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Storie di vita
“Eccola lì, la mia Ford, l’ ho presa a vent’ anni e non l’ ho lasciata più” Si lasciò andare in un malinconico sorriso, di fronte a lui quell’auto vecchia e dissipata dalle numerose fatiche che aveva affrontato. In origine era nera ma oramai per il pulviscolo di Perrikton, era diventata grigia, il telaio era completamente distrutto, i vetri erano limati dalla rena, e l’interno poteva far trasparire una negligenza di più di trent’ anni nei suoi confronti.
L’odore era nauseante, dentro quella macchina vi era di tutto, si poteva trovare del cibo sotto i sedili e delle sigarette o degli insetti decomposti.
Diceva sempre ai suo figlio che non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo, ma in cuor suo mentiva spudoratamente, difatti avrebbe abbandonato volentieri quel rottame se solo avesse avuto un migliaio di dollari per comprarsene una migliore.
Banchi di nebbia si espandevano su tutto l’isolato, un esercito di fantasmi che marciavano senza sosta, luci rimbalzavano sull’asfalto, foglie secche si scorgevano come serpenti nascosti tra i sassi.
Paul, ormai cinquantenne entrò nell’auto, comincio a piangere come un uomo sul braccio della morte.
Probabilmente pensava a ciò che gli era accaduto poco prima.
Nella fabbrica semivuota, le macchine lavoravano incessantemente sotto il carente controllo di una decina di operai.
“Paul a te quanto manca? ”Disse uno degli operai mentre spostava rapidamente scarpe da una macchina all’altra.
“cinque minuti e finisco”Rispose Paul.
“Domani io non vengo”disse l’operaio
“Perché? ”Domandò Paul
“Vado a vedere la partita dei Bokker”Esclamo l’operaio con in mano due biglietti.
“E per chi è l’altro biglietto? ”
“Per Mat”
“Ok”Disse Paul con una trasparente delusione in viso mentre continuava ad arrancare sulla macchina.
Erano ormai le 18, si stavano spegnendo le luci.
“lunedì non vengo a lavoro”Disse l’operaio
“Perché? ”Domandò Paul
“Vado con Lucy e i bambini a sciare, andiamo sul Monte Carben, penso che proverò anche la pista nera questa volta”
”divertiti”Disse Paul, poco interessato al discorso.
L’operaio sembrò quasi volersi scagliare contro di lui quando fermò il suo istinto.
“Lo farò, ma spiegami una cosa, tu perché non ci vieni mai con noi? ”
“Sai non è il mio forte lo scii alpino”
“ah gia il tuo forte sono scacchi”Disse l’operaio con aria ironica
“Non dire idiozie, non è gia giornata per litigare”
“E alla festa a casa di William ci vieni”
“Quand’ è? ”
“Venerdì”
“Non lo so, devo vedere, probabilmente sarò troppo distrutto per venire”
“Ripeti sempre la stessa frase, così perdi ogni parvenza di credibilità”
“Cosa? ”Disse Paul mentre spegneva la macchina per i lacci.
“Dimmelo, dimmelo che hai tre o quattro amanti, se lo ammetti non mi arrabbio”Disse l’operaio mentre afferrava il suo modesto giubbotto.
“Certo, e sono tutte modelle ventenni. ”Disse Paul accennando un sorriso
“Qual è il tuo segreto”
“è quel dopobarba da 2. 50 che uso sempre, mi rende assai affascinante”
“Anch' io lo uso ma non sono un playboy come te”
“Perché a quello bisogna anche abbinare una camicia abbastanza strappata e un cappello da pescatore”
“Vero, il cappello da pescatore funziona sempre”Rispose l’operaio dirigendosi verso l’uscita.
“Comunque te li avrei dato, se tu non fossi tanto pigro”Disse l’operaio
“Di cosa stai parlando? ”Domandò Paul, mentre si sistemava il cappello.
“Del biglietto per i Bokker”
“Non mi interessa, ci sono cose più importanti del calcio”Disse Paul con lo sguardo fisso a terra.
“Forse mi sto sbagliando, ma tu mi avevi detto che al liceo eri il capitano della squadra”
“Si, ma quelli sono tempi passati”Disse Paul con quella sua espressione di stampo quotidiano, stile casalinga stressata, con un contorno di occhiaie;era quasi penoso.
Paul era abituato a camminare ogni giorno da casa sua alla fabbrica e viceversa.
Tutto sommato non era molto, quindici, massimo venti minuti con un passo medio.
Era quasi buio, le nubi si incupivano, nelle vie i negozi chiudevano, solo qualche cinese continuava a lavorare nella propria bottega, ”Orologi a capi d’abbigliamento da Chen”
“Ancora aperto, deve essere davvero idiota quel cinese per lavorare tutto questo tempo”
Non era razzista, ma odiava l’allegria di quegli asiatici, amavano la loro misera bottega, amavano la mediocrità.
