono delle voci, uscì dalla porta una ragazza con una lunga tunica delle tonalità calde, arancione, rosso e giallo si mischiavano sapientemente come su una tela dipinta; era una ragazza alta, dalla carnagione scura, con i capelli scuri come la pece raccolti in una lunga treccia, dagli occhi neri, profondi come il buio. Si avvicinò a loro, assalam alekum disse loro, dunque loro sgranati gli occhi le dissero: <<what’s?? do you speak Italian??>> ciao mi chiamo Decra… posso darti le risposte alle tue domande ma non qui. dimmi dove alloggi, ci incontreremo domani verso le 10. 30 nella hall dell’ albergo e così ti schiarirò le idée! Ma ora va, a domani. Beatrice si trovò spiazzata, ma decise di ritornare in albergo con Andrea e di fidarsi di quella ragazza apparsa dal nulla. Arrivarono in albergo, lei era turbata. Chi è quella ragazza? Come sa cosa voglio sapere? Presa da mille domande si distese sul letto in camera, e continuò a rimuginare sull’ accaduto; Andrea la guardava non sapeva cosa dirle, si distese al suo fianco a le prese la mano dicendole che lui sarebbe stato sempre con lei, lei si voltò e gli sorrise. <<Grazie, sei unico!>> disse con la sua solita dolcezza. Passarono la notte a scambiarsi teneri sguardi senza però dire nulla, si addormentarono. Alle 8. 00 del mattino erano già svegli e ansiosi aspettavano l’ arrivò di quella misteriosa ragazza, fecero colazione e andarono nell’ hall dell’ albergo ad aspettarla. Entrò dalla porta scorrevole dell’ albergo la ragazza vista ieri, li salutò come se li conoscesse da tempo, si sedette con loro e si presentò per bene: ciao, come ti ho detto ieri mi chiamo Decra. Sono la figlia che nostra madre ha avuto dal suo primo matrimonio, ti ho subito riconosciuta perché avevo visto delle tue foto che mamma mi aveva mandato, lei ora è tornata in Italia, ma non so bene dove sia, il nonno l’ ha tolta di casa perché ha trovato delle tue foto e non approva la tua esistenza perchè ti considera frutto di un peccato; ma lascia stare è solo un vecchio uomo, legato alla religione, legato alla religione. Vuoi sapere perché mamma ti ha abbandonato? Perché non poteva crescere una figlia senza avere un lavoro, doveva già accudire l’ uomo che amava, tuo padre molto malato, e decise di affidarti ai tuoi zii, ma comunque ora che sei qui possiamo ricominciare. Finalmente ti ho ritrovata, finalmente posso conoscerti, finalmente ho una sorella. Allora tutto divenne chiaro agli occhi di Beatrice, ricordava tutto, allora si alzò e corse verso le scale dell’ albergo e salì in camera, lasciando i due al tavolino; Andrea salutò Decra e raggiunse Bea. La trovò in camera, stava facendo le valigie, ora aveva tutto chiaro, la sua famiglia era a casa ad aspettarla, ora ricordava la sua storia. <<Andiamo>> urlò ad Andrea <<su muoviti voglio prendere il primo aereo e ritornare a casa, voglio riabbracciare la mia famiglia, ho bisogno di loro, io amo la mia famiglia sono tutto per me>>. Velocemente fecero le valigie e presero il primo volo per l’ Italia. Nel bel mezzo del viaggio Andrea si decise a toglier fuori tutto quello che aveva dentro voleva confessare a bea i suoi sentimenti. provo per te qualcosa che non ho mai provato, penso davvero che tu sia la persona della mia vita, si voltò e vide lei dormiente, aveva parlato da solo, ma almeno era riuscito a toglier fuori quell’ agglomerato di emozioni che lo soffocava. Finalmente tornarono a casa. Era mattina presto quando suonò alla porta e gli aprì la madre, lasciò cadere i bagagli a terra e abbracciò la madre, passò un’ intera giornata con la sua famiglia, ma non disse a nessuno dove fosse stata, quale fosse stata la meta del suo viaggio. Dopo qualche giorno arrivò a casa da bea un mazzo di fiori, allegato ad esso vi era una lettera da parte di Andrea:
Infatuazione di un'estate mi dicevo. ma lei è passata in un momento, mentre tu sei ancora qui, con me.
causa, quel vortice che mi ha stravolto un equilibrio che pensavo di avere, ma che, in realtà, non è mai stato mio. e poi...
Tu. come una cometa, diversa e rara però, dalle tante.
Tu. indefinibile sensazione che mi ha sconvolto il mondo.
Tu. un attimo complice e quello dopo nemica del mio cuore.
Tu. inspiegabilmente complicata e tremendamente affascinante.
ti vedo... il mio cuore palpita, i miei occhi fremono per vedere un sorriso accendersi.
vorrei poter far parte del tuo mondo, per osservare il tuo essere perfetta in ogni situazione.
poterti essere a fianco per invidiare la tua tranquillità, quando c'è bisogno di spaccare il mondo.
tu. spiritosa, silenziosa, insopportabile!
Tu. che non devi vivere di rimpianti, perché sei tu, con i tuoi occhioni verdi, a far rimpiangere al rimpianto di non essere come te.
voglio che tu faccia parte della mia vita perché tu sei la mia vita.
voglio guardarti come quella stella da ammirare quando il mondo mi sembra inutile, vuoto e troppo spento.
