CAPITOLO UNO: LA LETTERA.
“Mia dolce Katia... scusami per non aver potuto scriverti prima. Sono stati giorni molto intensi. Abbiamo fatto un viaggio lungo e pieno di insidie per arrivare in Italia. Io e la mia compagnia ora ci troviamo in un paese di collina molto piccolo... si chiama Marzabotto. Abbiamo appena terminato l'insediamento e creato il nostro quartier generale all'interno del municipio. Il sindaco non ha opposto una grossa resistenza al nostro arrivo, così come la gente del luogo. Del resto sono persone molto semplici, a giudicare da quello che ho potuto vedere da due giorni a questa parte. Quasi tutti sono contadini o agricoltori. Le donne ed i bambini sono molto spaventati, lo leggo nei loro occhi. Non siamo stati certo discreti al nostro ingresso in paese. Quasi tutti si tengono alla larga quando ci vedono perlustrare le strade... non ti posso nascondere che la cosa mi dispiace un po'. Tu mi conosci, amore mio. Sai quanto io sia sempre stato una persona socievole con tutti. E mi piacerebbe molto sentire la storia di questo luogo dai suoi abitanti. È un paese bellissimo e vorrei che fossi qui per vederlo assieme. Pare un piccolo angolo di paradiso incontaminato. Posso sentire le melodie degli uccelli durante tutto il giorno... l'aria è pulita e ovunque ti volti puoi vedere tanti alberi e prati pieni di fiori. Mi rendo conto che noi siamo fuori contesto in una cornice del genere e credo che nessuno degli abitanti si aspettasse che il conflitto potesse arrivare sino a qui... ma si sa come vanno queste cose, purtroppo. I nemici sono dappertutto ed hanno certamente pensato che le tante colline attorno a questa zona possano essere un ottimo punto strategico... non sono certo degli stupidi. Il maggiore Reder è certo che fra i colli si nascondano parecchi combattenti dell'armata Stella Rossa, che ha dato parecchi problemi alle armate fasciste ultimamente. Abbiamo avuto precisi di rastrellare accuratamente il territorio e catturare quanti più prigionieri ci sarà possibile. Parlando con alcuni commilitoni ho sentito che questo posto è già stato teatro di scontri cruenti fra le forze partigiane ed i soldati del Duce l'anno scorso e quello prima. Ci sono state vittime fra i civili a causa delle sparatorie in paese. I partigiani dicono di voler proteggere e liberare la loro gente ma invece li fanno uccidere... non riescono proprio a capire che stanno solo creando grossi problemi e che peggioreranno le cose se non deporranno le armi e non cesseranno questa folle lotta nei confronti di un sistema di governo che ha portato solo benefici. Per questo la gente ha paura. Crede che il nostro arrivo significhi ancora violenza e morte nelle loro case, ma sono certo che riusciremo ad evitare tutto questo, stavolta. Non vogliamo fare del male a nessuno e saremo noi a proteggerli dalle incursioni di quei pazzi... non riesco a trovare altro termine. Credono di combattere per un ideale ma non sanno nulla di questa guerra... vogliono solo trarne profitto. Alcuni di loro sono in gamba, devo ammetterlo ma non commetteremo l'errore di sottovalutarli. Mi sento molto ansioso di portare avanti questa operazione. Il maggiore Reder ha molta fiducia in me. Credo mi abbia preso in simpatia e non posso certo dire che la cosa non mi dispiaccia! Penso che sia un uomo in gamba... sa affrontare qualsiasi situazione con estrema decisione ed intelligenza... credo che diventerà generale a breve. Io lo spero per lui e mi piacerebbe servire ancora nelle sue fila. Ieri sera mi ha convocato privatamente per assegnarmi il controllo del centro abitato e non puoi immaginare quanto mi abbia fatto sentire orgoglioso essere ricoperto da questa responsabilità. È ovvio che cercherò di non deluderlo con tutte le mie forze. Ho già disposto quattro squadre lungo il perimetro del paese per tenere sotto controllo tutti i possibili accessi ed evitare le imboscate dei partigiani. Come vedi voglio mettere al sicuro queste persone ed evitare che paghino ancora per un conflitto che non desiderano. Una guerra non dovrebbe contaminare un luogo magnifico come questo. Credo che quando avranno capito che siamo dalla loro parte non avranno più paura ed anzi si sentiranno al sicuro. E tu come stai, tesoro? La tua famiglia è ancora preoccupata per la lo sbarco? Rassicurali, tesoro. I soldati americani e francesi non riusciranno mai ad arrivare a Berlino. La propaganda nemica sta solo cercando di seminare panico fra la popolazione tedesca e le fila del nostro esercito per indurci a commettere errori... abbiamo perso delle battaglie ultimamente, questo non lo nego, ma in fondo succede in guerra. Le nostre armate non sono mai state così forti come ora ed i dispacci che riceviamo da Berlino ci assicurano che l'attacco americano su suolo europeo è dettato soltanto dalla disperazione e sarà soffocato a giorni. Gli alleati stanno subendo forti perdite e stanno avanzando più lenti di una tartaruga. Non conoscono il territorio ed i soldati francesi che li stanno appoggiando sono ancora più sbandati di loro. Vedrai che non minacceranno mai le vite dei tuoi cari. Dì a tuo padre che può stare tranquillo e pensare a rimettersi dalla brutta tubercolosi che lo sta affliggendo. Anche dagli avamposti in Russia giungono notizie incoraggianti. Stiamo vincendo, tesoro mio e questo mi rallegra sia come soldato ma anche come uomo perchè so che quando tutto questo sarà finito potrò tornare da te e da nostro figlio. Potrò essere il papà che non ha ancora conosciuto. Mi manchi tantissimo... tutte le sere mi addormento con la tua foto fra le mani. Ho viaggiato così tanto che ora sono stanco... non mi pesa il mio dovere ma ho tanta nostalgia di casa, anche se la bellezza di questo posto allieva un poco la malinconia che sento in me. Il morale è alto comunque... se la situazione non fosse buona lo sapremmo di certo e non ti mentirei mai. Non avere paura per la mia vita, amore. Ormai sono certo che tornerò da te a breve e potremo essere una famiglia. Adesso devo salutarti ma sappi che ti porto sempre nel mio cuore. La tua presenza mi da la forza che mi spinge a continuare ed a fare del mio meglio. Ti mando un bacio con tutta la passione che ho ed una carezza sui tuoi capelli corvini... mi sembra di sentirne il profumo quando appoggio il viso sulla tua foto. Ti amo.
Per sempre tuo, Paul.
Marzabotto, venticinque settembre 1944. ”
CAPITOLO DUE: IL PAPA' DI RICCARDO.
Ventisei Settembre.
“Oggi è più umido del solito. ”
“Dici che pioverà? ”
“Molto probabile. Si sente l'odore della pioggia. ”
“Non ne posso più di stare in questo buco. Sto impazzendo. ”
“Meglio qui che fuori, Luca. Queste grotte ci hanno dato un buon riparo in questi mesi. Non è come essere a casa propria ma saremmo dei cadaveri se non ci trovassimo qui... da molto tempo. ”
“Quando sarà finita, Beppe? Quando potremo tornare a fare gli uomini e smettere di essere orsi o talpe? So che siamo tutti volontari... so che abbiamo preso la decisione di combattere di nostra volontà... lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo per aiutare i nostri soldati e per proteggere le persone a cui vogliamo bene... e non sono pentito della mia decisione. Per nulla, credimi. Andrò fino alla fine, dovunque essa sia, ma voglio essere sincero con te: non immaginavo che fosse così dura. ”
“Lo so, ragazzo, lo so... ” risponde Giuseppe accompagnando la frase con una pacca sulla spalla al ragazzo che gli confida il suo tormentato stato d'animo “Tu sei giovane e nessuno può pensare che avresti potuto accettare questa situazione come nulla fosse. Nessuno di noi può accettarla. Tutti i giorni e tutte le notti mi capita di vedere tanti di noi piangere in silenzio, nascosti in un angolo. Sono disperati... per le loro vite e per quelle dei loro cari. Ma anche perchè combattono una guerra invece di godere la loro giovinezza, di divertirsi, di innamorarsi... di programmare il loro futuro. Io ho militato nelle fila del nostro esercito due anni nella prima guerra mondiale. Ma non ho mai avuto il coraggio che avete dimostrato tutti voi ragazzi in questi mesi e che state dimostrando ancora. Il rispetto e l'amore per la patria vi ha fatto affrontare la più tragica delle rinunce e prendere una drammatica decisione... avete accantonato i vostri sogni per un orribile incubo e l'avete fatto sospinti dalla vostra voglia di libertà; io l'ho fatto soltanto perchè vi fui costretto. Non dovete vergognarvi di piangere. Nessuno di voi. E spero che tutto questo finisca presto. ”
“Le cose stanno andando bene, ultimamente. Magari mi sto illudendo, ma le ultime notizie sugli alleati sono incoraggianti... sono già quasi a Parigi. ”
“Non sappiamo se sono effettivamente vere, queste notizie. Ma anch'io voglio crederci, perchè la propaganda di Berlino sta affermando il contrario e non voglio pensare neanche lontanamente che sia la versione giusta. ”
“Il problema di stare rintanati qui è proprio questo, Beppe. Ma anch'io voglio credere che gli americani saranno i nostri salvatori... anzi, ne sono sicuro. Sono certo che è così. Lo sento”
Gli arbusti che coprono il piccolo ingresso alla grotta vengono spostate di colpo ed il rumore che provocano induce i due a spianare i fucili verso l'esterno.