Cominciò a piovere, un soffio di vento, una donna che ritirava i capi dal balcone, un’altra, stanca, che apparecchiava una tavola.
Paul si girò alla sua destra, il gigantesco ospedale di Perrikton, titanico ma decadente.
“Signor Morrits, ho una brutta notizia per suo figlio”Disse un dottore, pallido con una barba incolta e con degli occhi che malapena si sorreggevano.
“Mi dica dottore? ”Rispose Benjamin, padre di Paul.
“Con l’incidente vostro figlio si è rotto il ginocchio in più punti, quindi…”
“Vada al sodo dottore”
“Se non operiamo suo figlio non potrà più affaticarsi troppo o giocare a calcio”
“se operate cosa accade”
“se l’intervento non dovesse riuscire perfettamente, rischierebbe di restare sulla sedia a rotelle.
Benjamin capelli grigi, rughe profonde, un viso turbato.
Era un operaio, gli mancavano cinque anni alla pensione, e non si capiva se l’aspettasse con gioia o con dolore.
Non era un lavoro gratificante il suo, ma con gli anni aveva imparato ad apprezzarlo.
“La felicità reale si ottiene solo quando è condivisa”Lo ripeteva sempre, magari aveva copiato quella frase da qualche libro, ma faceva sempre un certo effetto.
Pronunciando quelle parole gli brillavano gli occhi, uno sguardo alla vita con la moglie, uno sguardo alla sua morte.
Un bussare alla stanza 137.
“Avanti”Disse Paul, mentre scorreva le pagine di un libro.
“Ciao Paul”Un uomo sui quaranta, dall’aspetto elegante si fece avanti.
“Buongiorno professore”
“Mi dispiace per ciò che ti è accaduto”
“Grazie”Disse Paul con voce fioca e con sguardo basso, mentre teneva ancora il libro aperto sotto le sue mani.
“Che cosa stai leggendo? ”Chiese il professore avvicinandosi a lui.
“Niente”Rispose Paul poggiando il libro sul tavolino.
“Schophenauer”Disse afferrando il libro “Ti interessi anche della filosofia ora? ”Chiese il professore
“Ho molteplici interessi”Rispose Paul strappandogli il libro dalle mani e riponendolo nel cassetto.
“L’ho notato “Assentì l’uomo.
Sul comò sei, forse sette libri, buttati li, a caso con molteplici segnalibri.
“Ti piace Sthepen King? ”Domandò il professore.
“Certamente un bell’uomo, ma tutto sommato preferisco le donne”Rispose Paul
Dopo qualche risata tornò serio”Si, Arancia meccanica, e poco altro”
“Paul venendo questi segnalibri sembra quasi che tu li stai leggendo tutti contemporaneamente”
“C’è chi fa cinque partite di scacchi simultaneamente, e chi legge i libri. Comunque la maggior parte delle letture mi annoiano subito”Disse Paul
Qualche decina di secondi di silenzio, Paul aprì un cassetto e cominciò a far scivolare tra le sue mani una pallina da tennis.
“Professore mi sembra che lei non sia venuto soltanto per vedere il mio ginocchio malandato.
“Sono passato anche per parlarti della tua situazione scolastica”
“Continui pure”Disse Paul continuando a riporre la sua attenzione su la pallina.
“Con tutte le assenze e con la mediocrità dei voti, rischi di essere bocciato. ”
“Molti altri rischiano la bocciatura, ma non si fanno grossi problemi, perché dovrei farmene io”
“Sai tra poco più di un mese c’è l’olimpiade della matematica, potresti partecipare sono sicuro che…”
“Non spreghi fiato, non sono fatte per me quelle sfide, potrei anche chiamarmi Jhon Nash, ma non parteciperei mai a quelle gare”
Il professore si voltò verso la porta”Non voglio disturbarti oltre, ma se non hai ambizioni non posso farci nulla”
“Ambizioni, quale ambizione, vincendo quella gara mi potrei sentire superiore agli altri, ma questo non mi interessa”Disse Paul
“Non intendevo dire questo comunque se cambi idea sono sempre disponibile”L’uomo si diresse verso la porta, con aria affranta.
“Marshal! ”Urlò Paul
Il professore si voltò”Magari potremmo risolverla a scacchi”Disse Paul, cacciando da un cassetto una scacchiera, di basso valore.
“Spiegati meglio”Disse Frederick Marshal
“Se vinco io lei mi lascerà in pace e cercherà di ignorare le mie numerose assenze”
“E se vinco io? ”Domandò il professore
“Professore, lei è un utopistico, comunque se dovesse avere la meglio parteciperò a quelle olimpiadi”
“Va bene, quando giocheremo? ”
“Adesso”
Il professore si sedette al lato destro di Paul, e li dispose un tavolino dove mettere la scacchiera.
