“Quale?”
“Che cosa?”
“Dimmi, quale camicetta preferisci!”
“La devi indossare tu, che vuoi che ti dica, sbrigati.”
“Sei proprio di grande aiuto.”
“Sei una strafiga; stai bene con qualsiasi cosa. E lo sai.”
“A me piace questa. La prendo.”
“Cazzo questa costa quasi quanto un’automobile.”
“Non fare il difficile, si vive una volta sola.”
“Magari fosse così.”
“Senti oramai abbiamo deciso lo facciamo, e poi da oggi guadagneremo un bel po’.”
“Questa è la cosa meno sicura.”
“Ci hanno assicurati che lavoreremo assieme, no? Non è da tutti fare certe cose.”
“Vedremo. Dai, prendi quella camicia. È molto bella e ti starà molto bene.”
La camicia fu la prima cosa che Roch tolse a Luisa, e Roch toccò e stropicciò i piccoli seni di Luisa per sentirne la consistenza.
“Non sei male, ma il tuo uomo non è adatto per il ruolo.”
“Come, Albert?”
“Che c’è che non va Roch?”
“Albert è un po’ magrolino. Lo spettatore vuole vedere la pancia, la ciccia, molti peli che escono dal culo, dal naso, dalle orecchie e dalla schiena, insomma, chi guarda deve potersi identificare con il maschio, capisci?”
“Cazzo ho bisogno di quei soldi, Roch.”
“Senti Albert, se la tua pupa se la cava guadagnerà da sola quello che spenderete in due.”
“Non mi va; e si doveva lavorare assieme...”
“Albert cerca di capire, se Roch dice così è perché se ne intende,” lo interruppe Luisa.
“Luisa non vogliamo discuterne tra noi?”
“Ho già deciso Albert, abbiamo bisogno di quel denaro; lo dicevi anche tu, non è poi la fine del mondo.”
“Purtroppo. No.”
“No cosa?”
“Fa quel cazzo che ti pare, io vado farmi un giro.”
La strada era bagnata; pioveva. Albert non aveva con sé l’ombrello; un ombrello era qualcosa che Albert non aveva mai. Cercò di camminare al riparo, a ridosso dei muri della città. Un po’ guardò le vetrine, poi, entrò in un negozio e comprò un ombrello.