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Il vecchio e la bambina
Tanti anni fa, in un piccolo appartamento di un palazzone dei ferrovieri, abitava una bambina. Tutte le sere scendeva con sua madre a comprare il latte in una botteguccia costruita sotto il piano stradale. Ce n'erano altre, di botteghe sotterranee, lungo tutto il palazzone.
C'era la bottega del fornaio, divisa in due grandi spazi: il forno e la zona di vendita. Alla bambina sembrava un negozio di lusso e ci andava volentieri perché c'era sempre un buon odore di pane caldo e i due giovani padroni erano molto allegri: insieme al pane regalavano ai clienti larghi sorrisi e battute divertenti.
Una sera la bambina scese con sua madre le scale della latteria e mentre il lattaio dava alla madre il mezzo litro di latte, la bambina vide seduto ad un tavolino rotondo con il piano di marmo, un vecchio che inzuppava una brioche nella tazza di caffellatte e
la mangiava avidamente a grossi bocconi. Il viso del vecchio era rotondo e pieno ma grigio. Gli occhi chiari erano velati da una pellicina traparente e il naso era grande e adunco. La bambina provò una grande tristezza, di quelle che scendono dentro e lasciano il segno. In quel momento tutto il suo orizzonte percettivo fu occupato da un'immagine: solitudine assoluta. Quando fu a casa la bambina non si sentì per niente sollevata dall'angoscia che l'aveva afferrata e che ora si accompagnava ad una forma di malessere strano, difficile da definire o da descrivere. Si buttò sul letto e
l'immagine del vecchio le si ripresentò, netta, in tutta la sua tragicità. Gli occhi velati ora sembravano supplicarla, ora sembravano comunicarle una confusa profezia per la sua vita futura. ora sembravano carichi di pietà per una condizione comune a tutti gli uomini. La bambina navigava in un mare di desolazione. Quando sua madre la chiamò per la cena, si affrettò a segiurla, si sedette al suo posto e cominciò a mangiare in silenzio. "Che hai fatto?"-le chiese la madre, preoccupata. "Quando torna papà?"- chiese la figlia. E fece uno sforzo per non scoppiare a piangere. Non avrebbe saputo spiegare a sua madre il motivo di tanta tristezza e lo strano malessere che l'accompagnava. "Quando torna papà?" - aveva chiesto Laura. "E chi lo sa?" - sospirò
la madre. Anche lei soffriva molto per l'assenza del marito che faceva il
macchinista e quando partiva con il suo elettrotreno non sapeva mai quando sarebbe
tornato. I viaggi potevano essere molto lunghi e la destinazione Pietro la sapeva al Deposito romano di S. Lorenzo dove si recava ogni giorno per un servizio chiamato "disponibilità "In casa non c'era il telefono e così l'andare e il venire di Pietro potevano essere brevi come meteore o lunghi come un giorno di noia e pioggia. Laura aveva paura a restare sola con la mamma. Era buona, la mamma e faceva tanti sacrifici per la sua unica figlia, ma era malata e poteva capitare, all'improvviso, di vederla crollare a terra, svenuta. Laura era presa dal panico e si dava da fare come poteva: la chiamava, la scuoteva, le sollevava la testa e le metteva sotto il naso un batuffolo di cotone imbevuto d'aceto. Veramente avrebbe preferito chiamare la vicina ma sapeva che sua madre era gelosa di quel suo male che considerava una vergogna. Quando finalmente la mamma si riprendeva, dopo pochi minuti di assestamento, continuava tranquillamente le faccende domestiche. Laura tornava allegra, giocava con il cane che le aveva regalato suo padre oppure si nascondeva in qualche spazio imprevedibile e si divertiva a sentire sua madre chiamarla con voce sempre più preoccupata. Non la trovava quasi mai. Laura balzava dal suo nascondiglio quando sentiva scattare la serratura della porta di casa e correva a bloccare sua madre che stava per andare a cercarla in cortile. La sera madre