racconti » Racconti drammatici » é l'estate la stagione che preferisco
é l'estate la stagione che preferisco
È l’estate la stagione che preferisco. La notizia appena ricevuta, avrei voluto mi fosse comunicata in inverno, magari un giorno di nebbia e freddo. Quel freddo umido che penetra nelle ossa e ti fa percepire 4 gradi in meno del reale. Sì, decisamente la notizia della propria morte sarebbe giusto averla in inverno.
Ma non siamo noi gli artefici del proprio destino.
Lei ha un tumore, non si può operare, le resteranno 2 mesi di vita. Questa è la verità sig. Pisano.
Che mi aspettavo rispondesse il dottore alla mia arrogante richiesta:
Mi dica immediatamente la verità e non si azzardi a trattarmi come un bambino deficiente!!
Ora sono qui, appena uscito dallo studio medico, con la nuda, cruda verità che mi pesa addosso come un macigno.
12 luglio 2008, 12 agosto 2008, 12 settembre 2008…ciao a tutti
Un sorriso ironico si disegna sulle mie labbra. Mi avvio lentamente alla macchina parcheggiata nella piazza del mercato, sotto la statua di Mazzini. Poveretto, anche con lui la vita non è stata benevola. Guardalo, coperto da cacche di piccioni, scarichi di auto inquinanti. Durerà al massimo altri 20 o 30 anni.
Accidenti io tra trent’anni ne avrei solo 70. Mi ritrovo a pensare intensamente di cambiare il mio destino con quello della statua. Mi fermo, concentrandomi, cercando di invertire la nostra polarità.
Poi penso che non deve essere bello restare fermo altri 30 anni con uccelli che ti scagazzano addosso. Cani che ti pisciano sulle gambe, acqua, neve. No, meglio morire.
Decido di non tornare a casa, attraverso via Emilia, entro al bar Molinari e ordino meccanicamente un caffè.
Che buon sapore, questo barista è un fenomeno, come fa il caffè lui non lo fa nessuno.
Quante cose belle e buone ci sono nella nostra vita. Come cambia il valore delle cose quando sai che stai per perdere tutto. Pago senza degnare di uno sguardo lo scontrino che mi viene proposto.
Mi avvio lentamente lungo il portico e lancio occhiate svogliate alle vetrine dei negozi. Mi fermo all’edicola dell’angolo, ma non dovevano smantellarla? Mah, qui dicono, poi ridicono, non si capisce un cazzo!
Mentre pago con un euro e venti centesimi il Resto del Carlino, il mio sguardo viene catturato dalla vetrina della gioielleria. Ritiro i 10 cent di resto e mentre mi avvicino alla vetrina un pensiero mi si forma nella mente: come si chiama quell’anello con tre diamanti montati separatamente: trittico, triade? Non ricordo. Lo individuo subito, è lì, in bella vista, tra un anello in oro bianco con una splendida acquamarina incastonata su un supporto a bocciolo di rosa ed una collana d’oro giallo. Bellissimo, 3 diamanti svettano opulenti, catturando tutta la luce della vetrina. Cerco il cartellino col prezzo, lo individuo nascosto sotto la collana bianca, 6. 500 euro. Però, non male. Che faccio? Entro e lo compero? Il blocchetto degli assegni l’ho con me. Il gioielliere dovrebbe ricordarsi chi sono: l’anno scorso comperai l’orologio per la Cresima di Cristina. Però seimilaecinquecentoeuro…, con questi soldi mi ci pago il funerale. Certo che farei felicissima mia moglie. Pensa che gioia, entro in casa dicendole: cara ti ho comperato il “triade”, come perché? perchè mi rimangono solo 2 mesi di vita. Questo farà che ti ricorderai di me per sempre.
Devo aver pensato a voce alta, perché la signora al mio fianco mi osserva preoccupata. La guardo a mia volta, le sorrido e mi avvio verso il parco. Non riesco ancora a percepire il cambiamento provocato al mio inconscio. Indubbiamente una notizia del genere deve aver devastato qualche parte del mio cervello. O forse no? Mi sento completamente rilassato, sereno come non mai. Mentre percorro corso Canalgrande apro il giornale e le solite stramaledette notizie mi si apprestano alla vista.