“Professore può raccogliermi la pallina per favore”
L’uomo si alzò e si chino a raccogliere la pallina da tennis, cominciava gia ad essere infastidito da essa.
“Sperò che tu stessi scherzando quando hai detto che mi avresti battuto facilmente”Disse Frederick
“Non ho detto che ti avrei battuto facilmente, ho detto solo che ti avrei battuto”Rispose Paul
“Mio caro Paul devi sapere che a scacchi, non per vantarmene, sono un portento”
“Ha vinto qualche torneo? ”Domandò Paul
“No, anche se…”Rispose l’uomo
Lo interruppe Paul“Professore si è risposto da solo, per favore cominciamo”
Finirono a sistemare le pedine, Marshal aveva gia finito di disporle, Paul appoggiò lentamente i cavalli e per finire tutti i restanti pezzi.
“Come sta tuo padre Paul? ”Marshal fece una mossa con il cavallo
“Come al solito, è sempre un po’ incazzato, tra il lavoro e la vecchiaia lo posso capire, ma tutto sommato bene.
A lei come va? ”Rispose Paul alla mossa del professore
“Abbastanza bene”
A Paul cadde la pallina che aveva tra le mani”Professore può raccoglierla per favore”
L’uomo un po’irritato si alzo e raccolse la pallina.
“Professore ha novità su questa possibile guerra? ”Domandò Paul con gli occhi fissi sulla scacchiera.
“Non più di quelle del telegiornale”
“Se dovesse scoppiare probabilmente cercherei di scappare”
Il professore rimase in un silenzio attonito, e continuò a fare le sue mosse.
Paul sembrava più a suo agio di Marshal nella scacchiera, era molto più rapido.
“Professore, la pallina”
Frederick si alzò nuovamente, quasi insospettito da quella insicurezza di Paul con la pallina.
“Tuo fratello come sta? ”Domandò il professore, dichiarando lo scacco.
“Piuttosto bene, il prossimo anno dovrebbe andare a fare economia e commercio alla Shelry”Rispose Paul sacrificando una torre per salvare la partita.
“Shelry, è un ottima scuola, fagli i miei complimenti. ”
Paul sorrise”Non direi ottima professore, la definirei mediocre, soprattutto per un ragazzo intelligente come William. ”
Paul alzò lo sguardo su Frederick, con aria innervosita, ma il professore continuò a fissare la scacchiera.
Qualche minuto di silenzio.
“Professore, ha la pallina sotto la sedia”
Il professore, che meditava una mossa, si rialzò, poggio bruscamente la pallina dentro al cassetto
“Gradirei finire questa partita in pace
“Ti accontento”Sorrise Paul”Scacco matto”Incastrando il suo re tra l’alfiere e la regina. ”
“Complimenti, i patti sono patti, non ti disturberò più”L’uomo si alzò lentamente, con occhi delusi, si diresse verso la porta arrancando come se stesso aspettando qualche parola di Paul
“Professore”Disse Paul.
“Si che c’è ? ”Domandò l’uomo
Paul gli tirò la pallina”Buona giornata”
Attraversò l’ospedale lentamente, immerso nei ricordi, davanti a lui la strada che sembrava farsi sempre più buia e desolata in quel quartiere di periferia.
Delle urla da una finestra attirarono la sua attenzione, qualche rumore di un piatto infranto, ”le solite nauseanti litigate in famiglia”Pensò Paul.
Quella via aveva un qualcosa di familiare per Paul, si ricorda ancora quella notte di vent’anni prima in cui vide un fulmine colpire un vecchio proprio in mezzo alla strada.
“Si stavano muovendo delle nubi lassù, ma niente pioggia, solo qualche tuono, ma i fulmini restavano nascosti, poi quel vecchio attraversò la strada, con la sua solita camminata, sapete lo vedevo quasi ogni mattina andare verso il giornalaio;
improvvisamente booom!!! ”Lo raccontava quasi ogni anno e tutti rimanevano sconcertati, si sa erano le soli cazzate di quartiere e per un decennio con quella Paul aveva acquisito una certa fama.
“Io gli ero a dieci metri, e per terra se ne creò un buco di cinque, gli erano rimaste a malapena le ossa”Arrivati a questo punto qualcuno dubitava sempre della sua storia, ma lui se ne fregava.
Alla sua destra un campetto da calcio, ormai abbandonato, con l’erba alta mezzo metro, la ruggine e la muffa avevano mangiato il bianco dei pali, sembrava più una acquitrino che un campo da calcio.
Li gli apparvero i ricordi dell’infanzia, andava spesso a giocare con suo padre Benjamin e suo fratello William.
In mente ancora un incubo.
Eravamo a Troney un quartiere un po' malandato, di piccoli spacciatori di colore, e qualche mafioso italiano.
Non andavamo spesso li, non perché fosse pericoloso, ma non conoscevamo nessuno, e insomma non volevamo avere problemi.
