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La morte di Socrate secondo Santippe
La primavera, bizzarra e avara fino a maggio inoltrato,
finalmente era esplosa. Il sole splendeva ogni giorno
e non si erano verificati più quei temporali che spesso
avevano sorpreso Santippe al porto. Dalla casa di sua
madre un giorno Santippe sentì musiche e canti prima
ancora di vedere la nave sacra avvicinarsi al porto.
"Ecco giunto anche per Socrate il momento dell'approdo..." - disse
alla madre che si era affacciata sulla porta. C'era, nella sua voce una
profonda malinconia da cui traspariva il senso di ineluttabile
disfacimento della sua realtà, della sua vita. Cleide lo percepì
e, abbracciando la figlia, le disse: "Finché avrò vita non ti
abbandonerò. Anche se sono vecchia, potrò darti il povero conforto
della mia presenza". Santippe le fece una carezza. "Ora vado a
a casa. - disse - Qualcuno verrà a dirmi quando sarà eseguita
la sentenza". Percorse le strade senza fretta, un po' stordita
dall'animazione che l'arrivo dlla nave aveva prodotto.
Non si era sbagliata. Qualche tempo dopo il suo arrivo a casa
la raggiunse Critone. Era sconvolto ed anche un po' imbarazzato
per il compito che si era assunto. "Fatti coraggio, Santippe. Hai
saputo anche tu della nave, il tuo viso parla chiaro. Esitò un po'.
"Devi preparare una tunica bianca per Socrate". Santippe lo
guardava: i suoi occhi chiedevano quello che la sua bocca non riusciva
a dire. "L'esecuzione della sentenza è fissata per domani, dopo
il tramonto del sole. Socrate ti saluta e ti manda a dire di stare a
a casa, oggi, di stare vicina ai ragazzi. Domani verrà qualcuno di
noi a prendervi, per condurvi da lui". Santippe accennava di si, con
la testa. Critone continuò: "Stai tranquilla, non lo lasceremo un
minuto. Sono già con lui alcuni amici. È sereno. I più addolorati
siamo moi". "Grazie, farò subito quanto hai detto. Ha bisogno
d'altro, Socrate?" "No, di nulla. Fra poco verrà Mandane, è già stata
avvertita". "Allora, addio, Santippe" "A domani" - rispose lei.
Prese con cura la tunica già pronta, l'avvolse in un telo e la
posò sul letto, Poco dopo arrivò Mandane, piangendo. Stettero un po'
in silenzio, sedute al tavolo della cucina. "Quando vuoi mangiare
qualcosa, - disse Mandane - qui ci sono parecchie cose che la mia
padrona mi ha dato per voi". A terra c'era un cesto che Santippe non
aveva notato. "Aspetterò i ragazzi. Oggi non li manderò in palestra.
Ma tu, Mandane, se hai fame, mangia pure. Non aspettare noi"
"Non ho fame. - disse la ragazza - Posso aiutarti a fare qualcosa?"
"Non devo fare nulla" Passò un tempo interminabile. Le due donne erano
silenziose. Arrivarono i ragazzi, prima del previsto. Anche loro avevano
saputo. Menesseno e Sofronisco si strinsero alla madre. Lamprocle si
sforzava di mantenere un comportamento da adulto, malgrado i suoi
quattordici anni. "Mangiate qualcosa, - disse Santippe - Mandane ha
portato tante buone cose". I ragazzi mangiarono in silenzio. Più tardi
arrivarono alcune schiave e, subito dopo, anche Cleide. Il sussurro
di una, la risposta di un'altra, il commento di una terza, a poco
a poco si animò una conversazione che ruppe il silenzio soffocante
che aveva bloccato il piccolo gruppo formato da due donne e tre ragazzi.
A sera inoltrata Cleide propose alla figlia di fermarsi a dormire con lei,
ma Santippe disse che preferiva restare da sola. Le donne uscirono
in silenzio. Santippe baciò i figli, esortandoli ad andare a letto.
Anche lei si buttò sul letto, accanto alla tunica preparata per
Socrate. Passò la notte ad occhi aperti, fra una successione di
pensieri che attraversavano la sua mente annebbiata, quasi senza
lasciarvi traccia. Vide sbiancarsi il cielo e poi sorgere il sole.
Si alzò tardi, quando Cleide bussò alla porta. Poco dopo anche i figli
si alzarono. Vennero di nuovo Mandane e le altre ragazze. Il tempo
passava veloce. Quando arrivò Critone per accompagnare la famiglia
da Socrate, Santippe non si era accorta che ne era passato tanto.
Le ragazze abbracciarono l'amica, piangendo. Santippe, Cleide e i ragazzi
uscirono con Critone.