e figlia scendevano a prendere il latte. Il vecchio era sempre al solito posto. Laura lo guardava a lungo. Qualche volta lui alzava gli occhi dalla tazza di caffellatte e incrociava quelli della bambina, ma subito riabbassava la testa, cupo. Il nono compleanno di Laura fu un infelice anniversario: il padre annunciò che le Ferrovie dello Stato lo avevano trasferito a Milano. Entro una settimana dovevano partire. Laura ne fu amareggiata: doveva lasciare la sua scuola, i suoi amici, il bel parco che stava davanti alla sua brutta casa e a primavera non avrebbe più rivisto l'enorme acacia del parco che improvvisamente fioriva, inondando tutto il lungo viale del suo dolce profumo. Per Anna, la madre di Laura, il trasferimento a Milano fu una tragedia. Non sopportava l'idea di non poter vedere per lunghissimi periodi sua madre che andava a trovare tutti i pomeriggi, affrontando un faticosissimo viaggio in tram. Anna aveva con sua madre un rapporto difficile fatto di amore, dipendenza, paura. Laura cominciò a capire quanto sia difficile, talvolta, il rapporto fra madre e figlia. Lo sperimentò lei stessa. A Milano Anna diventò molto severa e quando Laura entrò nell'adolescenza la severità della madre diventò patologica. Vietò alla figlia molte cose e in modo assoluto le amicizie maschili. La ragazza cominciò a provare un forte risentimento verso la madre perché non le aveva dato un fratello o una sorella. perché la sua malattia, che si era aggravata, restringeva quel piccolo spazio di libertà che le era rimasto. Per fortuna quel piccolo spazio comprendeva la scuola e lì c'erano i ragazzi. Sua madre non poteva certo eliminarli! Laura prendeva delle cotte furibonde sempre per ragazzi che non la prendevano minimamente in coniderazione. Poteva capitare che qualche ragazzo le facesse il filo ma era sempre quello che Laura non sopportava. Divenne cupa, aggressiva. Quando era sola in casa si metteva a declamare "L'ultimo canto di Saffo". Dopo l'ultimo verso scoppiava a piangere e immaginava di precipitare da una rupe come la poetessa di Lesbo. Se avesse saputo che, contrariamente a come l'aveva immaginata Leopardi, Saffo era bella, non l'avrebbe amata più. Un giorno Laura decise di cominciare a spezzare un anello della catena che la legava. Disse alla madre che sarebbe andata ad un concerto con un'amica e invece ci andò con un ragazzo che aveva appena conosciuto. Eh, le catene hanno qualche anello debole. Si mise d'accordo con un'amica compiacente che invitò a casa e presentò alla madre come la compagna dei concerti. La musica fu galeotta. Fra Laura e il suo amico esplose l'amore. I due ragazzi continuarono a vedersi ma non dissero niente ad Anna. Laura era finalmente felice e lo fu per qualche tempo. Poi ricominciarono i guai. Pietro morì proprio quando Laura e Marco, finiti gli studi, avevano deciso di sposarsi. Nel cuore di Laura si scatenarono emozioni e sentimenti contrastanti: dolore per la morte del padre, rabbia per la sorte che, lasciandola figlia unica, le scaricava di nuovo addosso i problemi della madre, aggravati dalla morte del marito. Anna si rendeva conto della situazione. Una sera la figlia la trovò seduta dul bordo del letto, piegata su se stessa, in mano la fotografia del marito sulla quale cadevano lacrime silenziose. A Laura si strinse il cuore per la pietà. Parlò con Marco e insieme decisero di affittare due appartamenti comunicanti e poiché avevano già tutti e due un lavoro in vista, calcolarono che potevano permettersi un aiuto domestico che assicurasse l'assistenza ad Anna e permettesse alla figlia maggiore libertà. E così, come in una favola a lieto fine Laura e Marco si sposarono ed ebbero tre figli. Il loro matrimonio era saldo, cementato da molti interessi in comune. A volte Laura si chiedeva: " Ma come ho fatto a non lasciarmi