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Cuore di regina - 1
Edimburgo, 18 febbraio 1567
PREMESSA: Ci troviamo alla corte della regina di Scozia, Maria Stuart, sposata a suo cugino Henry Stuart, Lord Danley. È stato da poco assassinato l'amante di Maria, l'italiano Davide Riccio, da parte di un gruppo di nobili protestanti ostili alla regina.
Il sole stava per tramontare su Edimburgo, e gli abitanti di Holyrood Palace, sede della corte reale, si preparavano per coricarsi, al termine di un'altra lunga giornata.
Nello sfarzo dei suoi appartamenti, la regina Maria sedeva di fronte ad uno specchio che ne rifletteva il bel volto pallido e scavato dalla stanchezza, mentre Emily continuava a passarle la spazzola tra i capelli bruni, con gesti rapidi e ripetitivi, in silenzio. Maria non pareva fare caso alla serva, ma fissava con aria assente la propria immagine riflessa, apparentemente senza vederla. Ma per lei, quello specchio rifletteva molto di più del proprio volto stanco e triste; in quel pezzo di vetro la regina vedeva materializzarsi i propri pensieri cupi, vedeva volti conosciuti e immagini vecchie e nuove di un passato drammaticamente e improvvisamente spezzato.
Il volto del suo amato Davide Riccio, l'umile musico italiano che aveva rapito il suo cuore di regina, e che negli ultimi tempi era diventato per lei molto di più di un semplice segretario personale, le sorrideva dall'altra parte dello specchio, e lei lo avvertiva così vicino, così reale, che, se solo lo avesse voluto, avrebbe potuto toccarlo...
Vedeva i suoi occhi color cielo e i lunghi riccioli che gli ricadevano sulla fronte, così morbidi e setosi, e quel neo sul collo che pian piano aveva imparato ad amare e a desiderare come il resto del corpo di lui. Le pareva di sentire il suo profumo, così diverso da quello degli altri uomini di corte, così genuino, da uomo di mondo, avrebbe persino potuto definirlo rude... Eppure per lei aveva la delicatezza e la soavità della musica più dolce che si potesse suonare.
“Vostra Maestà, io ho terminato. ”
La regina riemerse dai propri pensieri, e parve quasi meravigliarsi che Emily fosse ancora lì, in piedi di fronte a lei, e le rivolgesse la parola. “Molto bene, Emily. - le disse. - Puoi andare, ora. Vorrei stare un po' da sola. ”
La giovane serva parve sorpresa dagli ordini della padrona. “Non desiderate che io e le altre vi aiutiamo a coricarvi, Maestà? ” domandò.
“No, Emily, non ancora. Quando ne avrò bisogno, vi chiamerò. ”
La ragazza fece un cenno d'assenso, si inchinò alla regina e lasciò la stanza.
Una volta sola, Maria si alzò e si avvicinò al balcone del terrazzo della propria stanza da letto.
Persino il cielo rosato del crepuscolo le riportò alla memoria ricordi che lei avrebbe tanto voluto cancellare dalla sua mente. Ricordava la prima volta che aveva baciato Davide, in quello stesso terrazzo, ricordava il tocco così delicato delle labbra di lui e un'emozione mai provata prima d'allora.
Sebbene fosse la regina di Scozia, nessuno era stato in grado di renderla felice come lo era stato Davide, l'umile musico italiano. Nessuno l'aveva mai guardata con tale dolcezza e desiderio, nessun uomo l'aveva mai riempita di premure e attenzioni come faceva lui, nei rari momenti che aveva potuto trascorrere da solo con lei, lontano da sguardi indiscreti.
D'altra parte, lei era Maria Stuart, incoronata regina all'età di soli nove mesi, ed entrambi i matrimoni che aveva contratto fino ad allora erano stati concordati, e non avevano nulla a che fare con l'amore, con i sentimenti. D'altronde, come avrebbe potuto amarla Francesco, sposato alla tenera età di sedici anni e portatole via da un'infezione soltanto due anni dopo, o Lord Darnley, il mostro che aveva la sventura di avere attualmente come marito, con cui si era unita unicamente per convenienza? Il suo destino era stato segnato fin dal momento in cui aveva emesso il primo vagito, nata dal re di Scozia Giacomo e da sua moglie la duchessa Maria di Guisa.
Il pesante fardello del suo nome era gravato sulla sua vita fin dalla primissima infanzia, dal momento che era diventata regina all'età di soli sei giorni, quando il colera si era portato via il re suo padre. Da allora, non aveva conosciuto altro che doveri e oneri, aveva imparato ad anteporre la sua grave responsabilità e gli affari di Stato alle proprie passioni, ai propri stati d'animo, alle esigenze della propria persona. Così le era stato insegnato, e così lei aveva imparato ad agire. A calpestare sé stessa per il bene del regno. Per tutti, fin dall'inizio, lei non era Maria. Lei era la regina. E, paradossalmente, lei stessa non avrebbe saputo comportarsi in altro modo che da regina.
