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Una vita di scorta
Mi era venuta l’ispirazione quel pomeriggio di re-incidere Baby Blue in un modo molto più sofferto e “scomposto” come se avessi un cavatappi infilato nel cuore, così chiamai Phil agli studios di Fulham Road, sperando di trovarlo.
Infatti era ancora lì, di venerdì chissà a fare cosa, e mi accordai perché mi aspettasse.
“Giuro, Phil, in mezz’ora sono lì. Prepara la traccia con l’effetto moody e un bel po’ di riverbero…”.
Dopo un’ora circa parcheggiavo la Jaguar nel cortile interno e raggiungevo la saletta.
Phil aspettava fedele fumando la sua Camel e sfogliando il Melody Maker.
L’incisione venne subito bene, rifacendo solo la seconda strofa in cui avevo cannato le parole.
Mi riavviai verso casa e prima di salire mi fermai da Willie a bere una birra e qualche stuzzichino in modo da evitare l’ansioso problema della cena.
In casa il telefono squillava. Era Gordon Clapham, il mio rachitico e isterico produttore.
“Guarda Bob, che nella traccia ci sono un paio di “sputi” che devi assolutamente correggere. È buona. Molto buona, ma cazzo non vi siete accorti che hai soffiato come un toro!! Quando vai a rifarla? ”
Si riferiva senz’altro a “the sky too is folding under you…. ” . Chiaro che su “folding” era uscito quello che lui chiamava elegantemente uno sputo, ma è ovvio che se vuoi tenere il microfono pulito per dare il massimo di passione, ci può stare la soffiata. Quella strofa mi fa emozionare di brutto…Del resto sono mesi che quel taccagno mi promette di comprare un sistema di correzione digitale che toglie le impurità. Speravo che si potesse fare in post produzione, cazzo.
“Guarda, Gordon, ora lo sai mi prendo qualche giorno. Dovevo farla la prossima settimana. Give me a break!!! ”
“Come vuoi, Bob. Sei tu l’artista. So che se una cosa non ti va non c’è verso…. Senti, più tardi sono d’accordo con Phil e un paio di amici che ci troviamo in quel nuovo locale giù a Covent Garden e berci due birre. Ti fai vedere? ”
“…non so. Senza impegno”.
Troncai scortesemente la telefonata. Una strana sensazione mai provata prima mi aveva preso. Sentivo come una sorta di freddo alle gambe e ai piedi, come se fossero bagnati…..
Me ne andai in bagno e sentivo il bisogno di sciacquarmi la bocca e sputare qualcosa di salmastro e sgradevole che mi sentivo in gola.
Iniziammo a bere con moderazione da bravi ragazzi, ma finimmo un poco sopra le righe. Copione già visto.
Il locale era piccolo e affollato all’inverosimile. L’ultima moda di Londra era quella. Un buco con duemila persone di cui millecinquecento in piedi a rovesciarsi addosso la birra e a urlarsi sputacchiando cose senza senso e a ridere sguaiatamente. Il soffitto era bassissimo e pieno di cavi, spot piccoli e grandi e altri marchingegni elettrici con lo scopo di illuminare, per così dire il microscopico palco e la scena circostante.
Per fortuna Gordon era riuscito ad avere una specie di tavolo altrimenti sarei rimasto non più di cinque minuti.
Ma mi sarei perso Petra. Spuntò dalla folla come dalle quinte di un teatro e si sedette nei quattro pollici liberi della panchetta di finta pelle rossa, al mio fianco.
Era chiaramente stata invitata “a sorpresa” da quel bastardo di Gordon. O forse era davvero lì con degli amici per caso.
Castana, minuta occhi verdi da cerbiatta una voce calda e stupenda che mi andava dritta al cuore. L’avevo conosciuta in una session come corista. Lei e la sua bellissima amica Lilian.
Non uso quasi mai voci femminili nelle mie canzoni, forse perché le amo talmente tanto (le voci femminili) che mi sembra che rendano odiosa e inadeguata la mia.
Puro egoismo. Infatti quella versione di Shelter from the storm non ebbe un seguito.
Non che facesse schifo, ma Petra la interpretava troppo, sovrastando nettamente Lilian e non si capiva se l’impronta al pezzo la davo io o lei. Insostenibile!