“Non sparte, ragazzi! Sono io! ”
Riccardo si ferma a mani alzate davanti ai due amici ed attende che abbiano riposto le armi prima di entrare. Un ragazzino pieno di coraggio ed entusiasmo, Riccardo. Anche lui ha paura come tutti gli altri ma non si è mai rifiutato di fare la sua parte. Per lui è un compito doveroso... lo è stato da quando hanno ucciso suo padre.
Stefano non voleva scendere a compromessi... non lo aveva mai fatto in nessuna occasione e non aveva nessuna intenzione di piegarsi neanche quando gli avevano imposto la tessera del partito. Tanti suoi amici si erano rassegnati... avevano preso la tessera... dovevano farlo o avrebbero perso il lavoro. Avevano famiglia, bambini piccoli. Come potevano scegliere diversamente? Anche lui aveva moglie e figlio... anche lui avrebbe perso il lavoro se non avesse accettato questa condizione. Ma non lo fece. Non voleva dare dei vigliacchi a coloro che l'avevano fatto. Lui aveva semplicemente preso una decisione diversa... il suo cuore gli aveva urlato che era la cosa giusta da fare. Non perchè fosse più coraggioso degli altri o perchè fosse più incosciente... sapeva bene di rischiare non solo la sua vita, seguendo quel sentiero... anche la sua famiglia correva dei rischi. Era ben noto che le camicie nere adottavano strumenti di persuasione estremi verso chi non seguiva le regole... le loro regole. Molti altri erano stati picchiati per molto meno. Continuare a lavorare senza la tessera del partito non era certo una sciocchezza... e rappresentava un precedente che non poteva essere tollerato. Ma il padre di Riccardo non capiva perchè un pezzo di carta doveva avere un potere simile. Perchè i diritti dovevano essere diversi da persona a persona, solo per il fatto di essere in possesso di una iscrizione ad un partito, estorta a forza?
Non esisteva alcuna ragione anche lontanamente plausibile che potesse spiegare una cosa del genere... e non era giusto accettarla, questo era sufficiente per non rimpiangere la propria decisione.
La notizia si sparse a macchia d'olio come una vera e propria bomba... e giunse alle orecchie di chi non gradiva. Le minacce non tardarono ad arrivare... gli avvertimenti diventarono sempre più pesanti e sempre più frequenti. La tensione iniziava a salire e persino gli amici ed i compagni di lavoro si tirarono indietro e lo lasciarono solo molto presto. Qualcuno lo consigliò di piegare la testa e di prendere quella dannata tessera... ma Stefano era irremovibile... non aveva intenzione di rimangiarsi la parola.
Se l'avesse fatto, che esempio avrebbe dato a suo figlio? Che razza di padre sarebbe stato? Per il piccolo Riccardo, suo padre era meglio di Nembo kid... molto più forte e più coraggioso. Stefano non l'aveva mai deluso e non voleva farlo adesso.
Anche la moglie Giorgia era dalla sua parte. Amava il suo coraggio come amava tante altre cose del suo uomo... aveva paura di perderlo ma non per questo non lo avrebbe sorretto nella battaglia che stava conducendo. E Stefano sentiva sempre il loro calore accanto. Gli dava forza... tantissima forza. Il sorriso di suo figlio era l'energia di cui aveva bisogno... voleva continuare la lotta anche per loro. E si sorprese quando alcune persone gli dissero che lo ammiravano e che il suo coraggio poteva essere un grande esempio per chi non aveva la sua forza... ma non approvava quello che stava succedendo dappertutto.
Stefano non era interessato alla popolarità... non era per questo che stava rischiando e non era convinto di poter essere un esempio per qualcun altro al di fuori del suo ragazzo... ma una notte, qualcuno tentò di dar fuoco alla sua casa per convincerlo a tornare sui suoi passi ed a mettersi buono nel recinto, assieme al resto del gregge. Mentre era impegnato a spegnere le fiamme e ad assicurarsi che i suoi cari fossero al sicuro, gli gridarono che era l'ultimo avvertimento.
Non aveva paura per sé stesso, ovviamente... ma il comprensibile terrore negli occhi di Riccardo e Giorgia lo indussero a ragionare... non dovevano rischiare ancora. Ma forse gli uomini che lo avevano contattato potevano proteggerlo se lui avesse accettato di aiutarli.
Si sentiva come un pesce fuor d'acqua in quelle riunioni segrete, a notte fonda. In tanti gli chiedevano consigli o pareri che non era in grado di dare... e quando parlava erano in molti ad essere interessati alle sue parole. Era talmente strano da risultare incredibile anche per lui stesso.
Ma erano brave persone e come lui credevano nella libertà e volevano combattere ogni forma di prepotenza.
Non avevano intenzione di sparare e nessuno... erano convinti si potesse maggiormente far breccia nel cuore della gente comune con manifestazioni pacifiche. Potevano gridare le loro ragioni in modo nuovo.
Iniziava a piacergli quello che stava facendo... ci metteva passione, come in ogni cosa che faceva. Era emozionato la mattina della manifestazione. C'erano tante persone in piazza... tanta gente determinata che aveva occupato il suolo pubblico a Bologna contro un sistema di governo che non concedeva libertà di scelta né di parole, fra le altre cose.
Tanti li osservavano mentre sventolavano i loro rozzi striscioni ed i cartelli di protesta per le strade... alcuni li applaudivano di nascosto, altri avevano paura per loro... altri ancora pensavano che stessero sbagliando.
Dopo circa un'ora di corteo, la brutta sorpresa: quattro squadre di volontari del partito marciarono contro di loro, stringendo mazze e catene.
I loro volti lasciavano intendere chiaramente che non volevano sprecare tempo in chiacchiere. Si avventarono sulla folla ed iniziarono a picchiare come pazzi... non importava se i colpi andassero a segno su uomini o donne. Bisognava soffocare quella patetica manifestazione senza troppi fronzoli... bisognava dare l'esempio.
La gente a terra urlava e si proteggeva il corpo e la testa, mentre gli aguzzini continuavano ad infierire. In molti provarono a scappare... alcuni vi riuscirono... altri ancora restarono a terra in una pozza di sangue. Una violenza che Stefano non aveva neanche mai immaginato... le orecchie piene delle grida che arrivavano da tutte le parti... le suppliche strazianti delle vittime che si perdevano negli occhi feroci dei loro carnefici.
In mezzo a quel delirio gorgogliante, una donna incinta venne afferrata e scaraventata a terra poco lontano da lui... l'urlo della poveretta lo frustò violentemente nell'animo... decise di intervenire di istinto. Voleva cercare di dire basta a tutto questo. Con qualsiasi mezzo.
Si scagliò contro l'aggressore ed iniziò a picchiarlo... a sbattergli la testa contro una pietra del marciapiede. Smise soltanto quando non si accorse che aveva smesso di gridare... e quando tolse le mani dal suo capo e le vide impregnate di sangue, Stefano si bloccò sconvolto da quello che aveva fatto. Non sentiva più alcun urlo attorno a lui. Tutto si era zittito, come se il tempo si fosse improvvisamente fermato.
Solo il respiro affannato che faceva eco nella testa ed il cuore che batteva come le lancette di un orologio impazzito.
Un suono meccanico alle sue spalle lo riportò alla realtà: un piccolo ed allarmante suono, come un click. Poi un boato scosse l'aria.
Cadde a terra di schianto... la vista si annebbiò praticamente subito... la coscienza lo stava abbandonando e non poteva muoversi né parlare. Vide una chiazza di sangue formarsi ed ingrandirsi vicino all'orecchio... una strana sensazione di bagnato dietro la testa e tanto freddo.
E mentre l'ultimo suo pensiero triste andava a Giorgia e Riccardo sapendo che non li avrebbe più rivisti, Stefano si spense su quella piazza, assieme a tante altre persone innocenti... mentre il vento portava debolmente alle sue orecchie ormai inerti il brutale crepitare delle raffiche di mitra ed ancora le urla.
