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Deimos
Qui di seguito riporto quanto resta della nota rinvenuta nell’appartamento del dottor Lester Finnies, scritta di suo pugno nella notte che ha preceduto il ritrovamento del suo cadavere nel canale asciutto che fiancheggia Bakery Street. Laddove la scrittura si faceva troppo confusa per essere decifrata ho lasciato delle sospensioni, di fatto riducendo la parte conclusiva ad una sequela di parole slegate fra loro. Prego coloro che dovessero leggere questo documento di fermarsi laddove incontrassero motivi di particolare irrequietezza o tensione, poiché certe cose dovrebbero restare occulte ai più e non hanno nulla in comune con le storie di fantasia che si leggono su certe riviste di cattivo gusto. Ciò che segue è pura verità, certificata e documentata nell’archivio del dipartimento di polizia di Preston, Missouri.
15 Marzo 1937, ore 23. 19
Quanto ho veduto questa mattina è lo spettacolo più raccapricciante che si possa immaginare. Che dico, nessuno potrebbe mai partorire dalla sola fantasia un simile scenario di morte e disgusto, nessuno che non sia del tutto folle o che non appartenga a quella schiera di artisti che amano il macabro al punto da diventarne profeti.
È accaduto quando, come ogni mattina, mi sono recato al lavoro presso il Pinevalley Hospital, l’istituto di igiene mentale che dirigo da oltre trenta anni. Il rigoglioso giardino che circonda l’edificio era ingombro di poliziotti e giornalisti, tanto che ho dovuto accostare l’auto all’ingresso e farmi largo a spallate per raggiungere l’entrata dell’ospedale. Le sirene spente diffondevano in silenzio la loro luce rossa e blu, silenzio solo relativo a fronte del trambusto causato dalla ressa di cronisti e fotografi che gli agenti respingevano a fatica.
Mostrando il mio tesserino e presentandomi, sono entrato ancora all’oscuro di tutto, temendo solo che qualche paziente fosse riuscito a suicidarsi. Ce n’erano molti con tendenze suicide, perciò non era da escludere un’eventualità del genere. Tuttavia, il coinvolgimento di agenti e l’attenzione destata nella stampa erano troppo vasti per essere stati scatenati dal suicidio di un pazzo. Pochi passi all’interno dell’edificio sono stati più che sufficienti per intendere all’istante le ragioni di quella mobilitazione.
Il Pinevalley era diventato un inferno di sangue.
Un’unica tinta scarlatta colorava pareti, porte, sedie e finestre. Da quest’ultime penetrava una luce che a sua volta si tingeva di rosso e faceva brillare e risplendere quell’orrore conferendogli persino un fascino. Muovermi lì dentro, dove fino al giorno prima avevo posato i piedi così come si posano nella propria casa, era divenuto un cammino di sofferenza e ribrezzo attraverso un girone dantesco, laddove gli agenti che mi sfioravano parevano anime dannate ed ogni stanza ospitava un esempio di punizione divina.
Cadaveri. Ovunque cadaveri. Pazienti, infermieri e medici, tutti uniti in una morte violenta e priva di pietà. Circa cento, tra ospiti e lavoranti, tutti morti assassinati da una mano brutale, sempre che di mano si possa parlare. Una torma di lupi affamati e feroci avrebbe avuto maggior rispetto delle proprie vittime e reso meno raccapricciante quanto io ero costretto a vedere. Brani di carne umana erano sparsi ovunque sul pavimento e persino delle ossa giacevano isolate dal corpo a cui erano appartenute.
Quale orrore si era abbattuto nella notte al Pinevalley?
Che sia o meno una risposta sensata, io l’ho trovata al terzo piano della clinica, dove un mucchietto di agenti impauriti e sbiancati stava di guardia alla porta di una delle stanze. Uno di loro mi ha fatto avvicinare ed è parso sollevato della mia presenza.
“Lei è il dottor Finnies? ” mi ha chiesto con la voce ovattata dal fazzoletto che si premeva sul naso. Ho annuito, incapace di aprir bocca senza vomitare. A quel piano la carneficina era peggiore che altrove. “Aspettavamo lei per sapere cosa farne? ”
Non ho capito, all’inizio, poi ho visto la cella aperta e candida come se l’uragano di sangue non fosse passato di lì. L’unico paziente ancora vivo sedeva sul bordo del letto e fissava con occhi in apparenza vacui gli agenti. Scoprire chi fosse non mi ha rallegrato, giacché era l’unico paziente che avrei preferito vedere morto. Mi è bastato fissarlo negli occhi per un istante per capire che era lui il responsabile di tutto, lui la bestia che aveva dilaniato tanti corpi. Ho ordinato subito che venisse trasferito al manicomio criminale di Belleveu, dove avrebbe dovuto trovarsi da tempo.
Si tratta di Caleb MacAllister, giunto alla mia clinica dopo un tentato omicidio. Ho più volte chiesto che venisse trasferito a Belleveu, dove sono attrezzati per certi casi, ma le mie richieste sono rimaste inascoltate. MacAllister diceva di chiamarsi Deimos e di essere un mietitore, inviato da un dio sconosciuto per raccogliere il maggior numero possibile di anime delle quali nutrirsi. Non è un comportamento insolito per persone disturbate, ma in lui avevo sempre letto una profonda convinzione e, soprattutto, una disarmante lucidità.
Sono ancora scosso e non riesco a prendere sonno, per questo scrivo. Proprio in questo momento, MacAllister dovrebbe trovarsi su di un furgone della polizia, diretto al manicomio criminale. Saperlo in strada, pressoché libero, mi inquieta molto. Quando l’ho guardato negli occhi, stamattina, sono stato certo che stesse per balzarmi addosso per uccidermi come aveva fatto con gli altri e credo che se ne avesse la possibilità verrebbe a cercarmi per farlo.
…Sono ancora sveglio, ho sprangato la porta ed ho controllato tre volte che le finestre fossero tutte chiuse… Tremo, sto sudando freddo e il cuore mi batte forte, troppo… Non faccio che voltarmi aspettando di vederlo e ne sento il respiro sul collo… Ho paura, ho paura, ho paura… è qui, lui è qui…Deimos, il mietitore…
Qui termina la nota, o quantomeno ciò che è possibile comprendere. Ne sono lieto, eppure vorrei sapere cosa è accaduto dopo. Il mattino seguente è stato ritrovato il cadavere del dottore ma intanto, nella notte, Caleb MacAllister aveva ucciso gli agenti incaricati del suo trasporto ed era fuggito. Possibile che fosse andato davvero da Finnies per completare l’opera? E quella storia del mietitore, come mai il dottore l’ha citata alla fine della nota? Io, come lui, sono un uomo razionale e non credo a niente che non sia terreno e materiale, ma se lui ha cambiato idea in punto di morte forse dovrei farlo anch’io.
Come lui, in effetti, ho paura. Ho paura che quel pazzo, divino o meno, venga a cercare anche me. In fondo, anch’io l’ho guardato negli occhi.
Detective Raymond Hanslin,
Preston, Missouri, 16 Marzo 1937, ore 23. 19
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