Quando arrivarono al carcere trovarono Socrate, sereno, in mezzo
a un gruppo di amici che lo ascoltavano con attenzione ma con i volti tesi.
"Ecco la mia famiglia, scusatemi..." Si alzò e andò incontro al gruppo,
"Figli miei, è l'ultima volta che vostro padre vi saluta. Non piangete
per me e non vergognatevi di aver visto vostro padre accusato e messo
a morte come un malfattore. Sono innocente: ho sempre cercato il bene
e la verità ed ho sempre servito la città nel modo che ho creduto più
giusto. I miei amici faranno per voi quello che io non potrò più fare.
Ascoltateli. Sono uomini saggi. E tu, Lamprocle, abbi cura di tua madre
e dei tuoi fratelli" Li abbracciò tutti e tre, battendo la mano sulle
loro spalle. "Non piangere così, Cleide. Devi confortare Santippe.
Addio anche a te" Cleide non riusciva a controllarsi. Singhiozzando forte
si allontanò, stretta dai nipoti che continuavano a volgere verso
il padre occhi turbati.
"Santippe - disse Socrate sorridendo - hai portato la tunica?"
"Si. Ti aiuto ad indossarla". Insieme entrarono nella cella dove, poco
prima che arrivasse la famiglia, Socrate era andato a lavarsi per
risparmiare alle donne, aveva detto, la briga di lavare un morto.
"Socrate - disse Santippe - io non so quanto amore mi sia rimasto per
te. In tutti questi anni mi sono chiesta tante cose, ho cercato risposte,
ma non ho molte certezze". Socrate aveva indossato la tunica e si era
seduto su una panca. Santippe continuò: "Mi sento logorata e confusa.
Certe volte non so nemmeno chi sono. Forse la vera Santippe era un
un fiore che stava sbocciando tanti anni fa e che è rimasto sepolto
sotto una crosta dura di terra dalla quale sono riusciti ad emergere
soltanto steli spinosi... Ma che tu debba morire mi addolora molto
perché tu non sarai più con me e con i nostri figli e perché già so
che sarò sempre tormentata dal rimpianto di non essere riusciti, noi due,
ad amarci con quella pienezza di cui ero certa quando ci sposammo"
Le lacrime scivolavano piano sul suo viso magro e pallido, il suo
respiro era affannoso e le parole le uscivano di bocca a fatica.
"Voglio dirti una cosa, prima di lasciarti. Hai fatto bene a non
fuggire. Perché tu credevi in quello che facevi e dicevi: fuggendo
avresti ceduto a quelli che ti hanno accusato perché ritenevano
pericoloso per loro quello che per te è giusto.
Se tutti dobbiamo morire è un privilegio morire nella libertà e nella verità".
Socrate guardò Santippe con occhi che lei non aveva mai visto. Erano
occhi sorpresi, interrogativi, attraversati da un lampo non d'ironia
ma di stupore e ammirazione. Santippe gli buttò le braccia al collo,
singhiozzando. "Lasciami piangere un po', Socrate, solo un po'.
Il pianto non è sempre debolezza, c'è verità anche nel pianto".
Socrate l'aveva stretta a sè e lei aveva abbassato la testa per non
vedere quegli occhi, nel timore di vedervi ricomparire il lampo
dell'ironia. "È ora che tu vada, Santippe. Torna a casa - la voce di
Socrate era ferma ma il caldo tono era un po' dolente. Continua ad avere
cura dei figli ed anche di te. I miei amici ti aiuteranno".
"Si, si, certo, i tuoi amici..." Si sciolse dall'abbraccio di Socrate
e, sorridendogli, uscì con naturalezza, asciugandosi le lacrime.
"I tuoi amici...- pensava - i tuoi amici educheranno i miei figli
come vorrà la città, nella libertà della città, una libertà chiusa
e avara che respinge tutti quelli giudicati inferiori. Quanti giri
dovrà compiere il sole, nell'arco interminabile del tempo, prima che
la libertà spezzi i recinti costruiti dalla città, invada tutti
i suoi spazi di oppressione e poi dilaghi per abbracciare tutti
gli esseri umani che abitano la terra?"
Nota: fino a che la nave sacra ad Apollo non fosse tornata
da Delo ad Atene, non si potevano eseguire le sentenze di
morte.
Nota 2: Il testo che propongo è un brano del mio romanzo "Una vita negata" nel quale ho assunto Santippe,
la moglie di Socrate, a metafora di tutte le donne che, nel corso dei secoli, hanno lottato, come hanno potuto, per
rivendicare, pur nella diversità, la loro pari dignità con
l' uomo.
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- Grazie, Matteo. Ciao. Franca.
- molto interessante!
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