Riccardo non ha mai smesso di piangere suo padre. Avrebbe voluto abbracciarlo ancora una volta. Avrebbe voluto una tomba su cui piangerlo... ma il suo corpo non venne mai restituito alla famiglia.
Poteva pensare che fosse morto per colpa dei suoi ideali... che la colpa fosse sua. Che era soltanto una questione di tempo prima che facesse quella fine.
Ma Riccardo non avrebbe mai potuto pensare una cosa del genere del suo unico eroe. Dell'uomo che gli aveva insegnato a credere nella giustizia, nell'amicizia e nell'onestà. Lezioni che lui aveva appreso bene. Perchè voleva essere come il suo eroe un giorno.
Un eroe che quegli uomini cattivi vestiti di nero gli avevano portato via.
Rimase deluso quando gli dissero che dodici anni erano davvero troppo pochi per imbracciare un fucile e combattere... ma nessuno potè impedirgli di fare onore alla memoria di suo padre e di lottare per i suoi stessi ideali, aiutando tutti quei ragazzi che si nascondevano sulle colline vicine al suo paese e che volevano farla pagare agli uomini cattivi per tutto quello che stavano facendo.
Da molto, Riccardo ha deciso di dimostrare lo stesso coraggio del genitore portando a quei ragazzi viveri, acqua e notizie di nascosto.
Non è uno stupido... sa che sta rischiando la vita per quello che fa... sua madre vorrebbe che rinunciasse... ha paura di perdere anche lui.
Ma Riccardo ha bisogno di fare la sua parte... e tutti i partigiani si fidano di lui e gli vogliono bene. È la loro mascotte portafortuna. Un ragazzino che conosce il significato della parola valore.
Almeno tre volte la settimana, percorre chilometri in salita ed a piedi per portare sostentamento ai suoi amici. Risale le colline e si tiene al coperto da occhi indiscreti, percorrendo sentieri ripidi e poco battuti, dove basta un piede in fallo per scivolare e spezzarsi una gamba se va bene.
Tante volte lo ha fatto di notte... tante volte anche sotto la neve e la pioggia... proprio come oggi.
“Sei tutto bagnato, ragazzo mio! Ha iniziato a piovere da molto? ”
“da circa un'ora Beppe. ” risponde lui mentre si sfila lo zainetto stracolmo di viveri dalle spalle e lo porge ai due amici, che pensano a prendere una coperta ed a cercare di asciugarlo alla meglio.
“Ti prenderai una polmonite, se vai avanti così. Ormai l'estate è passata, ragazzo. ”
“Ho un buon fisico, Luca... non preoccuparti per me. ”
Il volto del ragazzo è stranamente cupo... impossibile che sfugga all'attenzione di Luca e Giuseppe.
“Ricky, ma che hai? È successo qualcosa in paese? ”
“Sono arrivati stamattina presto... sono tantissimi. ”
le parole del giovane alleato unite alla sua evidente preoccupazione vengono udite anche dagli altri occupanti di quel rifugio. Tutti giovani e tutti amici di Riccardo. Ben presto si radunano attorno al ragazzino e ne ascoltano attentamente le allarmanti parole:
“Non avevo mai visto un carro armato da vicino prima di questa mattina. Nelle foto non sembrava così grandi. La gente era terrorizzata dal rumore che faceva mentre si faceva largo in paese. Ha fatto tremare anche le mura di casa. Dietro di lui sono passate anche tante jeep... tutte piene di soldati. Poi, tanti uomini a piedi... marciavano ordinati e avevano quell'aria truce... non sembra che ci sia nessuna luce dietro quegli occhi di ghiaccio. Hanno un uniforme impeccabile e quegli elmetti che li rendono ancora più spaventosi. Nessuno capisce quello che dicono ma sappiamo che non sono gentili. Hanno circondato tutta Marzabotto e presidiano le vie principali. Ho sentito dire che ne arriveranno degli altri e che andranno nei paesi vicini. ”
“Mio Dio... i tedeschi. ”
La rivelazione di Luca induce un brivido freddo lungo la schiena di tutti mentre fuori la pioggia cade sempre più forte, come un funesto presagio di quello che accadrà.
CAPITOLO 3: L'UOMO DI DIO.
Ventisette Settembre.
Lo sguardo perso nella vastità delle colline che lo circondano. Che sono parte della sua vita dalla nascita. Un panorama difficile da descrivere a parole, come pure l’emozione che prova ogni volta che ne è spettatore. Un tripudio di colori e suoni naturali che fanno ben sperare che il regno dei cieli possa assomigliare a ciò che vede davanti a sé. Un bellissimo odore mattutino della serenità interiore che soltanto un panorama come questo può regalare. Lo dona a chiunque lo osserva senza chiedere nulla in cambio... uno spettacolo che pare quasi scaturito da un bellissimo sogno, in cui non può trovare posto nulla di lontanamente negativo. Resterebbe ore a fissarlo. Resterebbe in piedi, davanti la finestra a seguire il percorso del sole che lentamente si fa largo tra le nuvole, donando la sua luce ottimista ovunque e svegliando dolcemente tutte le creature di Dio.
È talmente rapito dall’immagine di perfezione che ha di fronte da non sentire che la tazza si sta raffreddando tra le sue mani, come pure il caffè, ormai versato da più di mezz’ora.
Avrebbe potuto studiare e diventare un notaio, come avrebbe voluto la sua famiglia. I soldi per mantenerlo agli studi non mancavano di certo. Era di famiglia ricca. Intendendo ricca, bisogna precisare che suo padre e sua madre avevano sputato sangue e sudore per raggiungere una stabilità economica non indifferente. D’altronde alzarsi tutte le mattine alle tre per lavorare la terra e restare piegati sui campi l’intera giornata non è davvero il massimo del relax. Ma i loro sforzi erano stati ripagati. Il tempo era buono, le piogge arrivavano quando dovevano e smettevano prima di causare seri danni... così, nel giro di pochi anni i raccolti erano divenuti sempre più floridi e la voce si era sparsa a macchia d’olio in tutta la regione ed anche oltre. Tutti compravano i prodotti della terra della famiglia Marchioni. Frutta e verdura erano sempre saporiti e succosi... avevano davvero un sapore unico e rispecchiavano la passione e l’impegno di chi li faceva crescere. Ben presto, il denaro arrivò... più di quanto loro stessi si aspettavano a dire il vero. Fu possibile ampliare la fattoria ed acquistare altra terra.
Sostenere il ritmo lavorativo e soddisfare la richiesta che andava crescendo giorno dopo giorno costava sempre più fatica e non sempre era possibile riuscire a sfruttare tutta la giornata appieno per dedicare a tutti i campi il tempo necessario a garantire una corretta manutenzione, se così si può definire. D’altro canto gli anni passavano ed i due genitori iniziavano a sentire il peso degli anni ed i primi acciacchi alla schiena ed alle braccia. Non potevano più farcela da soli, questo era ovvio. La passione era la medesima ma la prestanza diminuiva e costringeva ad assumere altri lavoranti. Per lo più ragazzi dei dintorni dalla muscolatura prestante ed affezionati quanto bastava alla loro terra natia ed alle loro radici per non guardarsi attorno e scoprire che esisteva un mondo oltre quei campi. Un mondo che forse avrebbe potuto fornire loro maggior divertimento e sicuramente minor fatica. Ma a loro andava bene così. In tanti presero a lavorare nei campi di Augusto Marchioni e sua moglie Antonietta.
Erano brave persone. Semplici ed ignoranti nel senso buono del termine, come del resto erano quasi tutti a quei tempi ed anche ora. Non erano avare e trattavano bene i ragazzi che lavoravano per loro e che si incurvavano sul terreno per togliere le erbacce o i parassiti alle tre del mattino quando loro non erano più in grado di farlo. Li pagavano bene e regalavano loro cesti di frutta e verdura a fine giornata da condividere con i loro genitori ed i loro fratelli più piccoli o sorelle. Forse non si può dire che li trattavano come figli ma ci andavano vicini... e non era davvero poco. Non erano in molti a riservare tanti diritti ai propri braccianti e la fama che si erano creati irritava non pochi agricoltori e signorotti che avevano come vicini e che rischiavano di perdere i loro dipendenti a causa dell’eccessiva bontà dei concorrenti, che attirava parecchio. La fatica era ugualmente molto pesante e la giornata altrettanto lunga ma il fatto di pranzare tutti assieme ed i continui ringraziamenti da parte di Augusto ed Antonietta (sempre fatti con il cuore e mai echeggianti di falsità), per il lavoro svolto, davano soddisfazione e gratificavano più del salario ed invitavano a tornare il giorno dopo con rinnovata lena.