Ed era sempre stato così, finchè non aveva conosciuto Davide, diventato il suo primo e unico amante. Aveva dato retta, per la prima volta nella sua vita, alla voce del cuore e aveva deciso di lasciarsi andare, di ascoltare sé stessa.
Ma aveva clamorosamente fallito. Aveva perso in un colpo solo l'uomo che amava e la sua dignità di regina integerrima. Aveva pagato un dazio alto, troppo alto, ai sentimenti che per la prima volta aveva deciso di ascoltare.
Immersa nei pensieri più cupi, con la sensazione di reggere sulle spalle un fardello troppo pesante da sopportare, la regina Maria scrutava il cielo oltre l'orizzonte, affacciata al terrazzo come una semplice fanciulla innamorata. E in quel momento, davvero, la regina di Scozia avrebbe desiderato non essere altro che una fanciulla innamorata. Un cardellino si posò sul balcone poco lontano dalla sua mano, e il cuore stanco e fragile di Maria fu assalito da nuovi ricordi.
Era una bambina di poco più di sei anni, e si trovava alla corte di Francia, dove era stata mandata da sua madre per ricevere un'educazione consona a una regina.
Era una giornata soleggiata, e lei era stata a cavalcare assieme alla nonna Antonietta in una delle ampie tenute di famiglia, non lontano dal palazzo di Joinville. Alla nonna, che trascorreva molto tempo in compagnia della piccola Maria, piaceva unire l'utile al dilettevole: così, affiancava le loro passeggiate nei boschi e nei parchi del palazzo, a precoci lezioni di equitazione alla piccola, che aveva imparato ad andare a cavallo quasi prima di camminare.
Il giorno in questione, nonna e nipotina si erano fermate a riposare dopo una lunga cavalcata, e la piccola Maria si era seduta sul bordo di una fontana di marmo. Poco dopo, un cardellino si era posato sul bordo per abbeverarsi, e Maria aveva tentato di afferrarlo.
L'uccellino si era sentito minacciato dalle sue paffute manine ed era volato via, sparendo oltre le cime degli alberi. La piccola era rimasta a lungo a fissare il punto in cui il cardellino era sparito, poi era scoppiata a piangere.
“Perchè se n'è andato? ” aveva chiesto quindi alla nonna, nascondendo il piccolo viso nelle sue gonne.
Antonietta di Guisa le aveva accarezzato dolcemente i capelli. “Perchè si è spaventato, piccola mia. Aveva paura che tu gli facessi del male. ” le aveva sussurrato con pazienza.
“Ma io non volevo fargli del male! ”
“Lo so, ma vedi, quell'uccellino è nato libero, madre natura gli ha fornito due piccole ali con cui può scappare da ciò che non gli piace, o che gli incute paura, e volare via con molta facilità. ”
Maria era rimasta colpita dalle parole della nonna, e aveva formulato un pensiero alquanto maturo per una bambina della sua età: “Allora anch'io vorrei essere come lui. Vorrei volare via quando qualcuno mi obbliga a fare qualcosa che non mi piace, come studiare le poesie in latino. ”
Antonietta aveva sorriso. “Mia cara, tutti vorremmo poterlo fare. Ma noi uomini non abbiamo le ali, così siamo costretti a fare anche ciò che non ci piace. Una regina, Maria mia, deve fare molte cose che non le piacciono, deve farlo per il suo bene e per quello del suo regno. Ma voglio svelarti un segreto. ”
Gli occhi della piccola si erano spalancati dalla curiosità, e fissavano rapiti il volto rugoso della nonna. “Quale? ”
“Anche le regine, da qualche parte, hanno delle ali, con cui possono spiccare il volo di tanto in tanto. ”
“Delle ali? E dove? ”
La nonna le aveva poggiato una mano sul petto, verso sinistra. “Qui. ” aveva risposto, enigmatica.
Maria, allora, era troppo piccola per capire, ma aveva ascoltato attentamente ciò che la nonna aveva aggiunto subito dopo. “Non dimenticarlo mai, piccola mia, quando un giorno avrai sulle tue spalle le sorti del regno, e ti sembrerà di essere imprigionata in responsabilità troppo grandi per te, ricordati che anche tu hai le tue ali, e che puoi spiccare il volo per un momento. Non permettere mai a nessuno di spezzarti quelle ali, Maria, perchè è quanto di più prezioso un uomo possa avere. ”
E forse era per quello che, in quel momento, il cardellino si era posato proprio sul suo balcone. Per ricordarle che, nonostante tutto, anche una regina aveva le ali, le ali del cuore. E che, di tanto in tanto, doveva utilizzarle, per non dimenticarsi come si vola.