Chiunque al mio posto le avrebbe detto: “Cocca, fai la corista e non rompere il cazzo con tutta questa anima da virtuosa. Risparmia la passione per quando sei a letto…. ”
Io invece mi limitai a dirle educatamente che era ok, ma non mi piaceva più l’idea del coro.
La serata cominciò a piacermi, proprio quando agli altri cominciava a dare noia.
Non bevo molto di solito, non fumo, non aspiro o ingerisco sostanze varie da tempo (anche se le ho ovviamente provate tutte) ma ho sperimentato che il Gin Tonic, proprio lui, il classico e banale Gin Tonic mi scatena quella effimera e fugace voglia di vivere che, per quello che dura, mi fa dire la frase, suonare il bridge, cambiare la strofa in modo a volte quasi geniale, senza perdere troppo la lucidità, in modo di godere del momento con relativa consapevolezza.
Decisi di sfruttare l’effetto con Petra, quella sera.
Riuscimmo ad appartarci spiritualmente pur restando in quella bolgia dove per di più aveva iniziato a suonare un gruppo Funky che aveva a disposizione un metro e mezzo di palco. Sembravano incastonati nel muro. Devo dire che il chitarrista, capello corto ma con ciuffo lunghissimo fino a sotto il naso, visibilmente gay, era un vero fenomeno.
Non so cosa le dissi, ma feci colpo, perché lei mi fissava la bocca con quegli occhi impercettibilmente strabici che cominciavano veramente a farmi impazzire.
Fummo talmente cafoni da rimanere nella nostra intimità fino a che gli altri cominciarono ad alzarsi e a sparire con frasette tipo “…ok, grazie della compagnia…” e risatine isteriche.
Quando anche il gruppo Funky si era dato all’alcool, la presi sotto braccio e la portai fuori.
Quella volta della session, eravamo rimasti soli nell’anticamera dello studio e avevamo parlato con una certa insolita confidenza, tipica di due anime che si piacciono. Non c’era rancore in lei per la bocciatura del pezzo, ma anzi mi disse di chiamarla e mi lasciò il suo numero. Poi però iniziò uno strano balletto in cui lei quasi sempre non rispondeva alle mie chiamate o era evasiva e mi sfuggiva in un modo sfacciato. Passai mesi a maledirla per la sua villania, ma quando ogni dieci chiamate rispondeva, la sua voce così dolce e profonda mi faceva dimenticare di averla odiata così tanto.
Giunti a casa mia (la scusa era quella di farle registrare oh sister! Con il Tascam), contro ogni aspettativa, mantenni la promessa e suonammo anche bene, io al piano e lei chitarra e voce.
È chiaro che il momento era stato rimandato oltre ogni limite e non era possibile posticiparlo ulteriormente. Fermato il registratore mi avvicinai con sicurezza a lei per accarezzarle il carrè castano e baciarla con dolcezza.
Furono baci e carezze veramente intensi, ma a un certo punto le uscì un “…non mi va…. ” che mi produsse un effetto di impotenza fulminante. Mi tornarono all’orecchio gli squilli non risposti al suo telefono. Ma che razza di rapporto vuole avere con me questa cerbiatta inafferrabile? Iniziammo una surreale discussione in cui lei mi stava davanti con la camicetta sbottonata su un seno dei più belli e impertinenti mai visti.
Stana ragazza Petra. Se ne stava li seminuda, serissima a spiegarmi a modo suo che per lei il sesso era qualcosa di complicato. Complice l’alcol che ho in corpo, non seguivo con attenzione le sue contorte spiegazioni. Capivo soltanto che avrei dovuto, per dipanare i nodi della sua sessualità, iniziare un’opera ciclopica come l’affresco della Cappella Sistina. Il fatto era che non sapevo nemmeno dove andare a comprare i colori…
Petra insisteva a volermi spiegare il motivo per cui non le andava di fare sesso con me. Il suo atteggiamento cominciava ad irritarmi. Pareva sfuggirle il particolare che ormai l’incantesimo era rotto e anche se avesse cambiato idea ormai sarei stato io a non volerne sapere. Non c’era proprio nulla da dire, in effetti.