Tracollo del mercato finanziario, guerra, rapimenti, violenza sulle donne.
Mai nulla di positivo, che ne so: SCOPERTA DEL SECOLO, di tumore al cervello non si morirà più.
Nulla, solo dolore e morte.
Ma andate a cagare.
Arrivo al parco e mi siedo al Bar Lido, al cameriere che mi si avvicina ordino un caffè. È già il secondo in poco meno di un’ora. Non mi farà male tanta caffeina? Ma che cazzo, sono altre le cose che fanno male. Chiudo il giornale, e osservo la giostra dei cavalli. Tre bambini sono al galoppo sopra tre destrieri dalle folte chiome. Si stanno sparando e gridano felici. Mi ritrovo a pensare il perché è toccato proprio a me questo destino. Non poteva morire quel bambino al posto mio? Lui non ha ancora provato nulla, la sua rinuncia sarebbe minima. Non può sapere che vuol dire amare una donna, cosa è una scopata, un bicchiere di brandy, o una serata al ristorante 5 stelle. Magari la madre soffrirà, ma potrà avere un nuovo figlio e presto dimenticherà. Ma io, io perderò tutto questo, ho fatto tanti sacrifici, il mutuo, l’attività in proprio, le notti sul tavolo luminoso per terminare il progetto. Ora che ho pagato tutto, che ho raggiunto un posizione invidiata, che posso permettermi quasi tutto: un tumore si prende tutto.
Mi trovo a fissare quel bambino quasi con odio, e sento la mia voce che sussurra:
Dio, oh Dio prendi lui e salva me. Te ne prego, non posso morire ora.
Terrorizzato mi alzo di scatto e fuggo sotto lo sguardo sbigottito del cameriere.
No, non possono essere miei quei pensieri, è il tumore che si sta sviluppando, sì deve essere così.
Mi siedo su una panchina, rilasso la mente e penso. Ero io prima, come sono io ora. Il terrore della fine si era materializzato davanti ai miei occhi e lo avevo identificato in quel bambino.
Scusami Dio, non volevo. Lascia che tutto prosegua come hai programmato. Non capisco più nulla.
Io non ho mai creduto nel destino, ma sempre nel libero arbitrio. Noi siamo padroni del nostro destino, ho sempre affermato…ed ora!?
Decido di tornare a casa, inizio a pianificare l’incontro con mia moglie. Lascerò a lei l’ingrato compito di avvertire mia figlia, i miei fratelli, mia madre. Mia madre, 80 anni, accidenti ma proprio io…perché non è toccato a…ecco che il mio pensiero fugge nuovamente. Mi faccio orrore, scaccio con rabbia il pensiero, anzi non l’ho nemmeno avuto. Basta, ho deciso, non dirò nulla a nessuno. Lascerò che se ne accorgano quando ormai sarà troppo tardi per poter dare spazio alla commiserazione ed agli sguardi pietosi. Non potrei mai sopportarlo.
Deciso, ora vado al lavoro, dico al mio socio che mi dovrà sopportare per altri trenta o quarant’anni e via.
Chi resterà si organizzerà.
Mi avvio alla macchina, sicuro e deciso. Poi l’odio contro la società mi riafferra, osservo i passanti con rabbia, li vorrei prendere a pugni, morderli. Devo far soffrire qualcuno, non posso resistere due mesi con questo odio. Corro quasi verso l’auto, ho deciso sul serio questa volta. Monto in auto entro in autostrada e vado a schiantarmi contro un tir. Succeda quel che deve succedere, una strage, carneficina, non mi interessa finisco alla grande. I giornali amano queste catastrofi apocalittiche. L’avranno.
Deciso mi appresto a salire in macchina, quando un canto soave mi rapisce, non sto sognando, mi accorgo che dalla porta dei Principi del Duomo, stranamente aperta, proviene questo voce quasi angelica. Lascio la macchina aperta, attraverso la piazza ed entro nella cattedrale. Vi è la celebrazione dell’insediamento del nuovo vescovo.
Mi inginocchio, rivolgo lo sguardo all’icona della Madonna posta lateralmente all’altare maggiore e la vedo, nella mia mente, mi sorride. Sorrido pure io e tutto ora mi è chiaro.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0