Seduta alla mia scrivania, con l’orologio che segna la mezzanotte da trentadue minuti, sorseggio una tazza di latte caldo. Quella sensazione di pace mi scalda, come la tazza la mia mano. Con l’altra scrivo. E mi stupisco. E mi pare nuovo. Vorrei che il sapore del latte mi riportasse ai pensieri di bambina, quando non mi preoccupavo di arrossire e quando bastava guardare negli occhi qualcuno per capire se mi potevo fidare. Era un attimo ed era facile.
Un altro sorso. Metto su un po’ di musica; l’assenza di rumori attorno dà più voce ai miei pensieri che, anche stanotte, mi impongono la loro presenza. E io li lascio fare e sorrido perché loro non sanno che, in fondo, così, mi tengono compagnia qui dentro.
L’ultimo sorso e poi il suono sordo della tazza sulla scrivania mi riporta al dovere, quattordici minuti dopo.
Tiro su i capelli, lascio cadere i vestiti e raggiungo il letto. Non c’è tepore stanotte e il brivido lungo la schiena ritorna.
Devo dormire. Notte.