Quel giorno non so neanche perché ci trovassimo li”Andiamo in quel market”Disse William
Era si un siciliano, grasso con dei lunghi baffi, bretelle sudate, aspetto rude.
Il market era modesto, ma aveva tutto ciò che ci occorreva, e in più i prezzi erano molto bassi.
Comprammo qualche da dolce da sgranocchiare per il ritorno a casa, e del latte.
Avevo appena messo dentro la busta il latte quando sentimmo lo sbattere violento della porta.
“Testa di casso svuota la cassa e mettila dentro questa busta, muoviti! ”
Era una rapina, qualche piccolo delinquente sotto i vent’anni voleva fare un po’ di spiccioli.
William non era impaurito, e tutto sommato non lo ero neanche io.
D'altronde era risaputo che in quella zona si effettuavano rapine ogni giorno, soprattutto nel tardo pomeriggio, e se non ricordo male erano le 18.
“Sbrigati! ”Urlo il rapinatore, coperto dal passa montagna, afferrando la gola del siciliano con la destra, mentre con la sinistre teneva la pistola.
Ci affacciammo a vedere, cercando di restare nell’ombra.
“è una pistola giocattolo si vedrebbe anche da un miglio”
“meglio per noi”
“meglio anche per l’italiano”
“ vuoi fare l’eroe? ”
“Non c’è bisogno di un eroe per stendere quello, sarà 1. 60 m per 50 kg, ed ho anche il vantaggio della sorpresa. ”
“Se fossi in te non rischierei, non si mai. E comunque mica siamo noi quelle che vengono derubati”
“Cazzo Paul, non penso che ti faranno santo”
“Dammi ascolto”
”Vabbene, speriamo solo che non ammazzi il cassiere”
Mi tranquillizzai, ma proprio in quel momento gli si presentò la sfortuna più grande che ci potesse capitare.
Un vecchio, mezzo sordo mezzo cieco non si era accorto di nulla, continuava a fare la spesa con passo da lumaca;appena ci accorgemmo di lui era troppo tardi, una bottiglia di vetro per terra, un frastuono che attirò il rapinatore, venne verso di noi terrorizzato, mentre la musica del market copriva almeno in parte in passi del vecchio.
“Uscite tutti! Tutti fuori o faccio una strage! Cazzo muovetevi! ”
L’anziano, pur essendo scarso d’udito, udì le urla del ragazzo, e uscì allo scoperto.
Tremava, e guardandolo mi ricordava uno di quei vecchi ebrei che si vedevano nei film sul nazismo.
Arrancava verso il criminale, fissando il vuoto, mentre noi, non ricordo se per paura o per pigrizia restammo nascosti lì.
D’improvviso si aprì la porta del negozio.
Uno sparo, l’uomo che aveva appena varcato la porta non fece in tempo ad accorgersi della situazione che si ritrovo morto.
Rimanemmo scioccati”Pistola giocattolo, cazzate! ” Pensai, impaurito come mai lo ero stato prima.
Mio fratello, immobile, con gli occhi lucidi, osservava da un pertugio il corpo inerme dell’uomo.
Il vecchio cadde per la paura, mentre dalla porta si fece avanti una altro uomo coperto dal passamontagna.
Sembrava esserci una netta differenza d’età tra i due rapinatori, l’entrante sembrava molto più vecchio, dalla voce e dalla disinvoltura dei suoi movimenti.
L’altro rapinatore sudava e tremava visibilmente, la paura gli congelava il sangue.
“Andiamocene, che cazzo c’è ne frega di questi due spiccioli”
“Non vorrai mica lasciare testimoni”
”Ma non hanno visto il nostro volto”
“Tu dici”Sia avvicinò all’anziano”Vecchio sai com’è la mia faccia? ”
Il vecchio si mosse di qualche centimetro all’indietro, e con occhi bassi”No, assolutamente no”
“Non penso che tu stia dicendo la verità”
Il criminale sparò alla gamba del vecchio.
Intanto ci accorgemmo che fuori era buio e che non vi era più nessuno sulle strade, anche se ancora non mi capacito da come sia possibile che non nessuno si fosse accorto della rapina.
Il cartello del market era stato voltato, ed erano state chiuse delle tendine ed alcune luci, di certo non erano geni, ma non stupidi fino a quel punto.
I secondi trascorrevano come macigni sulla pelle, avevo il terrore anche nel guardare le loro ombre.
Intanto vedemmo il sangue del vecchio scivolare fino a noi.
Scorreva lento, copriva le levigature del pavimento con il suo rosso scuro.
“Vai a buttare il morto li dietro”
Il più giovane prese per le gambe il cadavere e cominciò a trascinarlo.
I passi ci misero in guardia e ci ritirammo nel reparto dietro al nostro.
Il corpo fu buttato insieme ai surgelati, andatosene il rapinatore, passammo celermente di lì, e gli buttai uno sguardo.