Anche Ubaldo aveva stretto amicizia con quei ragazzi... gli piaceva che pranzassero tutti assieme e li andava a trovare al lavoro nei campi anche se il sole bruciava sulla nuca, non mancando di portar loro da bere se la mamma lo chiedeva. Gli piaceva parlare con quei giovanotti molto più che scendere in paese a giocare con gli amici di scuola... e non poteva negare a sé stesso la soddisfazione che gli regalava un rapporto del genere. Si sentiva più grande della sua età nell’intrattenere un discorso con i ragazzi più grandi. Gli dava un senso di importanza al quale non sapeva rinunciare. Ma non era solo per questo che ci stava insieme.
La verità era che quei ragazzi, poco più grandi di lui e già così responsabili e con tanta voglia di lavorare, erano degni di profondo rispetto. E lui li rispettava davvero e lo dimostrava per quanto poteva darlo a vedere un bambino di sette anni.
Restava ore ad ascoltare i loro aneddoti o gli episodi, anche banali, delle loro vite. Nessuno era mai uguale all’altro... forse qualche volta quando si parlava delle feste e sagre di paese alle quali partecipavano immancabilmente tutti quanti... a parte questo, però, ognuno aveva i propri valori, i propri sogni e le proprie aspettative dalla vita. era preso dalla loro spensieratezza e qualche volta cercava di aiutarli nel lavoro, per quanto potesse farcela. Era diventato la loro mascotte e ne andava fiero.
Ma anche lui era ammirato da tutti loro e non per il fatto che fosse figlio del padrone. Era un ragazzino estremamente sveglio per la sua età e di animo buono, davvero invidiabile. Non sapeva nemmeno cosa volesse dire egoismo o mala fede. Voleva bene incondizionatamente... come gli altri ragazzi della sua età certamente, ma con qualcosa in più che non si può spiegare e che aveva catturato subito tutti quei ragazzi che lui amava considerare tanti fratelli che lo consideravano loro pari e che vegliavano su di lui. i fratelli che non aveva potuto avere.
Antonietta era rimasta incinta qualche mese dopo il suo terzo compleanno. Ubaldo era estasiato. Desiderava tanto un fratellino o una sorellina con cui giocare e da accudire tutto il giorno. Purtroppo, la rosolia contagiò moltissime persone quell’anno e fece molte vittime. Uscire indenni e guarire era solo fortuna o l’intervento misericordioso di Dio, come quasi tutti credevano. Dio intervenne anche il giorno in cui fece guarire la mamma di Ubaldo... ma decise di prendere con sé il nascituro, che se ne andò in silenzio e senza alcuna sofferenza, dopo avere avuto il tempo sufficiente ad un unico, fugace sogno prima di addormentarsi per sempre. Ubaldo aveva sempre creduto nel Signore perché così era stato educato... non si era mai interessato molto alla sua storia, in verità. Del resto, è comprensibile che un bambino dedichi più tempo al sollazzo che a coltivare la fede... ma si poteva dire senza sbagliare che Dio gli era simpatico. La mamma ed il papà gli avevano detto che era merito del Signore se lui era nato così bello e senza alcun problema di salute, com’era accaduto invece al piccolo Tommaso che soffriva di tubercolosi e che non poteva nemmeno correre a perdifiato per le vie del paese come piaceva fare tanto a lui. e gli avevano detto che era merito del Signore se vivevano in un mondo dal sole così piacevolmente caldo sulla pelle... lui aveva creato gli alberi, l’erba, gli animali e tutta quella bellezza che lo circondava ed a cui non avrebbe mai voluto rinunciare. Doveva essergli grato. E lo era.
Lo era prima che gli portasse via il fratellino o la sorellina che tanto aveva desiderato. Aveva salvato la sua mamma ma non il bambino che portava in grembo. Pianse tanto per qualche giorno, a volte senza farsi vedere o sentire dai suoi genitori. Sfogava il suo dolore e la rabbia che era così forte per un bambino di quell’età, mordendo il cuscino e bagnandolo di lacrime amare. Si sforzava con ogni fibra del suo essere nel tentativo di perdonare il Signore. Si sentiva di doverlo perdonare, ma non aveva ricevuto nessuna scusa da lui e questo lo faceva stare male. Nessuna scusa e nessuna spiegazione. Ma non potevano esistere spiegazioni che lo avrebbero rincuorato. La mamma gli aveva detto tante volte che ora il suo fratellino o la sua sorellina si trovava in un luogo bellissimo dove non esistevano lacrime e rosolia o altre brutte malattie che facevano soffrire. Si trovava in quel luogo dove poteva giocare tutto il giorno senza mai stancarsi e dove il suo sorriso avrebbe dato la vita sulla terra.
Ed anche se Ubaldo non poteva vederlo né toccarlo, lui gli era sempre accanto... dentro di lui e gli avrebbe voluto bene fino al giorno lontano in cui si sarebbero rivisti ed avrebbero potuto riabbracciarsi.
Era un’immagine davvero bella... un’immagine che dava speranza ma che non convinceva Ubaldo pienamente. Lui pretendeva che suo fratello o sua sorella potesse giocare con lui e stargli accanto davvero e non per finta. Perché il Dio che era sempre stato così buono lo aveva portato con sé, negandolo a lui?
Forse era stato necessario per far sopravvivere la mamma, pensava. Forse era stato il piccolo stesso a sacrificare la sua esistenza per far sì che Ubaldo avesse ancora la mamma, com’era giusto che fosse. Pensò che doveva essere andata così e complice anche il tempo che passava il dolore diminuì.
E ben presto, fece la pace con Dio. Quando gli regalò tutti quei fratelli che gli volevano bene e che non lo avrebbero mai lasciato.
Ed anche lui aveva le storie da raccontare a tutti quei fratelloni che lo ascoltavano e che ridevano con lui... che aspettavano il suo arrivo su quella vecchia bicicletta appartenuta al nonno.
A loro piaceva ascoltare quella voce piena di entusiasmo, che ammortizzava la fatica del lavoro. E quell’allegria da cui si lasciavano contagiare più che volentieri.
Augusto Marchioni era contento del rapporto che suo figlio aveva con quei ragazzi... non c’era nulla di male e non si poteva avere assolutamente qualcosa in contrario. Ma non voleva nemmeno che Ubaldo crescesse come loro... e come lui. doveva avere le opportunità che loro non avevano neanche preso in considerazione. Doveva liberarsi dell’ignoranza di paese che limitava molto le possibilità della gente dei dintorni. Doveva studiare e diventare qualcuno nella vita, senza che fosse costretto a sfacchinare nei campi giorno e notte per buona parte della vita fino al momento in cui il suo fisico avrebbe preteso una pausa forzata a duratura. Avrebbe dovuto vedere il mondo oltre quei campi di grano ed oltre quegli alberi da frutta.
Avrebbe dovuto proseguire gli studi in una grande città. Si diceva che Milano poteva essere una buona occasione per un ragazzo che aveva le capacità e la voglia di fare. E d’altronde i mezzi per studiare adesso erano davvero alla portata... non era certo un problema economico.
L’unico intoppo abbastanza significativo nei progetti del padre era dato dal fatto che Ubaldo aveva già scelto il percorso da seguire.
Impossibile dire qual è stata la molla scatenante per la sua decisione: probabilmente proprio il mancato fratello o forse qualcos’altro chissà. In ogni caso, una decisione presa senza nessun ripensamento o rimpianto... la decisione di essere sacerdote. Si può dire che si è trattata di una via di mezzo... un giusto compromesso tra il suo volere e quello di suo padre. Infatti, se da un lato, prendere i voti è servito a farlo studiare ed a poter acquisire una certa cultura non soltanto spirituale, la tonaca da prete è stato il biglietto per farlo restare dov’erano le sue radici. Anche spostandosi da una parrocchia all’altra, un po’ per esigenze ed un po’ per farsi le ossa, Ubaldo è riuscito infatti a tenere ben saldi i rapporti con tutti quei ragazzi. Molti di essi sono diventati suoi parrocchiani. Una strada intrapresa con estremo entusiasmo e con l’appoggio di chi gli voleva bene. Ed ultimo ma non ultimo, la possibilità di vedere tutte le mattine le colline che sente proprie.
Uno spettacolo davvero unico quello offerto dalla valle del Reno... non nega che possano esistere spettacoli naturali di pari beltà o anche migliori. Alcune volte, qualche parrocchiano gli ha mandato una cartolina di panorami davvero invitanti... Sicilia, Sardegna, Trentino. Tanti scatti raffiguranti montagne imponenti ricoperte di neve fresca e luccicante ai raggi del sole oppure immense distese d’acqua in cui si possono scorgere barche a vela lontane che sembrano puntare verso l’irraggiungibile orizzonte... immagini che suggeriscono serenità e voglia di abbandonare tutto e raggiungere quei paradisi in terra. Ma non per lui.
