racconti » Racconti brevi » Auschwitz
Auschwitz
Il dottore, o meglio herr doctor, si tolse i guanti e uscì dal laboratorio. Accese una sigaretta e inizio a fumarsela tranquillamente. Più in là, sotto la luce di un sole pallido, vide il bianco nudo dei corpi. Erano solo dei corpi, o meglio, degli scheletri spremuti da ogni essenza che aveva a che fare con ciò che ci poteva ricordare l'essere umano. Sorrise pensando al disgusto che gli avevano procurato la prima volta. Ormai, molti di loro erano le sue cavie. Il loro stesso Dio gli aveva accettati come dei sacrifici, da tempi immemorabili, come animali uccisi e bruciati nel suo tempio. Questo era il dono più grande, nel banchetto li era servito il suo popolo prescelto. “Prescelto”!? Un'ondata inspiegabile di odio lo assalì. Era stato questo lo scopo dei suoi esperimenti, l'accertamento dell'ineguaglianza delle razze, la sua era superiore. Adesso non gli importava più di sapere da dove aveva origine questo odio, a lui gli era stato dato un'occasione irripetibile, le cavie umane. Fumando tranquillamente e con un passo alquanto tranquillo si avvicinò ai corpi ammassati. All'improvviso, il cielo si schiarì. Fermo il passo. Dalla massa dei corpi, era scivolato e caduto una sua cavia, un corpicino, con la testa rasata, con gli occhi... No, non era possibile, la conosceva bene, poche ore fa ce l'aveva sul suo tavolo del lavoro... Gli aveva iniettato delle sostanze... per cambiargli il colore. E non si era fermato neanche quando il corpo legato si era congelato e non dava più segni di vita. Gli voleva azzurri quei occhi, come quelli della sua razza, voleva a ogni costo vedere come sembrava un bambino ebreo con occhi di una razza ariana, firmati dalla sua mano. Non perché non ci fossero altri bambini ebrei con occhi azzurri, ma gli occhi di questo bambino, anche se scuri esprimevano dolcezza... si era fissato dall'inizio e ancor di più quando non riusciva a ottenere il risultato desiderato. Ora erano azzurri. O era il cielo riflesso in essi? Il vento si alzo spostando la nube di fumo della crematoria annerendo il cielo. Ma gli occhi rimasero azzurri. Accese un'altra sigaretta non notando che nubi nere e cariche ormai erano su la sua testa. Sono arrivato, penso, sono arrivato...
- Dove sei Dio!? - urlo a pieni polmoni, sfidando il cielo. Poi scoppiò a ridere. Buttò il mozzicone della sigaretta e con passi veloci entro nello stabile dove si trovava il suo laboratorio. Doveva sbrigarsi la guerra stava finendo e con essa il periodo d'oro degli esperimenti. Alcune gocce di pioggia macchiarono la sua bianca camicia. Erano nere, pioggia mista con il fumo e la cenere che il vento aveva sollevato. Girò ancora una volta la testa verso la catasta di cadaveri i quali venivano caricati su dei carrelli, da una squadra di carcerati, per poter sfamare la bocca nera del crematorio che sputava fuoco. Su di una pirofila, come due pezzi di cielo, brillavano gli occhi del bambino. Gli sembrò come se avesse sentito il loro urlo:
Dove sei Dio!? -
Le sue stesse parole, ma questa volta con un tono accusatorio.
La pioggia continuo per tutto il giorno. Insieme a lei la cenere e la polvere. I carcerati, ormai dei morti viventi, buttavano i scheletri nella bocca del drago. Nessun pensiero, nessun rimorso, gli toglievano qualche dente d'oro dove c'era, e... oramai era diventato un lavoro meccanico, cosi sarebbero finiti anche loro... tra poche ore o pochi giorni. Quello che gli stancava di più era quella terra che cadeva insieme alla pioggia. Nessun raggio di sole quel giorno, e quando mancava anche lui... l'orecchio aveva captato buone notizie, dall'occidente marciavano i carri armati per poterli liberare. Ma anche questo pensiero gli faceva male, gli faceva battere il cuore e le ginocchia gli tremavano dalle emozioni, e se cadevano a terra... non avrebbero aspettato che esalassero il loro ultimo respiro ma gli avrebbero ficcati in quella bocca di fuoco. Anche il cielo si era nascosto. Il loro Dio gli aveva abbandonato...
Dietro le sbarre della stretta finestra, della capanna, un altro bambino segui con lo sguardo il corpicino caricato sul carrello. Era rimasto senza parole, suo fratello gemello, con i suoi dolci occhi scuri ora aveva occhi azzurri che brillavano come due pezzi di cielo. Gli sembrava di vedere due piccoli cieli la giù, mentre la terra si era oscurata dalla pioggia di cenere di morte.
L'olocausto, il banchetto di Dio, e lui si vide come una sua briciola. Ma il cielo aveva bisogno della sua vita? Il Dio che l'aveva creato, poteva scrivere per lui un altro destino? Sua madre gli aveva detto che se nel suo destino non era scritto che lui sarebbe cresciuto allora sarebbe diventato un bellissimo angelo del cielo. Immagino se stesso con delle fragili ali di un angioletto. Ma cosa fanno gli angeli? Un angelo deve essere affabile, la sua missione è di diffondere amore, ma lui... dove avrebbe trovato quel amore... ora che non aveva più suo fratello... quanto lo aveva amato... un odio lo assali per ogni cosa, non solo per gli uomini in divisa ma per tutto, per quei poveri esseri che non assomigliavano più agli esseri umani, per il destino, per la vita... non per la vita, voleva vivere. Questa è una pazzia, nascere per vivere e poi...
Dove sei Dio!? - chiese lui – dove ti sei nascosto?
Chiuso nel suo crudele mondo, con il pensiero si mise alla ricerca di Dio per pregarlo di lasciarlo vivere. Ore intere a pregarlo. Arrivo la sera e ormai lui era morto di sonno. Cosa lo aspettava domani? Herr doctor aveva preso due coppie di gemelli quel giorno nella capanna e aveva rivolto uno sguardo anche lui. Gli venne la pelle d'oca quando penso a quella coppia di gemelli che il boia aveva cucito insieme per poter fare di loro dei gemelli siamesi.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0