Aveva su vent’ anni, occhi azzurri aperti, e le gote sporche di sangue mentre divenivano sempre più bianche per la brina.
Aveva la faccia da bravo ragazzo, non sembrava di quel quartiere, era vestito bene, forse era un riccone del Rufery capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Per alcuni non esiste la sfortuna, ma vedendo quella scena chiunque ci avrebbe creduto.
Inesorabilmente arrivò il turno del proprietario, ”Ammazzalo! ”Gridava, il rapinatore più esperto.
Chiuse gli occhi, e cominciò a premere leggermente quel grilletto, mentre di fronte vi era quel sessantenne, disperato e levigato dalle lacrime, gli avrebbe baciato i piedi per salvarsi, chissà cosa ne avrebbe pensato i suoi compaesani.
“Al tre”
“Uno, due,... ”
La fortuna non volse le spalle all’italiano almeno per una volta, il vecchio a terra stramazzante aveva trovato la forza di prendere un taglierino che gli si trovava vicino, lo lanciò contro la mano del ragazzo;una striscia di sangue si spruzzò sul viso del fortunato.
Capimmo che non avessimo agito in quel momento non ci sarebbe più stata un occasione per quei due.
William si scaraventò contro il rapinatore ancora armato, tentando di pugnalarlo, con il suo coltellino;l’uomo tento di estrarre la pistola ma questa venne scaraventata via dalla furia di mio fratello.
Io intanto colpii l’altro, ancora scosso per lo squarcio, gli diedi un destro, si accovaccio, e con un calcio lo scaraventai contro una decina di detersivi, che si riversarono sul suo setto nasale distrutto.
Mi voltai, mio fratello stava premendo la lama sulla gola dell’uomo, che si manteneva in vita grazie alle sue mani sui polsi dell’avversario, sembrava che William stesse per lacerargli la carotide, ma in un batter d’occhio l’uomo lo colpii sul viso, e strappandogli il coltello dalle mani lo trafisse nell’addome.
Alcuni pensano che si resti immobili in qui momenti, ma io neanche capii bene stesse accadendo, tanto sta colpii alle spalle l’uomo, con ancora in mano il coltello insanguinato, e afferrando l’arma lo trafissi più volte sulla gola, il sangue schizzava dovunque ed io in un misto tra riso isterico e pianto mi accasciai a terra.
Vicino a me, tra la cupezza e il terrore di quelle immagini mi accorsi che l’ultimo malfattore si stava rialzando.
Come un boia per il colpo di grazia mi avvicinai a lui, a passi lenti, gli diedi un calcio nel ventre, mi misi sopra di lui e gli sfigurai il volto.
Gli feci dei tagli sulle gote, gli lacerai completamente il naso e le orecchio, e gli lasciai trafitto il coltello nell’occhio sinistro, in quel momento mi sembrò più giusto questo che un morte rapida.
In quel attimo a malapena riuscivo a concepire cos’era accaduto, e mi dannavo, mi dannavo con il mondo, perché quella rapina da due soldi era degenerata in un dramma? Perché volevano uccidere senza scopo? Perché era successo proprio a mio fratello”
Non ragionavo vedevo dei morti, udivo delle urla e percepivo odio, anche contro chi non c’entrava niente.
Udii provenire da lontano sirene della polizia, aspettai qualche secondo dopodiché decisi di alzarmi e scappare alla velocità che il mio ginocchio mi permetteva.
Mi sentivo un ricercato, d'altronde anch' io ero divenuto un assassino, forse per una causa giusta, ma chi può dirlo.
La strada diveniva sempre più desolata, qualche scroscio di pioggia accompagno la mia fuga, solo qualche auto che sfrecciava, per il resto serrande chiuse e un malinconico silenzio.
Trovai un parco, mi buttai sulla prima panchina, nella disperazione del pianto vidi passare velocemente qualche auto della polizia, chissà se mi stavano cercando.
Li ero abbastanza nascosto, di fronte a me una leggera discesa d’erba, piuttosto ampia, il parco di Perrikton era sempre stato definito ammirabile, sempre così pulito e splendente. Di mattina riaffioravano bambini saltellanti, e qualche pensionato leggere il suo libro, ogni tanto si vedeva qualche giovane con la ragazza in un pic-nic, o magari in una partita di calcio, comunque sembravano essere tutti felici, un ecosistema perfetto.
Da quella perfezione dei sentimenti, in un mistico incrocio di specie, di notte diveniva un ritrovo di barboni e drogati.
Li vedevo li illuminati da un piccolo lampione, di fronte a me, si stavano facendo di cocaina o qualche anfetamina, sinceramente poco mi importava, io li osservavo senza timore, pensando a mio fratello.
Da lontano non si vedevano, non si vedevano quelle espressioni che io e William definivamo comiche.