Dato il tasso alcolico di entrambi, la conversazione invece divampava, pur scorrendo sugli incerti binari di uno psicotico sfogo.
Quando mi resi conto che forse lei stava addirittura per scoppiare a piangere, decisi che era troppo e andai in cucina. Agguantai un pezzo di Brie dal frigo e mi misi a preparare caffè americano per due.
Provavo un vero disagio a sostenere una discussione così assurda.
Quando tornai in salotto, Petra era sparita.
Corsi alla finestra, in strada nessuna traccia di lei. I ciottoli del vialetto erano lucidi. Si era messo a piovere.
Provai un senso di sconforto. Mi ripetevo che non me ne importava niente. Volevo concentrarmi su una qualsiasi cosa, ma non ci riuscivo.
Mentre versavo il caffè nel lavandino iniziai pian piano a provare la tremenda sensazione di alcune ore prima. Mi sentivo ancora i brividi di freddo e quella sensazione di essere bagnato. A mollo nell’acqua gelida.
Lasciai cadere le tazze e mi ritrovai in ginocchio a sputare boccate di acqua salata…
Il ricordo di Petra pian piano sparì. Svanirono pian piano anche Gordon e i suoi amici. Le mie ispirazioni musicali, Londra, la mia Jaguar blu…
***********
Come in una lentissima dissolvenza incrociata, una scomoda e angosciosa realtà si fece strada nella mia mente.
Mi accorsi, come risvegliandomi lentamente da un profondissimo sonno di essere effettivamente immerso in un freddo liquido scuro e salmastro. Con indescrivibile angoscia mi ritrovai seduto, legato a una poltrona che stava inclinata in modo innaturale in avanti e come asimmetrica rispetto all’angusto e buio loculo in cui giacevo.
Dal vetro blindato che stava un po’ sopra di me sembrava provenire una vaga luminosità verdastra…
Pian piano tutto tornò ad essere chiaro e gli eventi ripresero il loro posto, nella loro assurda ma chiara e reale drammaticità…
***********
Eravamo decollati da Havana, Josè Martì Intarnational da poco più di tre ore. Tempo buono, traversata senza problemi. Clearence oceanica rilasciata da New York senza variazioni sul piano di volo richiesto. Track “ZULU” (la più a sud di quelle pubblicate) e livello iniziale 330. Come richiesto.
Stefano, Primo Ufficiale timido e schivo, ma non poi così scarso come me lo avevano descritto, ex pilota della Marina Militare, compilava il piano di volo ad ogni “waypoint” con precisione certosina, evidenziando in giallo i dati significativi, annotando frequenze, tempi di sorvolo dei punti, stimati e carburante come da standard.
Notai con piacere che non dava l’impressione di essere stravolto come tanti suoi giovani colleghi che prima del volo chissà cosa facevano invece che riposarsi, e dopo due ore dal decollo sembrava non riuscissero a tenere gli occhi aperti.
Anche la sua fraseologia inglese non era male, e mi fidavo dei suoi riporti di posizione scanditi con la giusta velocità e chiarezza. Bravo Stefano, pensai.
Ad un tratto suonò il “selcal”. New York Oceanic ci chiamava. Vorranno sapere se siamo in grado di salire di livello. In effetti abbiamo bruciato 18 tonnellate e è il momento di salire a livello 350. Faccio segno 3 – 5 con le dita. Stefano, se sei sveglio come credo dovresti capire che se ti chiedono che livello vuoi la risposta è 350…
Invece New York ci chiede se siamo pronti a copiare un “safety message”.
Stefano, non aspettandosi una così inedita richiesta, non capisce.
Io stesso sono parecchio sorpreso, ma ostentando tranquillità prendo la penna e rispondo: “Go ahead with the message” avanti col messaggio.
“AEL 2949 New York, Cuban Civil Aviation Authority report…fuel contamination experienced on
B 732 departed Havana Airport at 0120 GMT. Fuel contamination suspected on your flight due to same refuelling unit. Read back. ”
Rimango inebetito per trenta secondi….. Vorrei non aver capito bene, ma il senso è chiarissimo. L’Aviazione Civile Cubana avverte che è stata riscontrata una contaminazione nel carburante di un volo partito subito dopo di noi da Havana. Un B 737 – 200 (ricordo che c’era un 737 della COPA parcheggiato vicino a noi che andava a Panama, mi sembra). Si sospetta un possibile problema analogo per noi dato che abbiamo rifornito dalla stessa autobotte…
La notizia è inquietante a dir poco. Non fosse che i nostri motori girano come due orologi… ci sarebbe da farsela sotto.
