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Quell' indimenticabile tramonto
Ricordo spesso quei momenti. Le lunghe passeggiate sul bagnasciuga, lei che mi stringeva forte la mano, come se la mia presenza accanto la rassicurasse, la proteggesse in qualche modo.
Ricordo che era un’estate torrida, i pochi momenti di frescura riguardavano soltanto i pomeriggi inoltrati. La spiaggia a quell’ora era meno gremita, la gente che solitamente affollava le mattinate se ne era andata, e persino la presenza dei bambini era diminuita.
Probabilmente i momenti migliori da trascorrere con maggior intimità con una persona cara al proprio fianco.
Ricordo le nostre chiacchierate, quando spesso lei accennava ad un litigio, causa l’incompatibilità di alcuni discorsi che facevamo. Ma questo succedeva di rado. In realtà io e Francesca eravamo due persone in perfetta sintonia. È bello chiacchierare con chi ti comprende, è stimolante: e su questo Francesca mostrava una sensibilità non indifferente, ma anche una forza d’animo eccezionale che compensava la sua apparente fragilità.
Oddio, come uno sciocco ne sto parlando al passato. È una cosa inconscia, non me ne accorgo neanche.
Ma dopo quello che ho visto ieri, è istintivo che io non ne parli in forma presente, che accumuli quei ricordi come se fossero legati ad un tempo così immensamente lontano, remoto.
Ieri mattina mi trovavo nei pressi dell’ufficio di Giovanni, il mio editore, a cui una settimana fa avevo consegnato il mio ultimo manoscritto: volevo sapere un suo commento al riguardo, così eravamo rimasti d’accordo. Il suo ufficio sta ad un palazzo al centro nei dintorni del Colosseo. Stavo quasi per citofonare quando d’ un tratto ho udito le grida assodanti di un gruppo di persone riunite all’ingresso di una Chiesa. Incuriosito mi sono avvicinato e ho notato alcuni ragazzi della mia età pressappoco che impugnavano grumoli di riso: gli sposi si preparavano ad uscire, ed infatti eccoli sorridenti e felici, immortalati da più di un flash, raggianti e fotogenici.
Lui mai visto in vita mia ma lei aveva un’aria familiare, terribilmente familiare. Era Francesca, l’ho riconosciuta quasi istantaneamente, anche se devo ammettere che con quel look sofisticato non ero abituato a vederla.
Tra la folla scalpitante, gli interminabili applausi, per una frazione di secondi il suo sguardo ha incrociato il mio, non una mia impressione, la verità. Mi ha sorriso, illuminando i suoi splendidi occhi verdi. Il suo gesto era rivolto a me, c’ero solo io là in quel punto. Mi ha riconosciuto e in qualche modo ha voluto farmelo capire.
Ho alzato la mano destra accennando ad un debole, disperato saluto. Lei ha abbassato la testa, non sorrideva più, è montata in una vistosa limousine. La gente intorno continuava ad applaudire.
“ Viva gli sposi! ”, “Auguri! ”, tra le ultime cose che le mie orecchie hanno udito. Mi sono allontanato da lì, gli occhi lucidi, come un automa mi sono avvicinato al palazzo di Marco.
Ed ora eccomi qui, sulla spiaggia dove due anni fa io e Francesca ci siamo conosciuti, io ero uscito da una lunga storia con la mia ex, ero fragile in quel periodo, volevo stramene per conto mio alla casa al mare che mi ha lasciato mio padre.
Ma nella solitudine cercavo un punto d’appoggio, l’ho trovato, Francesca era la persona ideale ma io come un povero egoista l’ho lasciata andare.
Perché dannatamente non volevo accettare il fatto che lei fosse le mia anima gemella? Perché per me la nostra relazione non sarebbe durata oltre quei tre mesi?
Queste domande per me sono come una martellata sulla testa, come un lancinante pugno allo stomaco. In realtà in quel periodo, due anni fa, ancora non avevo completamente dimenticato Claudia, la mia ex, con la quale sono stato fidanzato per quasi dieci anni. E di sicuro Francesca per me, in quei determinati momenti non poteva sostituirla.
In realtà ora mi accorgo di queste mie scelte sbagliate. Ma voglio continuare a sperare. Voglio credere che non sia finita. Ho sempre odiato i disillusi. Sono sempre stato un sognatore, fin da piccolo.
Sono quasi le venti. Mi appoggio ad uno scoglio, lo stesso dove io e Francesca ci sedevamo. Chiudo gli occhi. Mi sembra di vederla ancora lì, accovacciata, la luce del tramonto che illumina i suoi meravigliosi capelli biondi.
Il tramonto, che segna la fine di un giorno e lo avvolge implacabile nel suo affascinante mantello.
Un’ atmosfera crepuscolare, intensa, bellissima.
Sono un inguaribile nostalgico ed un folle innamorato. Non mi arrendo, continuo ostinatamente a pensare che le nostre strade seppur divise, prima o poi si ricongiungano. Non voglio dimenticarla, non posso.
Riapro gli occhi.
Noto l’insegna dell’ “Aquilant Café”, un locale dove io e Francesca siamo andati più di una volta. Mi avvicino e scorgo Luciano, il proprietario, sull’uscio della porta d’ingresso.
Voglio salutarlo e scambiare due chiacchiere: mai come stasera ho bisogno della compagnia di un vecchio amico.
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