Alle 21. 30 sarò lungo il fiume ad aspettarti, lì dove crescono le ginestre, li dove per la prima volta ci siamo incontrati
Lesse la lettera, e sentì come una fitta allo stomaco, cosa stava accadendo, il suo viso s’ illuminò, era felice. Perché era felice? Ore 20. 00, era in camera sua, si stava preparando. Il trucco era accurato ma appena percettibile. Nulla era, né doveva essere lasciato al caso. Non si sarebbe mai perdonata di aver trascurato un particolare o un dettaglio: sono i dettagli che fanno la differenza. Beatrice si sentiva, cioè, non si sentiva affatto. Si era riproposta di restare calma, ma “dentro” era una palla impazzita che sbatteva contro i muri dell’anima. Non sapeva da che parte cominciare. Si guardò allo specchio, lasciò i capelli sciolti, appena mossi, con quei riccioli soffici e naturali che cadevano lungo le spalle. Un anellino d’oro bianco alla mano destra, l’acquamarina alla sinistra: sulle unghie solo un velo di smalto trasparente. Tolse dal portagioie gli orecchini due fili lunghi sottili e argentei. Erano i suoi preferiti, quando li metteva, appena si notavano, quando li toglieva mancava un filo di luce al volto. Allacciò la catenina col ciondolo a forma di sole. Aprì l’armadio e prese decisa, ciò che era lì, in attesa di essere indossato da tempo: una maglietta nera di viscosa, aderente ma non troppo che seguiva morbidamente la linea del corpo. La scollatura, non eccessiva ma neppure insufficiente, mostrava un perfetto decolté leggermente abbronzato sul quale risplendeva il ciondolo a forma di sole, la gonna di “voilet” che le piaceva tanto, con quei piccoli fiorellini celesti sparsi in modo asimmetrico, sandali celesti in abbinamento, e borsetta. Così si era immaginata tante volte e così doveva essere. Si guardò più e più volte allo specchio. Le pareva che fosse tutto a posto. Guardò dalla finestra e per una volta almeno le sembrò che il mondo fosse suo alleato. La temperatura tiepida, il sole che stava calando e che a momenti sarebbe scomparso completamente, sembrava le dicesse “buona fortuna”, per lasciar poi spazio a un cielo stellato, immensamente e splendidamente stellato. Era tesa, tesissima, come non ricordava esserlo da tempo, neppure all’esame di maturità . Tamburellava col piede, si guardava intorno. Prendeva il cellulare: “nessun messaggio, nessuna chiamata”;Sentiva una voragine nello stomaco, come se una molla lo tirasse su e giù. Era ora, andò al fiume, lo trovò lì con una rosa fra le mani, seduto. Era stupendo quel posto. Le era sempre piaciuto, soprattutto d’ estate. Il letto del fiume scivolava via lento ma regolare, sembrava un corteo che sfilava in mezzo al tripudio di enormi cespugli di ginestre giallissime che in quel periodo risplendevano con la loro fioritura: il loro giallo si poneva in netto contrasto con il verde brillante degli alberi. La luna piena, in estate, gettava un’ultima pennellata a quel quadro naturale, donando con la sua luce un colore ceruleo e irreale alle ginestre. Nessun rumore. Solo il gorgheggiare dell’acqua e il gracido degli insetti. Le si sedette a fianco, erano molto vicino al fiume. - Ti piace la ginestra? È un fiore bellissimo e carico di significato. È un fiore che cresce “da ceneri infeconde”, è “un fior gentile”, pieno di dignità la ginestra. Non trovi? << Qui su l’arida schiena del formidabil monte Sterminator Vesevo, la qual null’altro allegra arbor né fiore, tuoi cespi solitari intorno spargi, odorata ginestra, contenta dei deserti..>> Leopardi mi piace da impazzire. È il mio poeta preferito, anzi è “il poeta”. Andrea si alzò e andò ancora più vicino al fiume. Si mise a lanciare sassi. Beatrice lo guardava, in silenzio. Udiva il rumore sordo dei sassi e vedeva il gioco dell’acqua che formava cerchi sempre più grandi. C’era tensione, almeno da parte di Andrea. Beatrice si era tranquillizzata un po’. Lo guardava. Aspettava che dicesse qualcosa. Prima o poi avrebbe detto qualcosa. Le faceva una tenerezza immensa. Andrea davanti, gettava sassi - lei dietro, seduta, le gambe tirate su, le braccia intorno alle gambe e il mento appoggiato sulle ginocchia. Lo osservava in silenzio. Andrea tornò a sedersi accanto a lei e con un bastoncino di legno prese a fare dei segni circolari sul suolo. <<grazie per i fiori, per la lettera, nessuno mai mi aveva detto certe cose, nessuno mai mi aveva paragonato ad una rara cometa.>> prese fiato e disse << Non sono pronta a questo, mi spaventa che tu sia così dolce e così innamorato di me, ti farò solo soffrire lo so già, e non voglio tengo troppo a te. Ti prego lasciamo le cose come sono, finalmente dopo tanto tempo ho ritrovato quell’ equilibrio che avevo perso da tempo>>. Andrea la guardò e le sorrise, gli prese le mani e gliele baciò, poi le portò al suo cuore e le disse: <<io ti aspetterò>>. Una lacrima solcò il viso di lei, poi si girò di scatto verso di lui, come per rimettersi in piedi. Non fece in tempo ad alzarsi: Andrea le afferrò le braccia e la tirò a se. L’ abbracciò dicendole che sarebbe sempre stato soprattutto un amico per lei, e magari con il tempo anche lei si sarebbe accorta di provare qualcosa per lui. Le diede la rosa, allora lei si avvicinò e lo guardò negli occhi: << ora so chi sono>>. In quel momento si rese conto di non aver solo trovato la sua identità, ma di aver ritrovato la sua famiglia e di sentirsi per la prima volta speciale e felice.
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