Ripeto il messaggio per conferma di aver capito, e aggiungo una domanda ovvia: che è successo al B 737?
New York risponde: “AEL 2949 New York, stand by, stand by…”
Aspettate. L’operatore girerà la domanda ad Havana per telefono e ci dirà fra poco.
Stefano non ha capito o non vuole aver capito. “Comandante, che succede? Problemi di carburante per noi? ”
“Purtroppo si, Stefano. Sentiamo che è successo al 737 della COPA”.
Nel frattempo interrogo il computer di navigazione, ma credo già di sapere la risposta. Bermuda, l’aeroporto più vicino è 210 miglia dietro di noi. Mai e poi mai riusciremmo a raggiungerlo planando in caso di piantata dei due motori. Oltretutto abbiamo 120 nodi di vento a favore, quindi tornando indietro li avremmo contro. Le Azzorre, nella nostra direzione sono a una distanza tre volte maggiore. Non c’è scampo….
“AEL 2949 New York ready to copy? ”
Maledetto operatore formale e scolastico. Forza dimmi che cazzo è successo al 737!!!!
“AEL 2949 New York, Havana report B 732 performed crash landing due to both engines flame out. Over. Read back”
Bene. Il 737 della COPA si è schiantato. C’è da stare allegri. Rispondo con un sospiro:
“New York AEL 2949 roger. Stand by for our intentions. Over. ” Aspetta che penso cosa fare e poi ti dico.
Stefano mi guarda incredulo.
“Allora, Stefano. Abbiamo un dato oggettivo. Questi hanno fatto un crash landing, quindi hanno avuto i due motori spenti per carburante contaminato. Noi siamo ufficialmente informati che possiamo avere lo stesso problema. Se proseguiamo come se niente fosse io rischio la galera oltre che la vita di tutti quelli a bordo. Se torniamo subito a Bermuda, rischiamo solo la vita.
Dirottiamo immediatamente a Bermuda. Non aspettiamo neanche un attimo!!!! Dillo a New York e chiedi una expedite clearance. ”
Stefano forse annuisce, ma non importa.
Viro a sinistra di 90 gradi per uscire dalla trafficata TRACK, scendendo lentamente a 32500 piedi di quota. Una quota ibrida a cui non ci può essere nessuno. Accendo tutte le luci esterne. Meglio comunque essere visibili. Da questo momento è quasi come andare contromano in autostrada…
New York non tarda molto ad autorizzarci a Bermuda direttamente a livello 310.
È giunto il momento di rendere partecipi l’equipaggio e i passeggeri.
Chiamo la responsabile che arriva in un attimo, probabilmente pensando che le chiederò dell’altro caffè…
“Gaia, abbiamo un problema. Dobbiamo dirottare immediatamente a Bermuda. ”
Inutile perdersi in chiacchiere, meglio andare subito al sodo. Spiego il potenziale problema e prego Gaia di fare lei un annuncio ai passeggeri, inizialmente. Poi casomai parlerò loro anch’io, ma ora ho troppo da fare. Gaia mi guarda inebetita, ma capisce subito che purtroppo non sto scherzando. È una ragazza esperta anche se ha solo 28 anni, e si è accorta che stiamo invertendo la rotta.
Con la prua verso Bermuda, calcolo che se non succede nulla per almeno 20 minuti, possiamo pensare di farcela ad atterrare regolarmente, ma se prima di quel tempo ci piantano i motori…. Beh allora finiremo a mollo.
Terminate queste considerazioni, passo a pensare all’aspetto tecnico. Che cosa abbiamo nei serbatoi?