La regina rientrò nella sua ampia stanza da letto, e si sedette su una delle eleganti sedie, poi suonò il campanello. Quasi all'istante, nella stanza entrarono quattro serve, tra cui Emily. “Vorrei andare a letto. ” annunciò Maria.
Loro spiegarono le coperte del grande letto matrimoniale con gesti veloci ed esperti. Poi, due di loro la aiutarono a coricarsi, e le rimboccarono le coperte.
“Avete bisogno d'altro, Maestà? ” domandò Emily.
Sì, avrebbe voluto rispondere Maria. Ho bisogno di molte cose in questo momento, nessuna delle quali posso avere. “No, grazie. ” rispose invece.
Le serve spensero una a una le candele della stanza, poi si congedarono da lei con un inchino e un augurio della buonanotte. La regina di Scozia, come ogni sera, strinse a sé, sul petto, il rosario e si accinse a dire le ultime preghiere della giornata e a trascorrere un'altra lunga e dolorosa notte.
Un'improvviso rumore di passi affrettati, clangore di spade, urla di soldati feriti, urla di morte... Gente armata che faceva irruzione nella sala da pranzo della corte reale. Voci concitate, goffi tentativi dei cortigiani di scappare, di sottrarsi al pericolo, spade puntate alla gola dei commensali, pistole che sparavano colpi in aria...
E poi quella voce, fredda e crudele. “Consegnateci il vostro segretario, Maestà. Siamo qui per Riccio. ”
Il cuore di Maria, per un secondo, aveva smesso di battere. Tutto potevano chiederle, ma non quello. Non Davide.
Ancora grida, uno sparo, una pistola puntata al petto del suo Davide. Ma lei non voleva arrendersi, non poteva arrendersi ai traditori. Si era gettata verso di lui, si era buttata con un gesto disperato davanti al petto dell'uomo che tanto amava. In quel momento, lei non era la regina. Era solo una donna innamorata, pazzamente innamorata.
Mani che la afferravano da dietro, che la tenevano saldamente mentre lei cercava di divincolarsi con tutte le sue forze, donna indifesa e sola contro quei nobili impazziti. Ma lei ce la doveva fare. Doveva salvarlo. Era riuscita a scappare, a liberarsi dalla stretta dell'uomo. Aveva raggiunto il corridoio, ormai monopolio dei nobili congiurati, e aveva visto il suo Davide cadere, sconfitto, sotto i colpi di pugnale...
Sangue, molto sangue. Sangue e morte, paura e dolore. E poi il volto del suo Davide Riccio, quegli occhi sbarrati, spenti per sempre...
La regina si svegliò di soprassalto. Quell'incubo, quel ricordo così fresco e spaventoso, aveva il potere di svegliarla ogni notte, a tutte le ore. E l'ultima cosa che vedeva di quei concitati attimi, erano gli occhi freddi e l'espressione impassibile di suo marito, Lord Darnley. Per tutta la serata, non aveva mosso un muscolo. Non aveva neppure finto sorpresa all'irruzione dei congiurati nella sala da pranzo reale. Non aveva battuto ciglio, e quegli occhi spenti e crudeli avrebbero continuato a tormentare Maria per molti giorni a venire.
Lui sapeva, era ovvio che sapeva. Era stato lui ad organizzare la congiura, ordinando ai nobili protestanti di eliminare per sempre l'amico troppo intimo della regina. Tra i molti nemici che la regina aveva, il peggiore di tutti era proprio l'uomo che lei aveva scelto come marito. Era lui che l'aveva pugnalata alle spalle, lui le aveva inflitto il colpo mortale.
Pochi giorni dopo, lui aveva detto di essersi pentito di aver partecipato alla congiura, e aveva fatto i nomi di tutti i nobili protestanti implicati nel complotto. Forse questa informazione avrebbe permesso alla regina di sventare in parte la continua minaccia rappresentata dai protestanti, che avrebbe fatto processare, ma non le avrebbe riportato indietro Davide. E di questo, Maria non avrebbe mai perdonato il marito. Gradualmente, con perizia e astuzia, la regina l'aveva privato di molti poteri che prima gli aveva ingenuamente conferito.
Fu distolta all'improvviso da quei pensieri, udendo dei passi concitati avvicinarsi alla porta della sua stanza. Col cuore in gola, attese in silenzio mentre una serva entrava nella stanza, agitata.