Sono soltanto due settimane scarse che è stato nominato cappellano della chiesa di Casaglia di Caprara, ma non poteva sperare di meglio. Molti sacerdoti vivono il trasferimento con apprensione... un luogo nuovo e parrocchiani nuovi che solitamente guardano con diffidenza il nuovo arrivato, sperando che dica messa altrettanto bene come il precedente e che cercano di sapere nascostamente o tramite fitta rete di passaparola quante più cose possono, per stabilire se esistono macchie nella carriera del nuovo amministratore della chiesa locale che possano compromettere la serenità di tutta la comunità e magari che possono essere sfruttare per protestare e mandarlo via allo scopo di far tornare il precedente. E quando il prete è così giovane, le cose possono complicarsi ulteriormente, dal momento che spesso il pensiero di molti non è positivo. Il luogo comune, infatti, è pensare che un giovane non possa avere l’esperienza necessaria a condurre una chiesa ed avere un rapporto così stretto, come è necessario, con la gente che la frequenta e che pretende di essere rassicurata e guidata nei momenti di sconforto. Un ragazzo non può possedere quella fede incrollabile per essere d’esempio. Ed al suo arrivo, Ubaldo non è stato esente da tali pregiudizi... ma è riuscito a vincerli in pochi giorni grazie alla sua innata bontà d’animo ed alla sua simpatia e voglia di ascoltare, estranea a chi l’aveva preceduto e che considerava essere sacerdote solo un lavoro. Ubaldo ha portato una fortissima ventata di novità in quella parrocchia e l’ha fatto nell’animo di tutti coloro che assistevano alla messa ma non solo. Un traguardo davvero notevole e soddisfacente per sé stesso, che poteva dire di trovarsi davvero bene e di sentirsi parte di una grande famiglia, di cui era il padre.
E dalla finestra della sacrestia può vedere tutte le mattine quello straordinario spettacolo fatto di campi coltivati, di colline ricche di colori, del sole che sorge e dei girasoli che si svegliano, colpiti dalla luce dei suoi raggi, desiderosi di seguirla attentamente fino al tramonto. Lo spettacolo del Reno, così limpido e della sua corsa a valle, ora tranquilla ora impetuosa ma mai noiosa.
I giorni in cui la guerra ha fatto il suo prepotente ingresso in paese sono stati pesanti, non lo può negare. Una parte di quell’indescrivibile spettacolo era stata profanata dai carri e dalle jeep che si muovevano in lontananza come giocattoli sulle strade sterrate e che davano un forte senso di angoscia a lui come a tutti gli abitanti della zona.
In tanti erano venuti in chiesa a confidare i propri timori per sé stessi e le loro famiglie. Nessuno credeva che i soldati arrivassero a tormentare quei luoghi fuori da ogni conflitto, almeno fino a quel momento. Ubaldo cercava di rassicurarli come poteva, ma anch’egli era pieno di dubbi e preoccupazioni... ed era molto bravo a non farle trasparire dal suo sguardo. Diceva loro che se ne sarebbero andati presto, una volta constatata l’assenza di importanza strategica della zona. Diceva che forse avrebbero rubato qualche maiale o vacca oppure avrebbero messo a soqquadro alcune abitazioni alla ricerca dei tanti partigiani che trovavano rifugio sulle colline... queste cose erano gravi già di per sé... ma erano perfettamente sopportabili e comunque rimediabili. Nessuno si sarebbe fatto del male... non era conveniente neppure per il Duce che il suo esercito sfogasse violenza sulla popolazione locale, magari uccidendo donne e bambini. Non sarebbe mai successo. Le sue parole, dette con la massima convinzione possibile, rassicuravano le persone, che tornavano a sorridere e lo ringraziavano per essere con loro.
Anch’egli stesso trovava conforto nel parlare con la gente... gli evitava di pensare e preoccuparsi per i suoi genitori, che erano troppo lontani per andare a trovare. Ogni tanto riceveva qualche frammentaria notizia dai contadini che trasportavano il bestiame o che giungevano in paese per comprare attrezzi o sementi. Stavano tutti bene a casa... ringraziava il Signore ogni volta per proteggerlo da lassù.
L’ottimismo divenne quasi incontrollabile quando si seppe che Mussolini era stato destituito... tutto sembrava finito. L’Italia sarebbe uscita dal conflitto di lì a poco e si sarebbe potuto iniziare a ricostruire ed a tornare a vivere dignitosamente. Alcuni avevano sentito che forse si sarebbe creata una sorta di nuova Repubblica... la cosiddetta Repubblica Sociale Italiana, controllata prevalentemente dai tedeschi. Del resto, il Duce non aveva altra scelta che scendere a patti con i suoi alleati se voleva conservare un minimo di quel potere che tanto aveva cercato ed ottenuto negli anni ormai trascorsi. Era già stato fortunato ad evitare il carcere a vita e la condanna a morte che in tanti avrebbero desiderato per lui e tutta la sua famiglia. Decise di lasciare campo libero all’esercito tedesco che ottenne davvero pochissime limitazioni in tutto il territorio. Per molti sembrava essere il male minore... era una situazione destinata a non durare tanto, ne erano convinti... ed i tedeschi non avevano alcun interesse a mettere a ferro e fuoco un paese alleato. Sarebbe stata una situazione tranquilla. Ma altri dicevano invece che il vero incubo doveva ancora iniziare e sarebbe stato un incubo dal quale non si sarebbero più risvegliati.
Purtroppo, fu la seconda ipotesi a rivelarsi quella esatta.
Hitler era pazzo, ma i suoi soldati non erano da meno. Fortunatamente, anche se egoisticamente, i loro soprusi si limitavano alle grandi città. Nessuno avrebbe mai pensato potessero spingersi fino a loro. Ma le cose cambiarono. Cambiarono a causa di Stella Rossa.
L’armata partigiana sembrava davvero inarrestabile ed i suoi continui successi causavano non poco stress a Berlino, già duramente provato dallo sbarco alleato. Stavano perdendo il controllo della situazione e lo sapevano perfettamente.
I combattenti volontari per la libertà erano imprendibili e le loro costanti vittorie riscontravano un plauso esagerato fra la popolazione... non era un mistero che molta gente comune li aiutava. Chi alla luce del sole e chi nascostamente. Si sapeva altrettanto bene che le loro basi erano per lo più sulle colline, nei paesi della provincia. Era il loro territorio e nessuno osava spingersi in esso per cercarli e fargliela pagare. Anche lo stesso Mussolini riconosceva il loro valore strategico e Ubaldo conosceva personalmente tanti di quei ragazzi da poter confermare che erano davvero in gamba. Anche lui li aiutava spesso e volentieri. Forniva loro notizie, cibo, riparo qual’ora ce ne fosse stato bisogno. Molti di loro erano anche più giovani di lui... ma tutti determinati a seguire il loro ideale. Non erano proprio il massimo esempio di fedele ma non importava. Erano tutti uniti. Tutti fratelli.
Ma quella unione, seppur così forte, sarebbe bastata adesso? La tensione era salita alle stelle. L’arrivo dei tedeschi in massa aveva creato un panico quasi palpabile tra la gente. Tutti pensavano che sarebbe accaduto qualcosa di terribile molto presto. Si sapeva che c’erano state pressioni dall’alto per stanare Stella Rossa e dare un esempio di forza dell’esercito del Reich. I tedeschi non erano più disposti a fare figuracce o ritirarsi. E dovevano sfogare tutto il loro stress e la loro frustrazione per una guerra che stavano perdendo di giorno in giorno. E chi ne avrebbe fatto le spese? La risposta poteva essere sconvolgente ma sembrava anche la più ovvia, poiché negli scontri più cruenti si verificavano sempre molte, troppe vittime collaterali.
Un termine colmo di crudezza e disgusto solo a pronunciarlo con il pensiero.
Ubaldo poteva fingere tranquillità e dispensare rassicurazione a tutti ma la verità è che la paura lo invadeva continuamente e non voleva lasciarlo. Guardando le colline davanti a lui, che facevano da spettatori passive al palcoscenico inquietante che si andava allestendo di ora in ora, voleva sperare in un segno di Dio... una risposta alla ridda di domande che si accavallavano nella testa. una risposta che potesse davvero dargli conforto per i giorni che dovevano arrivare. Ma nessuno aveva ancora risposto. E sentiva le mani giunte che si stringevano sempre più tra loro, disperatamente.
CAPITOLO 4 : L’ORDINE.
Ventotto Settembre.
L'ufficio provvisorio del maggiore Reder è stato ricavato da quello del sindaco di Marzabotto, il quale non ha avuto moltissima scelta in proposito.