Erano l’espressioni del volte quando si bucavano, spalancavano gli occhi e la bocca, il viso gli si riempiva di smorfie, non si capivo se soffrissero o se provassero piacere.
Mi capitava piuttosto spesso di vedere quel tipo di persone, andavo in giro tra quei quartieri definiti malfamati, non so bene perché lo facessi, forse mi avevano spinto tutti i film gangster che avevo visto.
La malavita aveva sempre un certo fascino non che volessi divenire uno spacciatore, ma quei mafiosi italiani li avevi sempre stimati.
Nel impasto di lingue che mi circondavano il siciliano era la mia preferita, forse per quel accento marcato, ma in quel momento pensando a quella lingua mi riaffiorava in mente un pozzo di sangue.
Cosa accadesse nella morte nessuno poteva affermarlo con certezza, mi tediavano i religiosi troppo presuntuosi, non vedevano oltre la religione, non prendevano neanche in considerazione altre idee, loro mi consideravano blasfemo a fare questi discorsi, ma per me erano loro gli eretici.
La morte la definiscono liberazione, ma io non seppi definirla bene, fatto sta che in poche ore la sofferenza si trasformò in rassegnazione.
Passarono una decina di minuti ed io non mi ero messo neanche di un centimetro dalla mia panchina, e il mio sguardo era fisso verso quelle persone, non era mia intenzione, ma si trovavano di fronte non potevo far altro che guardarli.
Si avvicinarono, era un gruppo abbastanza folto, nove forse dieci, tutti drogati con la bava alla bocca con lo scopo di malmenarmi e cacciarmi dal loro parco.
“Tu, e da parecchi minuti che ci rompi il cazzo, ti do un consiglio vai via da qui”Un tizio, barba grigia, sui quaranta, era l’unico li in mezzo vestito decentemente, e dai suoi occhi avvizziti mi sembrava un manager fallito, drogato e probabilmente anche alcolizzato.
Restai seduto, li avevo tutti intorno, come ratti famelici mi avevano circondato, ed io ero la loro preda.
“non penso tu sia capace di dare ordini, e poi il parco e pubblico, e se voi siete di fronte a me non è colpa mia”Risposi
“Allora non hai capito, non sto scherzando, se non te vai subito brutto finocchio del cazzo, noi ti caviamo gli occhi e ti fottiamo il cervello”Disse l’uomo, afferrandomi la maglia sporca di sangue.
Lo vidi bene nei suoi occhi, era in procinto di colpirmi con un pugno, uno di quei pugni che ti rompe la mascella, o che ti frantuma il naso.
Aspettai con aria spavalda, da quello che mi ricordo non mi fece poi cosi male.
Sentii il mio corpo cadere all’indietro, crollai dalla panchina sputando del sangue, avevo gli occhi da pazzo, in quel momento era un feticista forsennato.
Non riflettei molto, non che questa sia una scusante, ma ci tenevo a dirlo, fatto sta che non appena mi voltarono le spalle, il mio aggressore si ritrovò un pugnale conficcato dietro la schiena.
La cosa che mi fa ancora terrore la freddezza con cui lo ammazzai, forse quella insensata sofferenza mi aveva provocato una collera da assassino.
Non mi sentii in colpa, ansi pensai quasi di aver fatto un favore alla società, ma non pensai al fatto che quel drogato potesse avere una famiglia, o che fosse diventato tale per qualche scherzo del destino, sinceramente poco me ne importava.
Sentii i primi tre colpi, uno sotto la mascella, uno sulla guancia e uno sullo stomaco, dopodiché caddi e al primo calcio svenni.
Buio pesto, una vago ricordo, qualche immagine di mio fratello per il resto storie di vita.
Paul tornò con la mente al presente, era arrivato a casa, non so dire se era contento di esserlo, ma le sue espressioni erano sempre un po’ malinconiche.
Un fruscio, un taxi a bassa velocità, e poi il vuoto, il cadere delle foglie, altalene vuote, qualche giornale a terra, sigarette pestate, e una fitta nebbia, questa era l’atmosfera tipica di quel quartiere.
Non era un quartiere pericoloso certo, ma li sembrava dominare la monotonia della vita.
Li vi erano tutti cittadini dallo stipendio mediocre, e dall’auto consumata;erano fedeli alla patria, ma non lo davano a vedere, tutti avevano qualche sogno ma l’avevo riposto da tempo nel cassetto, chiuso a chiave, con la chiave buttata nella vita familiare e nel dramma quotidiano.
C’era Robert, un pescatore dalle braccia forti e dalla mente debole;c’era Mark, un ex giocatore di golf, un fallito obeso, che se ne stava seduto sul suo scadente divano a rimpiangere il suo swing;vi era anche Eddie, scrittore fallito, si sentiva Joyce, ma non aveva completato neanche un libro, viveva facendo lo spazzino, e per lui non vi era niente di più patetico , e più passava il tempo e più rimaneva solo nelle sue letture.