travolgere dalle asperità della mia vita?" Ma poi si dava dell'egoista pensando a quante asperità e sofferenze e ingiustizie milioni di uomini, donne e bambini devono sopportare. In occasione di un lungo "ponte" la famiglia di Laura decise di concedersi una vacanza in una città lontana da Milano. Laura propose Roma, il luogo della sua infanzia. L'accontentarono sapendo quanto amasse la sua città natale. Una mattina Laura uscì presto dall'albergo dove alloggiavano. "Vado a fare due passi -disse al marito- Beh, saranno un po' più di due. Tu resta con i ragazzi e quando si svegliano falli preparare. Appena torno vi farò da cicerone per visitare le meraviglie di Roma". Laura aveva progettato di andare a vedere se c'era ancora la sua vecchia casa, si, il palazzone. E voleva andarci da sola. Prese un taxi e si fece lasciare in una via vicina alla vecchia casa. Camminando svelta e sicura arrivò alla meta. Il palazzone c'era ancora. Sostanzialmente non era cambiato molto. Il quartiere era sempre popolare ma le povere bottegucce erano diventate negozi moderni e allettanti. Cercò la latteria. Era diventata un bar. "Chissà se ci sarà ancora il padrone? Era giovane, se non ha venduto potrebbe esserci" Entrò e si guardò intorno. C'era! Aveva i capelli bianchi e stava seduto alla cassa. Il cuore le balzò. Le venne una gran voglia di sapere che fine avesse fatto il vecchio che cenava a caffellatte e brioche. Ordinò un succo di frutta e un tramezzino e quando andò a pagare chiese al padrone del bar se si ricordava del vecchio seduto tutte le sere al tavolo con il piano di marmo."Lo conosceva?" - chiese l'uomo. "Lo vedevo tutte le sere quando scendevo con mia madre a prendere il latte. Eravamo sue clienti. Certo non può riconoscermi. Ci trasferimmo a Milano quando ero ancora bambina" "Ah- disse il vecchio e la scrutò a lungo. "Tu sei Laura- disse con un gran sorriso e sollevò le mani per abbracciarla ma le riposò subito sulla cassa e mormorò, serio: "Mi scusi!" "Ma quali scuse? - rispose Laura abbracciando il lattaio- Mi chiami Laura e mi dia del tu. Ma torniamo al vecchio del caffellatte. Ne sa qualcosa?" "Eh, si - rispose- è morto, poverino. Ma è morto bene. Sai, non era solo. Aveva una figlia con la quale aveva litigato. Io gli dicevo sempre di non fare il testardo, di non permettere all'orgoglio di fare scorrere la vecchiaia in solitudine. Mi ci volle un po' per farglielo capire ma alla fine mi ascoltò. Si riappacificò con la figlia e andò a vivere con lei. Era una brava donna che non fece mancare mai a suo padre cure e serenità. Il vecchio morì nel suo letto, accompagnato dall'affetto della figlia, del genero e dei nipoti alla partenza per il suo ultimo viaggio, Eh -concluse con un sorriso compiaciuto- qualche volta so essere convincente". Laura sorrise ed annuì ma dentro di sé pensò "Chissà se ad indurlo a ricercare la figlia non siano stati gli occhi di una bambina nei quali lesse, come in uno specchio la tristezza della solitudine?" Aveva un groppo alla gola. Salutò in fretta il lattaio e in fretta usc' dal bar; le lacrime cominciavano a bagnarle le ciglia. Entrò da un fioraio, comprò una pianta e su un biglietto scrisse: "Per me che sono entrata per la prima volta nel suo bar è un'inaugurazione. Le mando questa pianta con mille auguri". Tornando all'albergo pensava: La vita è dura, qualche volta durissima ma è straordinariamente bella. Sa creare intrecci, coincidenze, relazioni misteriose fra eventi e persone. Io sento che il vecchio salvato dalla solitudine, non so come, mi ha aiutata a fronteggiare le mie asperità. Si abbandonò ad un pianto liberatorio, di gioia, di speranza. Un canto alla vita.
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- Grazie, Antonella. Ciao. Franca
- autrice profonda
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