Paul è in piedi davanti la scrivania già da qualche minuto, in posizione di riposo. C'è qualcosa che non va, riesce a sentirlo... anche l'aria sembra essere più difficoltosa da respirare. L'alto ufficiale è seduto sulla comoda poltrona in pelle blu scura ma non è per nulla rilassato e si vede. Gli occhi seguono febbrilmente alcuni rapporti disposti disordinatamente sulla superficie della scrivania. Il timbro posto su ognuno di essi non lascia dubbio: provengono tutti da Berlino ed a giudicare dalla maschera di rabbia che ha sostituito la faccia di Reder, quei fogli di carta non sembrano portare buone notizie.
Gli americani? Paul corre subito a questa possibilità. Gli americani ed i francesi potrebbero aver sfondato ulteriori fila tedesche oppure potrebbero essere già arrivati a Berlino! No... no, questo è impossibile. Non possono essere arrivati in così poco tempo. Di certo, la capitale è ancora nelle mani del Furher ma questo non vuol dire che non vi siano altre brutte notizie. Forse, le condizioni di salute di Hitler sono peggiorate, dopo l'attentato subìto da parte di quegli indegni ufficiali traditori? Sembra che vi siano veramente nemici da tutte le parti... è difficile non essere costantemente nervosi in questi giorni. Tutti lo sono... gli ufficiali, come i soldati.
Solo il maggiore Reder faceva eccezione, fino a questo momento. Era sempre stato lucido in ogni azione e durante ogni preparazione e riunione, nell'esporre i suoi piani. E questo aveva contribuito a farlo rispettare ulteriormente da tutti i suoi. Paul non esagera a dire che è stata la cosa più vicina ad un padre che potesse avere. Certo, Paul ha avuto un padre. È morto soltanto sette mesi fa... ma non è mai stato molto presente nella sua vita. Gli piaceva di più correre dietro ad altre donne che restare a casa con la sua famiglia. Dire di averlo conosciuto equivarrebbe ad una lampante bugia. Era un estraneo in effetti. Tutto quello che Paul ha sempre voluto è stato fare il possibile per non assomigliarli ma per quanti sforzi facesse e per quanto fosse decisamente diverso dal suo genitore, non poteva negare a sé stesso di sentire la mancanza di un supporto, di una base, che andava oltre a quella di sua moglie e suo figlio. L'incontro con il maggiore fu un colpo di fortuna che non si sarebbe mai aspettato.
Ed anche Reder ebbe subito simpatia per lui... ne riconobbe le potenzialità e l'estrema serietà in quello che faceva. Lo prese subito sotto la sua ala e contribuì ad accelerare la sua carriera nell'esercito del Reich. D'altronde lo meritava. Aveva tutta la stoffa per diventare un ufficiale di valore e non si era sbagliato nel suo giudizio.
Paul potè mettere a segno parecchie vittorie sul campo, sempre sotto gli ordini di Reder e Berlino cominciò a notarlo e ad apprezzarlo. Alcuni malignavano sul fatto che fosse il cagnolino del maggiore e che seguisse ogni suo comando per avere in premio il biscottino e una carezza, ma né il protetto né l'ufficiale se ne curavano assolutamente. Era tutta invidia.
Ormai sono fianco a fianco da tre anni e non si è mai pentito di seguirlo nelle sue campagne. Ha visto più posti di quanto potesse mai sognare. Ha ricevuto più lezioni di vita negli ultimi tre anni che in tutto il resto della sua vita... può dire che è stato completato da quell'uomo. Dal suo padre putativo.
Vederlo in quelle condizioni lo fa sentire a disagio. Lo fa stare davvero male... ed il peggio è che non sa cosa dire per tirargli un po' su il morale. Ha paura a parlare. Ha paura perchè sa che potrebbe anche arrabbiarsi. Potrebbe accusarlo di parlare a vanvera e di essere una femminuccia. A Reder non piacciono gli uomini che dimostrano debolezza. Non vuole nemmeno avvertire lo sconforto dai suoi soldati. Gli uomini del Reich devono essere determinati e forti d'animo in tutte le occasioni, o almeno è sempre stato questa la sua lezione numero uno. Ora, pare che sia lui stesso ad infrangerla.
Ma Paul non rompe il silenzio nella stanza ed attende in piedi che il suo maggiore distolga lo sguardo da quei rapporti e gli riveli il motivo della sua chiamata a rapporto.
Finalmente, dopo qualche altro istante carico di tensione, la voce del comandante in capo, riempie l'ufficio... mentre gli occhi rimangono incollati ai fogli di carta recanti le brutte notizie:
“Tenente Albers... si sieda, la prego. ”
Brutto segno. Davvero brutto segno.
Reder non gli dava quasi mai del lei e tantomeno iniziava un discorso appellandolo con il suo grado. Paul ricorda che lo aveva fatto solamente in un paio di occasioni ed entrambe erano riferire a brutte notizie. La confidenza reciproca, li spingeva sempre a darsi del tu ed avere un tono decisamente rilassato in occasione dei loro incontri in privato... ovviamente, Paul teneva un doveroso e referenziale distacco in presenza di altri ufficiali o soldati, ma questa volta non c’era ragione. Normalmente, gli avrebbe già offerto un bicchiere del pregiato cognac distillato dalla sua stessa famiglia, che il maggiore non dimenticava assolutamente di portare con sé in qualunque posto andasse. Una scorta di sei bottiglie era il minimo. D’altronde era suo fermo parere che non aveva alcun senso rinunciare ai piccoli piaceri della vita ed anche a qualche vizio, specialmente, considerando il fatto che la propria vita era sempre in bilico da un po’ di tempo in qua. Ma ora non c’era nessuna bottiglia di cognac sulla scrivania e nemmeno l’ombra di bicchieri. Solo quei tanti maledetti fogli del malaugurio e le dita del maggiore nervosamente picchiettanti sul piano in legno lavorato e lucido che stava tanto a cuore al sindaco di Marzabotto, il quale si era tanto raccomandato che la sua scrivania fosse creata nell’esatto modo in cui l’aveva immaginata. Un uomo devastato dall’ansia davanti a lui, non ci sono altre parole per descriverlo... un fiero condottiero ridotto ad una vittima gemente. Non restava altro da fare che eseguire l’ordine appena ricevuto, anche se pareva molto più vicino ad una richiesta fatta in tono supplichevole e poggiare le natiche sulla sedia vicino a lui, nell’attesa che la sua curiosità venisse soddisfatta.