Alcune volte passavo davanti la sua casa e lo vedevo seduto sul suo giardinetto con gli occhi incavati a pensare a chissà cosa.
Una casa modesta, un giardinetto, un canestro, un garage, insomma niente di particolare.
Paul l’aveva comprata con quei sudati risparmi del padre, e con i suoi primi dieci anni di lavoro.
Un Labrador lo accolse alla porta, pelo chiaro, vecchio ma stupendo, si chiamava Jack, non era un nome da cane, ma quando lo prese aveva appena visto “shining” e gli venne in mente quel nome.
“Wendy sono tornato a casa! ”Alcune volte si divertiva a dirlo, digrignando i denti, per alleggerire un po’ la fatica della giornata, mentre la moglie rideva forzatamente.
Le luci erano accese, il lento sibilo del vento attraverso la quercia dietro di Paul, facendo cadere qualche foglia.
Paul entro sbattendo la porta, mentre sua moglie finiva di sistemare la tovaglia ancora sporca di sugo.
“Come è andata oggi al lavoro? ”Domando una donna sui quaranta, con gli occhi cavi e una bellezza svanita.
“Bene, come al solito”Rispose con voce bassa Paul
“Hai la maglia tutta sporca, perché non la poggi cosi posso dargli una ripulita”Disse Jane afferrando un l’indice e il pollice una piega della maglia.
Paul spostò la mano della maglia scorbuticamente, si lasciò cadere sul divano, poco dopo si alzo e si sedette su una sedia, aspettando la cena.
Dalla camera usciva un ragazzo, alto, magrissimo e abbastanza pallido, era Micheal, il figlio unico di Paul.
I suoi diciotto anni erano trascorsi tra giornate noiose a scuole, e tra bar e strade, a bere, a fumare e a “bucarsi”.
Micheal aveva avuto a quattordici anni le prime esperienza con le droghe, Paul ancora si dispera di quella volta che gli trovò della marijuana nascosta su un doppio fondo del cassetto, lo punii, e gli diede anche una punizione rigida, ma non bastò.
Trascorse un po’ di tempo, forse per le cattive compagnie, forse per riprendersi dalle bocciature e dalle umiliazioni che riceveva a scuola, cominciò a provare cose più pesanti.
Non si sapeva dove trovasse i soldi, fatto sta che entro nel giro e in breve tempo ne divenne succube.
Quando i genitori se ne accorsero era gia divenuto un cocainomane, fu gettato in una clinica, tra le disperazione dei suoi,
fu lasciato li per qualche tempo, Paul ripensandoci si pente di averlo fatto, gli avevano solo distrutto il cervello con i farmaci.
Era come un orologio che aveva smesso di battere le lancette troppo presto, e questo Paul lo sapeva.
Tento e ritento, ma nonostante fosse tornato a vivere, i rapporti tra loro rimasero gli stessi.
Si sedettero a tavola Micheal e la madre, mentre Paul si alzo dal divano e andò al bagno.
Si trattene a guardare il suo riflesso nello specchio per qualche minuto, lo faceva ogni giorno, e giorno si deperiva sempre di più.
La soglia della vecchiaia si avvicinava sempre più, e le sue rughe diveniva sempre più profonde, i capelli passavano pian piano dal grigio al bianco, e una sorta di malinconia serpeggiava tutto il volto, quello che vedeva era un fallito.
Ingrigito dalle stancante giornate si sedette, sua moglie gli mise sul piatto del pollo e qualche verdura.
Lui li guardò, come se non avesse mangiato altro in vita sua, fece qualche morso, poi abbandonò qualche rimanenza nel piatto.
“Non lo mangi quello? ”
”No non mi va”
“Potevi dirlo prima, mi sembra un tale spreco e …”Disse lei
“No, non voglio sentire niente oggi, per grazia di Dio stai zitta”Ribatté il marito
Micheal fini di mangiare rapidamente ciò che aveva nel piatto, e si ritirò in camera, forse tediato dalle innumerevoli liti dei genitori.
“Oggi ha preso 8 a storia”disse la donna
“Bene, almeno non verrà bocciato quest’ anno”disse Paul
“Sta facendo grossi miglioramenti”
“Si”
“Potresti sembrare almeno più interessato”
“Non fare i soliti discorsi da moralista”Paul ribatté, bevendo velocemente la birra residua del bicchiere, si alzò e si mosse verso le scale.
“Si fermo davanti al primo gradino voltandosi”Potevamo fare di meglio”
“Cosa? ”Domandò la moglie
“Dico solo che potevamo fare di meglio”
“Riguardo cosa? ”
“La vita”
Jane rimase in silenzio fissando gli occhi azzurri di Paul.
“Potevamo fare delle università, magari io sarei divenuto il più grande ingegnere al mondo
, e tu saresti potuta divenire il Caravaggio del ventesimo secolo. ”
“Non esagerare”
“Che ci costa sognare”
“Già”
Il plenilunio accompagnava quella notte autunnale, si vedevano ovunque foglie e giornali volteggianti, in strada barboni allungati su panchine, con la puzza di alcol addosso.
