racconti » Riflessioni » La finestra
La finestra
Pensaci. Se qualcuno ti dicesse che potrebbe curarti, che basta una semplice pasticca per guarire il tuo male, tu accetteresti? No, certo che non lo faresti. Sei così miserabile che anziché vedere il mondo sotto una nuova luce preferisci le giornate uggiose. Fanculo, pensi. Sto bene così, perché mai dovrei guarire? Guarire da cosa poi? Io… sì, sto male. Ma sto bene così, vivo nella mia miseria. Così passo le giornate, a compiacermi della mia finta salute e a salutare il mondo dalla finestra. Di tanto in tanto apro il mobiletto e mi verso qualcosa da bere. Osservo, questo faccio. Penso, penso che le cose potrebbero cambiare, prendere una piega diversa se solo non fossi malato. Ma lo sono! Dannazione se lo so. Cosa ci posso fare? “Fatti curare” mi dice una voce, ma non ho voglia di ascoltarla. Cosa ne può sapere di me, del mio essere? Niente, anche se la voce che mi parla è la mia voce. Pazienza, le cose potrebbero andare diversamente. Il mondo funziona così, funziona che ti devi adattare. Altrimenti affanculo tutto e tutti. Ti ritrovi riverso in un mare di saliva, in un mare fatto con gli sputi delle persone. Il mondo è bello perché è vario, fanculo. Io non vedo niente, solo povertà e falsa speranza. Con questo non voglio dire che domani sia la fine del mondo. Ci vorrebbe una scossa (sì, di terremoto) per svegliare tutti questi mentecatti. Un povero che dice ad un altro povero che è povero. Povero me.
Non ho la forza. Forse ho grande immaginazione. Credo che le cose potrebbero cambiare, qui seduto alla mia finestra a bere del vino. Ecco che gli ultimi risparmi vanno via. Guardo il libro che è sul tavolo. Penso che vorrei averlo scritto io. Così funzionano le cose. Pensi e lì finisce tutto. Solo i pazzi danno vita ai loro pensieri. Peccato che i pensieri dei pazzi non siano conformi al mio pensare. Peccato. Già, peccato. Troppi peccati, troppe cose andate, lasciate scorrere. Osservo, sono un osservatore. Vedo cose che gli altri non vedono. Sono muto. Non ho parola, solo pensiero. Il pensiero è chiuso qui, in questa fottutissima camera che in molti chiamano cervello. Mi costringe a pensare, ma io non voglio. Come posso fare? Tutte queste parole che scorrono nella mente, che la mia bocca vorrebbe pronunciare. Pronunciare a chi? Non c’è nessuno che può ascoltarmi. Sono solo, seduto ad una finestra a guardare i gatti rincorrersi. Che belli gli animali, non possono mentire (eccetto per sopravvivere).
Vivere a contatto con questi infetti, che parlano e parlano senza avere un pensiero. I pazzi mettono in atto il loro frustato pensiero, gli infetti parlano al loro pensiero.
Che mondo triste, fine, virulento. Capace di essere annientato in un attimo dal volere di miliardi persone.
Ho voglia di piangere. Il pensare non mi lascia tregua.
“Esci” mi dice uno stolto dagli occhi di fuoco, “Conosci persone. Ti farà bene. ”
Ma fottiti. Vi odio tutti. MENTITORI. Miliardi di bugiardi che credono di essere altre persone. Inetti col grado di artificieri, nel senso che diventano artefici del nostro destino (pessima, sul serio era pessima questa). No. Stronzate, tutte stronzate le mie.
Sono così triste che potrei buttarmi giù dal balcone. Lancio un urlo e giù. Anzi, lo faccio senza urlo. Scavalco e mi lascio cadere sorridendo sul marciapiedi.
Sono malato. I malati pensano a suicidare. No, non è vero! I mentecatti o gli infetti direbbero che chi si suicida è una persona dalla grande forza, dalla grande volontà. TUTTE STRONZATE! Dov’è la grande volontà nel togliersi la vita? C’è forse volontà in questo? O, forse, era molto più difficile ripartire da zero, andare avanti, andare oltre? Oh, quella è volontà, non il prendere e premere un grilletto. Quella si chiama MALATTIA. Giustamente cosa mi posso aspettare dai malati se non dei malanni? No, ma loro hanno la ragione. Io, io sono un povero che pensa e che non può parlare.
Bevo dal bicchiere e guardo il paesaggio. Sono solo in questa triste casa. Niente ricordi, niente presente. Niente. Insomma, le cose hanno una loro logica che io non conosco. Quali cose? Stronzate.
Vorrei poter dire finalmente: “Eccomi! Sono io, sono libero! ”
Dirlo con il sorriso sulle labbra. E poi? Cosa rimarrebbe ai miei occhi? Finirei per essere uno di loro, uno dei tanti. Ho voglia di andare oltre, peccato che non ne abbia la volontà, o forza che dir si voglia.
Ecco, questo è il pensare. Uno sterile tentativo di creare l’impossibile, uno sterile tentativo di poter andare oltre. Somaro. Sono un somaro lo ammetto. Sono un bracciante senza arti. Come posso lavorare? Ho il mio pensiero, ma con questo non si vive, ci si ammala.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0