“Tenente Albers. Lei è un ragazzo sveglio. Per questo l’ho voluta al mio fianco come primo aiutante e coordinatore delle operazioni sul campo nonché supervisore delle stesse. Sono ben a conoscenza delle sue doti e dell’impegno che lei sempre ha messo in tutto ciò che faceva, affinchè il Reich potesse essere fiero di lei come ufficiale e come uomo. E data la sua innegabile perspicacia, ritengo che abbia notato subito l’espressione sul mio volto e ne sia rimasto scosso o quantomeno sorpreso. Mi sto sbagliando? ”
Una piccola pausa imbarazzata prima che la risposta del giovane tenente giunga in tono perplesso:
“No, signore. Non si sbaglia. Devo confessare che mi ha lasciato visibilmente disorientato vedere la preoccupazione sul suo volto. E ne deduco che il suo stato d’animo sia causato dagli spacci giunti da Berlino, che si trovano sulla scrivania. Vorrei davvero conoscerne il contenuto, se mi consentisse di leggerli. ”
“Non sarà necessario, Paul. Ti dirò io stesso, in poche parole quello che contengono, senza impiegare tanti giri di parole che hanno annoiato anche me quando li ho scorsi poco fa. La propaganda tedesca sta facendo un ottimo lavoro, non si può negare. Ma adesso siamo arrivati ad un punto morto. I fatti parlano da soli, purtroppo. E nessuno che abbia un briciolo di cervello e mi riferisco sia ai nostri soldati, sia ai civili ma anche ai nostri nemici, si sognerebbe di credere a quello che dicono tutti i nostri giornali con voce unica da quando è iniziato lo sbarco alleato. La Germania è il gigante si sempre. Berlino è la fortezza inviolata e rimarrà tale. Rallenta ogni giorno di più l’avanzata nemica ed il morale degli americani è sempre più a terra ad ogni giorno che il loro fallimento totale si fa più concreto. Solo un mucchio di balle, Paul. Nient’altro che un mucchio di balle che non assolvono neanche più al compito di risollevare il morale delle truppe. Delle nostre truppe. Sembra quasi che la nostra stessa stampa si burli di noi e ci prenda per i fondelli. Mi verrebbe da ridere se tutto ciò non fosse invece terribilmente tragico. Una tragedia che sta evolvendo verso un finale shakespeariano. ”
Il tono è cambiato. Sembra quasi un amico che voglia confidarsi... che voglia disfarsi di un pesante fardello sulla schiena. Ed ora gli sta dando del tu. Paul vorrebbe interromperlo, fargli un mucchio di domande... ma ha ancora il rispetto per attendere che le risposte arrivino da sole, mentre il suo mentore sospira e riprende il discorso, questa volta incrociando lo sguardo con quello dell’interlocutore:
“La guerra è persa, Paul. E la Germania sta cadendo a pezzi. Non resta molto tempo ormai. I nostri plotoni si stanno ritirando da tutte le parti... americani, russi, inglesi e francesi ci stanno stringendo in una morsa dalla quale resteremo intrappolati. L’ordine tassativo è resistere ad ogni costo... molti moriranno per eseguire questo ordine. E moriranno per niente. Presto anche noi tutti dovremo tornare in Germania e fornire il supporto che ci verrà richiesto, abbandonando quell’idiota di un italiano al suo destino... e francamente, la cosa non mi dispiace. Mi ha sempre fatto venire il vomito, lui ed i suoi fascisti. Ma c’è dell’altro che ci è stato ordinato di fare prima di fare i bagagli. Il feldmaresciallo Kesselring, l’autore del dispaccio che ho davanti, ha criticato duramente l’incapacità del nostro esercito di fare fronte agli attacchi della brigata partigiana Stella Rossa ed è ovviamente scontento dei loro continui successi che stanno eccedendo. I nostri servizi segreti hanno tuttavia portato notizie interessanti e di reale fondamento, secondo cui tra queste colline troverebbero rifugio molti combattenti partigiani appartenenti alla Stella Rossa. Ovviamente, ero già a conoscenza di queste notizie senza che quel pallone gonfiato me le facesse arrivare d’urgenza come se si trovasse davanti a degli scimpanzé senza cervello. In ogni caso, gli ordini sono di trovare questi esponenti e di passarli immediatamente per le armi, come pure tutti coloro che li hanno appoggiati ed hanno favorito la loro attività e clandestinità. ”
“Non sono sicuro di aver capito bene. ”
“Invece sì. Abbiamo un disperato bisogno di vittoria. Di qualcosa che non ci faccia passare davvero per un esercito di pagliacci in fuga. Di certo non sarà sufficiente a farci vincere la guerra ma potrebbe infondere qual po’ di determinazione a resistere al nemico che sta sparendo dappertutto. E su questo sono completamente d’accordo. Ti ho chiamato perché voglio sia tu a condurre le operazioni di rastrellamento. Disporrai le truppe in cerchio ai confini di tutti i paesi della valle del Reno e del Setta, coordinandoti via radio con gli altri ufficiali già sugli obiettivi e con i rinforzi della SS e della Wermacht che arriveranno all’alba di domattina. Ogni abitazione deve essere perquisita e la popolazione dovrà essere evacuata e condotta nelle piazze per meglio tenerla sotto controllo. Chi opporrà resistenza dovrà essere passato per le armi sul posto. ”
L’ultima frase di Reder piomba come una bomba nella mente di Paul Albers e fa sentire il suo eco per molto tempo. Ma è il tono con cui è stata pronunciata che l’ha lasciato di stucco... quella voce senza nessun rimorso per quello che ancora deve accadere... quella voce senza nessuna vergogna per aver appena dato istruzioni al compimento di un massacro.
“Tutti i civili? Maggiore... voglio essere certo che l’ordine... ”
“L’ordine è chiaro, Paul. Non potrebbe essere più chiaro di così. E mi aspetto che tu lo esegua alla lettera come hai fatto tutte le volte che ti ho dato degli ordini. Sono distrutto, ragazzo mio. Mi rendo conto di aver vissuto in un sogno per quasi sette anni ed essermi svegliato questa mattina, scoprendo una realtà di merda che fa una puzza insopportabile. Mi sono reso conto di avere seguito un pazzo megalomane come un cieco segue il suo cane; un pazzo che ha affossato la Germania e che ci farà vergognare per lunghissimo tempo dopo la sua disfatta. E mi sono reso conto che tutto questo non è quello che volevo dalla mia vita né dalla mia carriera militare. Avrei dovuto essere generale ed avrei potuto guidare meglio il nostro paese... adesso è tutto finito, invece. Ma non voglio che finisca in questo modo... non voglio che il mio nome cada nel dimenticatoio. Forse, questa è l’ultima occasione che si prospetta per fare qualcosa che rimanga davvero impresso nella mente di tutti e che mi faccia avere il posto che merito nella storia. Voglio questa vittoria, Paul. Voglio che Stella Rossa venga spazzata via e che tutta la gente di questo schifo di paese che ci sorride a fatica e che complotta alle nostre spalle con quei maledetti nascosti sulle colline, la paghi nel modo più eclatante possibile. Quello di domani dovrà essere un glorioso giorno per la nostra armata e se dovesse risultare così, ti garantisco che non lo sarà soltanto per me ma anche per te, ragazzo! ”
Una strage. Una strage.
Questa parola si ripete con orrenda monotonia nella testa del tenente Albers, con cadenza quasi ritmica. Una strage, sì... e domani lui n sarà responsabile come tutti gli altri. Ha visto come lavorano gli agenti delle SS e gli ufficiali scelti della Wermacht. Per questo si può parlare di strage. Senza alcun dubbio. Una grande delusione che non si sarebbe mai aspettato. Mai, dall’uomo che gli ha fatto da padre. Vorrebbe capirlo, si sforza di farlo con tutto sé stesso. Vorrebbe davvero comprendere lo stato d’animo del maggiore e forse ci riesce in parte. Può capire che deve essere a dir poco frustrante a scoprire che la persona che ti guidava e dalla quale ti saresti aspettato i più grandi risultati non è altro che uno psicopatico che avrebbe dovuto essere rinchiuso nella stanza imbottita di un manicomio invece che alla guida di una nazione florida come la Germania. Essere delusi dal proprio mito è davvero un boccone amaro da mandare giù... questo lo capisce in pieno e d’altronde è appena successo anche a lui. È il resto che trova difficile comprendere, a cominciare da come potrà disporre le truppe. Lo ha già fatto tante volte ma questa volta si rende conto che sarà più difficile del solito. Forse, il fatto di avere sempre combattuto sul campo, con altra gente armata, che indossava una diversa divisa e che voleva ucciderlo non gli consente di entrare nell’ottica delle cose come dovrebbe essere. Forse, non aver mai messo piede in un campo di concentramento e non aver mai partecipato ad un rastrellamento nei quartieri ebrei della Polonia non gli da la consapevolezza necessaria né la forza di vincere il disgusto che sente strozzargli lo stomaco. È vero che serve una vittoria. È vero che è necessario sollevare il morale e sfogare lo stress... ed è vero che pur non essendo utile all’esito finale della guerra, forse servirà a ridare compattezza. Ma quello che si farà domattina non sarà guerra... e non crede che porterà onore.
Il maggiore lo fissa ed ha ripreso il controllo di sé stesso. I suoi occhi adesso sono l’immagine della tenacia che aveva dimenticato per un momento e dell’autorità ritrovata. Vuole che gli ordini siano eseguiti e si aspetta una risposta dal suo braccio destro... una risposta che arriva puntualmente come sempre.
“Sissignore. Darò le prime disposizioni agli ufficiali questa sera stessa, maggiore. ”
CAPITOLO 5 : VENTINOVE SETTEMBRE.
Il terreno trema al passaggio dei cingoli dei panzer che lentamente si dispongono al presidio di tutti gli accessi a Marzabotto. Altri proseguono la loro lenta marcia lungo la strada Porrettana verso i comuni limitrofi, affiancati dai battaglioni di soldati con lo sguardo fisso avanti a loro ed i fucili saldamente imbracciati. Il ritmico e ordinato passo martellante nelle orecchie dei tanti spettatori immobili ai lati della strada, alle finestre delle loro case ed affacciati alle soglie delle poche botteghe aperte così presto.
Le uniformi impeccabili, colme di medaglie e gradi degli ufficiali che camminano in testa e che hanno lo sguardo molto più severo degli uomini che comandano. Alcuni di essi troneggiano in piedi sulle jeep che guidano le colonne marcianti... di tanto in tanto, uno sguardo di disprezzo gettato agli spettatori terrorizzati. Uno sguardo che aumenta il senso di angoscia e che stringe ancora di più quel nodo nella gola che mozza il respiro. Persino gli uccelli si rifiutano di dare il loro consueto benvenuto canterino al giorno appena nato. Tutti rintanati nei loro nidi si chiedono chi siano tutti quegli uomini sbucati dal nulla, così diversi dalle persone a cui erano abituati... le stesse con cui condividono da anni quei luoghi.
I glaciali occhi azzurri e le minuscole pupille spuntano dalle visiere dei cappelli degli ufficiali come spietati radar, lesti a cogliere ogni presenza del nemico e gli elmetti di ferro dei soldati che traggono sinistri bagliori quando i raggi del sole ancora non del tutto sorto dalle colline ne colpiscono la superficie.