“Il conte di Bothley desidera parlarvi, Maestà. ” si affrettò ad annunciare.
Prima che lei potesse proferire parola, un uomo trafelato entrò nella stanza e si fermò davanti al suo letto. Il conte di Bothley, “gentiluomo” della Camera del Re, era uno dei pochi cortigiani di cui si fidava ciecamente. Era un tipo eccentrico e non troppo ben visto a corte, ma Maria sapeva che, se solo gliel'avesse chiesto, avrebbe dato la sua vita per lei.
“Vostro marito è morto, mia Regina. - la informò. - È stato trovato esanime nella sua residenza di Kirk o' Field. ”
Maria rimase impassibile. Come avrebbe potuto provare alcuna emozione davanti a una notizia simile?
“Com'è successo? ” domandò, laconica.
“Pare ci sia stata un'esplosione, e lui sia morto mentre tentava di scappare. ”
La mente di Maria fu attraversata da un sospetto. “E voi venite da lì, James Hepburn? Da Kirk o' Field? ” chiese all'uomo.
Per un'istante, lui parve capire che cosa stesse pensando la regina. Ma non mentì. “Sì, Maestà. ” confermò.
Maria lo fissò, poi decise che se ne sarebbe occupata l'indomani. Congedò il conte di Bothley e fece ricadere la testa sui cuscini.
La sua mente, così pragmatica per necessità, lavorava spedita. Suo marito era morto, probabilmente assassinato. Se il conte di Bothley fosse o meno implicato nell'omicidio, aveva poca importanza. La verità era che, agli occhi di tutti, la mandante del delitto sarebbe stata proprio lei, la regina Maria, probabilmente desiderosa di eliminare quel marito che non aveva mai amato e con cui non era mai andata d'accordo, colpevole di mille torti e angherie nei confronti della moglie. Ormai, che il matrimonio della coppia reale fosse finito era di dominio pubblico. Nessuno avrebbe esitato ad attribuire a lei l'omicidio, e i suoi molti nemici, la regina Elisabetta d'Inghilterra tra tutti, avrebbero saputo senza dubbio sfruttare la vicenda a proprio favore.
Eppure, forse, i colpevoli erano quegli stessi nobili protestanti che avevano congiurato contro di lei, e di cui Lord Darnley le stava confidando nomi e piani. Ma come avrebbe fatto a dimostrarlo?
Il sonno, pian piano, la sopraffece e lei fu costretta ad arrendersi, chiudendo gli occhi e ricadendo nel mondo dei sogni.
La regina, il mattino successivo, rimase silenziosa per gran parte della colazione, concentrata sul da farsi. Più tardi, avrebbe convocato i suoi consiglieri e avrebbe ponderato la situazione. Ma ora, prima di affrontare i numerosi oneri di una nuova, estenuante giornata da governatrice, a Maria di Scozia rimaneva ancora una cosa da fare. Dopo il pasto, si fece accompagnare nella nursery e domandò di essere lasciata sola con suo figlio Giacomo.
La nutrice del piccolo glielo mise in grembo, poi uscì dalla stanza. Maria sorrise al principino, e gli accarezzò la testolina ricolma di ricci dorati. Lui le stampigliò un candido bacio sulla guancia. La regina parve rinfrancata da quella manifestazione gratuita d'affetto, e ricambiò il bacio.
“Piccolo mio, vuoi giocare con la tua mamma? ” gli domandò.
Il principino Giacomo non avrebbe potuto risponderle, dal momento che aveva soltanto otto mesi, ma continuò a sorriderle e a giocare con i suoi orecchini. Maria si dimenticò per un istante tutte le sue preoccupazioni, i suoi problemi, fissando i suoi occhi in quelli del piccolo. Lasciò il mondo fuori da quella stanza e si perse in quegli occhietti curiosi e smaliziati, così colmi di vita.
Si alzò e prese a lanciare delicatamente in aria il figlioletto, fingendo di farlo cadere e afferrandolo saldamente con le braccia. Il piccolo rideva, e lei fu contagiata da quell'allegria. Non sapeva cosa le sarebbe successo una volta uscita da lì, cosa avrebbe fatto o quali altre grane avrebbe dovuto risolvere. Ma per il momento era lì, con il suo bambino, a ridere spensierata come una bambina che si diverte a correre nei prati. E, chissà perchè, le tornarono in mente le parole di nonna Antonietta. Anche lei aveva le ali, anche lei poteva volare. Poteva assaporare quei dorati momenti di libertà e di felicità.
E lì, in quella stanza, in compagnia di quel piccolo che amava più della sua stessa vita, Maria di Scozia trovò dopo tanto tempo un motivo per cominciare davvero a vivere. Un motivo per essere donna, prima ancora che regina.
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