D’improvviso alzo lo sguardo verso il pannello dell’impianto carburante. Mi parte una imprecazione soffocata. Il serbatoio centrale, quello che sta alimentando i due motori in questo momento è praticamente esaurito. Spengo immediatamente le due pompe in modo che i serbatoi alari abbiano il sopravvento e si sostituiscano nell’alimentazione ognuno del suo motore, ma capisco in un attimo che ormai è troppo tardi. Se vi era della contaminazione nel serbatoio (acqua, fango o chissà che altro), sarà stata depositata sul fondo, per cui sarà stata appena pompata verso i motori.
Infatti dopo un minuto il cuore mi si ferma. Si accende la luce ambra (master caution) che richiama l’attenzione su un avviso:
L ENG FILTER CLOG
Proprio quello che non doveva succedere.
Il filtro carburante del motore sinistro è intasato.
In questo caso si apre automaticamente una valvola detta “BY-PASS” che permette al carburante di raggiungere il motore senza passare attraverso il filtro. Se si tratta di una piccola cosa il problema si risolve, ma ho paura che questo non sia il nostro caso…
Cerco di ragionare. È meglio aumentare il regime del motore per fare passare più carburante, o è forse meglio fare il contrario.
Ovvio che la situazione non è prevista da nessun manuale di volo e non esiste una tecnica per fronteggiare una situazione così assurda!
Nel giro di 5 minuti, il motore sinistro si spegne. Il filtro del destro, si è intasato anche lui (neanche a dirlo) e infine anche il motore destro si spegne con estenuante lentezza.
È come se non volesse rassegnarsi a piantarci in asso. Sembra che riprenda, poi abbassa i giri sotto il minimo (si accende l’avviso “LOW IDLE”), poi riprende ancora… Una lenta agonia.
Finalmente il flusso del carburante segna zero e la fiamma si spegne.
Non è piacevole trovarsi in mezzo all’oceano di notte senza i due motori.
In questa situazione non c’è più elettricità se non quella delle due batterie (che durano meno di un’ora e danno energia solo a una minima parte degli strumenti) e di un piccolo generatore mosso da un’elichetta che si estende sul lato destro della fusoliera e che girando trascinata dal vento relativo produce anche la pressione idraulica per muovere i comandi di volo, non c’è più aria per condizionare e pressurizzare la cabina, per cui pian piano la fusoliera che è come una specie di bombola in pressione si sgonfia e l’ambiente interno si avvicina a quello esterno (-56 gradi, 12000 metri di quota…).
Si potrebbe recuperare tutto facendo partire la turbina ausiliaria APU (quella che si usa a terra per dare corrente e aria condizionata prima di avviare i motori). Peccato che anche l’APU brucia lo stesso carburante dagli stessi serbatoi, per cui probabilmente si spegnerebbe poco dopo.
Preferisco planare così fino a una quota più bassa. Preferisco rimandare l’uso dell’APU fino all’ultimo per cercare di avere corrente quando dovrò ammarare. La corrente mi serve per avere tutti i computer di bordo e le pompe idrauliche in grado di aiutarmi nel pilotaggio manuale.
Quindi i passeggeri sono al buio, con solo le angoscianti luci di emergenza accese, sanno dalla mia voce che fra meno di mezz’ora saremo in mare. Devono essere disperati. Non posso pensarci.
Devo concentrarmi sulle cose positive. Stefano, dopo un momento di sconforto in cui mi era sembrato che si fosse estraniato dalla situazione (non c’è niente di peggio che essere lasciato “solo” dal primo ufficiale in una situazione del genere…), si era ripreso abbastanza bene. Cerco di mettere a frutto le lunghe e noiose lezioni in aula di quella materia tanto di moda oggi che si chiama CRM (Crew Resource Management). Ti vogliono insegnare come trarre il meglio dal lavoro di squadra dell’equipaggio…
Se “tagli fuori” chi lavora con te non affidandogli nessun incarico, lo perdi. Se gli fai fare cose al di sopra delle sue possibilità, lo perdi ancora di più.
Alla fine si recupera un buon lavoro di squadra e ci convinciamo, io Stefano e Gaia, che in fondo ci sono un sacco di considerazioni favorevoli da fare:
Il mare dovrebbe essere calmo perché a Bermuda il tempo è buono, ammareremo a non più di 20 miglia dall’isola, i soccorsi sono già partiti, se il vento contrario cala ancora un po’ durante la discesa, potremmo ammarare addirittura in vista della costa.