I ricconi di Shevery, li definivano animali, ma erano loro gli animali.
Potevano avere delle famiglie, essere dei laureati in medicina senza lavoro, ma quando li vedevo non potevo far altro che pensare a quel giorno.
Si vedevano per le strade le ombre, quelle ombre che coprivano noi di periferia, le ombre di Finney, Stork, Lester e altre ancora.
Paul si mise nel freddo letto, accese un piccola luce a lesse fino alle 3.
Se si trattasse di avventure fantastiche, gialli, o romanzi d’amore, per lui faceva poca differenza, gli bastava distrarsi per qualche ora.
Qualche volta sostituiva il libri con i film, ma era sempre propenso all’esagerazione.
Poteva passare la notte attaccato alla televisione, ogni mezz’ora una tazza di caffè lo destava, e continuava fino all’alba.
Ogni tanto Paul per ricordarsi del fratello andava al cimitero, e poggiava una lettera sopra la lapide, ”meglio così , che fare la figura dell’idiota a parlare con i morti”Diceva, dopo qualche birra.
Non voglio iniziare dicendoti”Caro William”o qualsiasi altra cazzata, anche perché so che tu non le apprezzeresti.
Qui tra i vivi sono accadute tante cose, poco la tua morte è scoppiata una guerra e adesso ci solo film per ricordare quel massacro.
“Massacro”ti dico così solo per sentito dire, sai Randy, Boe, Stuart sono tutti morti li, e insieme a loro molti altri;ma io sono stato troppo vigliacco e sono scappato, in compenso ho visitato gran parte dell’america del sud a piedi.
Tuttavia il dolore non mi ha mai completamente abbandonato, anche con Jane e Micheal non mi sono mai comportato come un santo.
Quest’ultimo è migliorato molto dall’ultima volta che te ne ho parlato, a scuola, a casa e in giro.
Sai vederlo imbottito di farmaci a quell’età e qualcosa che non si dimentica.
Penso che tu lassù sia sempre un giovane del cazzo, mentre io vedo le mie rughe moltiplicarsi inesorabilmente.
Lassù il cielo dovrebbe essere magnifico, chissà quanti jet privati di fottutissimi ricconi puoi vedere, scommetto che fai di tutto per farli precipitare.
Da pochi giorni ho avuto una promozione, qualcosa è migliorato, sai sono anche andato a casa di Jim e di Andy e ho scoperto che bisogna continuare a vivere anche a quest’età.
Ricordando i nostri bei momenti ieri notte ho dato qualche calcio al pallone, non so se puoi sentirmi comunque a risentirci.
Paul 7 William 0 5 Maggio 1965
Passarono i giorni, passarono le settimane, fino a quando non arrivo il venerdì di fine Gennaio.
In strada vi potevano essere al massimo 0 gradi, la collina era imbiancata per la nevicata che vi era stata martedì notte, una di quelle che ti lascia senza fiato.
Per due giorni non si poté guidare l’auto, gli spazzaneve tardavano ad arrivare, ed era tutto ghiaccio, la neve era divenuta alta quaranta centimetri, il sole giaceva dietro le montagne del Syrey.
Mercoledì, un pazzo di Troney si buttò con un bob sul ciglio sopra la Ivory street, miracolosamente non si ammazzo, ma si ruppe le gambe, qualche costola e tutti i denti.
La fabbrica dava i suoi ultimi rumori della giornata, un uomo di bassa statura si avvicinò a Paul.
“Ho sentito del tuo aumento, mi fa piacere”Disse un operaio, che era al suo fianco, disponendo una colla su una suola difettata.
”Grazie Jim, era da trent’ anni che l’aspettavo”Rispose con un manto di grinze sul viso, e quelle stesse guance gli formavano solchi di un uomo vissuto, ma con una soddisfazione in più.
“Domani noi della fabbrica ci ritroviamo al bar di Rupert, ci vieni anche tu? ”
”Si”
Paul afferrò il suo vecchio giubbotto e se ne andò.
“Ciao Jim, a domani ”
“Ciao Paul”
Dal pianto nella sua auto ripensò a ciò che aveva visto pochi minuti prima.
Aveva attraversato per la Sembry street, a differenza del solito, e nella sua marcia davanti a se su un vecchio campo di basket vide dei ragazzi bucarsi, e li in mezzo vi era anche suo figlio, con gli occhi deprimenti, vuoto, cavo nel fisico e nel cervello.
Paul arrivo a casa sfiorando i 140, e li si rinchiuse nella sua cella d’isolamento con quattro ruote.
Aspetto 15, forse 20 minuti dopodiché sputo in faccia al futuro e se andò via con una corda in mezzo al collo.
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