Venerdì 31 gennaio. Ventiduesimo giorno.
Il tempo è spietato, non dà tregua a noi condannati. Sembra che si affretti a compiere l’unica azione che gli compete: trascorrere.
I farmaci che ingerisco aumentano, ed anche la spossatezza. Il tramonto arriva in fretta ed ho sempre la sensazione che se ne sia andato altro tempo prezioso. Ho paura di non riuscire a fare tutto, ma poi tutto cosa? Mi sembra di avere espresso abbastanza per questa esistenza. Nessuno ha quantificato, ma è chiaro che mi restano poche settimane da vivere. Nessuno ha il coraggio di parlare con me di questo fatto. Ogni volta che lo affronto, la gente cambia argomento o mi liquida dicendo di non preoccuparmi, che tutto si sistemerà. A volte mi sembra di essere l’unico ad avere accettato la realtà dei fatti. Non è disperazione, né rassegnazione, semplicemente coerenza con il reale. La mia consapevolezza tutto sommato mi fa stare meglio di quanto non stiano i miei familiari, che recitano in mia presenza una forma di inutile negazione dell’evidenza. Vivo dei momenti di sconforto, non lo nascondo, ma non ho la possibilità di condividerli appieno con la famiglia, non sono ancora pronti. Sembra brutto, ma sto provando l’esigenza di vedere solo coloro a cui sono profondamente legato, parenti e amici, non i semplici conoscenti. Non posso permettermi di dedicare del tempo a tutti, vorrei sfruttarlo nel migliore dei modi.
Uno dei momenti più belli della mia vita è stato circa tre anni fa quando è nato L., il mio primo nipote, figlio del mio secondogenito. Ho avuto la sensazione di diventare di nuovo padre dopo più di trent’anni, ma in maniera più completa. Era nato il figlio di mio figlio. Colui che mi avrebbe chiamato nonno, colui con il quale avrei trascorso soltanto momenti idilliaci, permeati di una affettività assoluta. Quel bimbo rappresentava per me il più grande tesoro che la vita avesse potuto donarmi. A volte ho il rammarico per ciò che mi sta accadendo perché non potrò più stare con L., e piango, e mi dico che “le cose non avrebbero dovuto prendere questa piega”. Altre volte invece sono consapevole che un nonno fortunato come me non esiste; avrei potuto andarmene prima della nascita di L. e non avrei conosciuto tutta questa felicità. Ho avuto l’onore di condividere con lui i suoi primi 28 mesi di vita, ed anche per questo posso morire in pace. Continuerò a vedere il mondo attraverso i suoi occhi, le nostre anime hanno stabilito una sintonia immortale, che continuerà nel tempo. L’amore e la morte, due espressioni così inconciliabili eppure così vicine all’assoluto, così altrettanto intense da escludersi a vicenda, da annientarsi per poi sopravvivere a se stesse…