Sta quasi per albeggiare, fra poco ci sarà un poco di luce.
Insomma. Dai che ce la faremo…
Arrivati a circa 30 miglia dalla costa orientale di Bermuda, veleggiamo silenziosi a 5000 piedi (1. 500 metri). È ora di far partire l’APU. Dopo un minuto tornano tutti gli strumenti principali e le luci in cabina, che però vengono immediatamente abbassate per favorire la visione notturna.
Dire che albeggia è un po’ esagerato, ma almeno un vago chiarore fa si che poco dopo si scorga la superficie del mare. Sembra tutto piatto, ma non si può ancora esserne sicuri…
Un ultimo tentativo di far partire i motori non ha successo. Ormai siamo destinati a fare il bagno.
Fortunatamente l’APU regge fino alla fine. A 1000 piedi si vede finalmente la superficie del mare. È davvero abbastanza calmo, ma ha un colore scuro e inquietante. La check list dei controlli per l’ammaraggio è letta con voce impersonale da Stefano. Tutte le valvole sono chiuse e il carrello rimane retratto. Mentre mancano pochi istanti al contatto, mi ricordo che stupidamente non mi sono ricordato di prendere il salvagente dalla tasca e sistemarmelo vicino. Sorrido nervoso. Ormai è troppo tardi davvero.
Devo cercare di vincere la tentazione di aumentare troppo l’assetto. È meglio toccare con qualche nodo in più, ma dolcemente che non più lento ma “spanciato”. Questo almeno dicono i teorici del volo, ma non credo che ci sia una grande esperienza sulla materia…
L’impatto è dapprima dolce, sulla coda, ma dopo un attimo i motori si infilano in acqua producendo una resistenza elevatissima e l’aereo decelera in modo incredibilmente violento. Ho il volantino alla pancia per cercare di non fare scendere il muso sotto il livello dell’acqua, ma a un certo punto il mio sedile cede e si sgancia dal pavimento sul lato destro. Non ricordo bene il trauma, ma qualcosa devo aver colpito perché sento il sangue caldo e raggrumato scorrermi sugli occhi e gocciolarmi dal mento.
***********
Petra percorse in lacrime correndo il viottolo privato e raggiunse la strada principale. Saltò su un taxi e in pochi minuti raggiunse il suo mini appartamento in Old Bond Street.
Come aprì la porta, il gatto la accolse miagolando e strusciandosi sulle sue caviglie.
Poco dopo Lilian le venne incontro. Scalza, indossando un paio di ridottissimi slip blu e una canottierina di cotone leggerissima. Aveva una espressione seria e un modo di camminare, come in punta di piedi che la rendeva estremamente sensuale. Si avvicinò a Petra e le mise le mani sulle spalle bagnate dalla pioggia.
La baciò dolcemente sulla bocca.
Un lungo bacio dolce e profondo.
“Dove sei stata tutta la notte, sgualdrinella? ”
Ma non c’era aria di rimprovero nella sua voce. Anzi, era Petra che sembrava avere dell’astio.
Petra si lasciò docilmente spogliare rimase solo con gli slip.
Tutta colpa di Lilian se quella serata era finita in quel modo.
La aveva costretta a mettersi quelle orrende scarpe basse con quella assurda fibbia. Avrebbe dovuto non darle retta e mettersi gli stivali neri nuovi.
Si era sentita totalmente inadeguata e sciocca con quelle maledette ballerine…
E pensare che Bob era stato così dolce e le piaceva così tanto da farle perdere la testa.
Ma Bob usci presto dai suoi pensieri. Lilian, nel letto accanto a lei stava giocando insistentemente con i suoi slip. Le due giovani donne rimasero nude e abbracciate dolcemente. Il gatto dormiva acciambellato ai loro piedi.
Verso le undici Petra si svegliò. Andò in cucina a preparare il caffè e accese la piccola TV.
La CNN parlava di un B 767 che aveva compiuto un ammaraggio nell’oceano Atlantico a poche miglia da Bermuda.
Per il momento un solo disperso.
Il comandante.
Bob, pochi isolati più in là aveva smesso di stare male e si sentiva come rinascere lentamente.
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