Ma chi fa più paura sono gli agenti delle SS. Un folto drappello di corvi che pare pregustare il sontuoso banchetto di sangue che sta per essere servito e che loro stessi contribuiranno a preparare. Le uniformi nere tirate a lucido e la svastica che troneggia sulla fascia coloro sangue posta ben in evidenza sul braccio destro. Non mostrano i loro occhi, coperti dagli occhiali scuri, che non hanno certo la funzione di riparare dal pallido sole del mattino... ma ben poca porzione dei loro corpi è lasciata allo scoperto... persino le mani trovano rifugio all’interno dei tetri guanti, anch’essi neri come la pece. Solamente, una minima parte del volto riesce ad essere a contatto con l’aria fresca di fine estate e quasi ne sembra soffrire, a giudicare dagli angoli della bocca piegati all’ingiù... come avessero ingurgitato una brodaglia nauseabonda e lassativa. Uomini che hanno davvero ben poco di umano. Più somiglianti a tante moderne morti che hanno abbandonato la vecchia tunica e la classica falce per seguire un look più moderno ma altrettanto degno di soggezione... e dello stesso colore smorzato. Alla fine dei conti, però l’importante è saper compiere al meglio il proprio dovere... dispensare morte.
Ma persino la Morte stessa opererebbe con maggior giustizia rispetto a questi suoi colleghi (non ufficialmente nominati) moderni.
Una parata agghiacciante che tutti temono e che in tanti non capiscono. Sanno che è giusto avere paura ma non possono immaginare quanta ancora ne dovranno avere. I bambini si tappano le orecchie e piangono eppure non riescono a staccare gli occhi da quello spettacolo ricco di indegno fascino. Alcuni pensano non siano divertenti come i soldatini con cui giocano tutti i giorni. Il rumore della marcia e dei cingoli penetra ben oltre le orecchie... fin dentro l’anima e la corrode lentamente.
Tentando di tenere fermi i soprammobili della cucina, la mamma di Riccardo sente il cuore gonfio di acuta preoccupazione mentre pensa al fatto che suo figlio è andato di nuovo dai partigiani nascosti. Coraggioso come suo padre, il bambino ha rassicurato la mamma, dicendole che sarebbe tornato presto... le ha detto di non stare in pena per lui perché sarebbe stato svelto a nascondersi se avesse visto o sentito qualcosa di strano o brutto... conosceva il bosco molto bene ormai e nessun uomo cattivo in uniforme lo avrebbe mai trovato... e i suoi amici partigiani lo avrebbero difeso, se fosse stato necessario.
Ma pur pensando a quanto coraggio avesse suo figlio, la giovane vedova vedeva ben chiaro negli occhi della sua immaginazione quello che sarebbe successo se i tedeschi lo avessero sorpreso nel bosco. Aveva già perduto suo marito e non avrebbe mai accettato l’idea di piangere anche suo figlio. Ma c’era da considerare anche l’altra faccia della medaglia... quella che poteva infondere un po’ di sollievo. Se Riccardo era lontano forse era un bene. Forse era meglio non trovarsi in paese in questo momento. Mentre osservava dalla piccola finestra della cucina l’ingresso dei soldati nelle strade prima e nei negozi e nelle abitazioni poi, la giovane madre pensava che probabilmente adesso suo figlio era lassù, in un punto imprecisato di quelle colline, al sicuro. Forse i partigiani lo avrebbero protetto davvero... e sicuramente aveva sufficiente fiducia nelle capacità del suo ometto da credere ad occhi chiusi che si sarebbe nascosto talmente bene da non essere scoperto da chi avrebbe potuto fargli del male.
Ed in cuor suo sperava ardentemente che non tornasse in paese proprio ora. Sperava che l’eco dei cingoli dei carri armati e degli stivali di cuoio fossero sufficientemente forti da essere uditi anche lassù dalle sue piccole ed innocenti orecchie... sperava che non avrebbe mai dovuto udire quei suoni agghiaccianti per il resto della sua vita... e sperava che il resto della sua vita fosse stato ancora molto lungo.
Dall’ampia vetrata dell’ufficio del sindaco che dava sulla piazza, Reder era estremamente soddisfatto del risultato ottenuto dal dispiegamento delle sue forze. Il primo cittadino era nell’ufficio assieme all’ufficiale, ammanettato e tenuto saldamente da due soldati corpulenti e di poche parole... d’altronde, anche se avessero parlato non ne avrebbe compreso una parola ed anche se avesse saputo a menadito il tedesco, forse avrebbe capito solamente insulti ed umiliazioni verbali. Il diritto di opinione e di protesta era stato abolito in fretta e senza preavviso. Molto peggio di come andavano le cose sotto il Duce. Il primo cittadino di Marzabotto non ci avrebbe mai creduto se gliel’avessero detto prima. Che le cose potessero andare peggio. Ma ora, fissando il crudele ghigno da iena dell’ufficiale in capo alle operazioni militari, è lampante che le cose possono sempre peggiorare.
“Che spettacolo superbo... uno spettacolo che riempie d’orgoglio un grande condottiero. Uno spettacolo commovente. ”
Rapito dalle sue singolari considerazioni e dal fiume dei suoi soldati che dilaga ovunque e prende possesso di quello sputo di paese, Walter Reder si commuove davvero. Sente la lacrima solitaria nascere e risalire lentamente la china del suo zigomo come se avesse paura di essere vista e spazzata via. Ma riesce a raggiungere il mento dell’ufficiale prima di incorrere in quel finale. Si sente davvero orgoglioso di poter ammirare tanta bellezza, a suo dire. Il suo unico cruccio è quello di essere convinto che sarà uno degli ultimi, se non l’ultimo, spettacolo di quel genere che potrà vedere... e tutto per colpa di quello smidollato pidocchio che ha avuto il coraggio di chiamarsi Furher. Una parte di sé accarezza il pensiero che non sarebbe stato male se l’operazione Valkiria avesse avuto esito positivo. Ma la gioia scaccia la malinconia quasi subito al pensiero che il meglio dello spettacolo deve ancora venire... ed il primo grido è l’ingresso al nuovo atto della tragedia... ed il breve preludio ad un suo nuovo sorriso. Chiude persino gli occhi per immaginare meglio la scena... per meglio concentrarsi su di essa.
Al primo grido ne seguono subito tanti altri, più di quanto si possa contare. Grida di terrore e di rabbia soffocati dalle raffiche dei mitra che gridano più forte la loro sentenza di morte. Grida soffocate nel sangue. Il sangue innocente di persone che non potevano mai pensare di svegliarsi nel loro ultimo giorno. Grida che continuano ovunque mentre il sole si alza in cielo e regala una stupenda giornata di morte. I soldati non fanno domande... non vogliono sapere dove si nascondono i combattenti della Stella Rossa. Non ci pensano nemmeno, tanto sono impegnati a premere il grilletto e ricaricare le armi. Alcuni cercano riparo verso il fiume. Pensano che buttarsi nelle acque del Reno li salverà dalla violenza che li vuole ghermire... si tuffano nelle acque gelide ed insicure e si lasciano trasportare dalla corrente abbozzando un sorriso di sollievo. Forse ce l’hanno fatta. Forse sono fuori pericolo. Lo pensano tutti, mentre le acque li trasportano lontano... alcuni sentono un sibilo farsi sempre più insistente e vicino ma non pensano sia niente di importante... questione di pochi istanti e saranno al sicuro... e l’esplosione li fa a pezzi mentre covano ancora questa speranza che va a fondo come i brandelli dei loro corpi, mentre altri enormi proiettili da carro si abbattono sulla superficie limpida del fiume sollevando carrettate di terra e sassi ed altissimi spruzzi d’acqua insanguinata. Solo pochi pesci di piccole dimensioni possono trovare riparo negli anfratti del fondo schizzandoci dentro come impazziti.
Non è possibile parlare con loro... non è possibile contrattare con loro. Gli ordini sono chiari. Tutti i sostenitori dei combattenti partigiani devono essere passati per le armi, ma dato che è impossibile distinguere chi sia una spia ribelle e chi no e dato che non è possibile fare indagini approfondite meglio eseguire una valida operazione di pulizia generale. Tutti sono colpevoli. Tutti si sono resi responsabili della loro fine. E tutti l’hanno meritata. Non ci sono innocenti... non ci sono bambini o donne che possono essere risparmiati per via della loro giovinezza o del loro sesso. Tutti sono colpevoli.
Sangue che si fonde alle lacrime... lacrime che vengono spazzate via dalle urla strazianti. Corpi che vengono ammassati nella piazza del paese come sacchi di letame... trattati con lo stesso disprezzo. Animali che scalpitano nelle loro stalle e gridano in preda ad una paura vivida che non riescono a comprendere. Piante e fiori disintegrati dalle esplosioni o seppelliti dalle macerie. Le risate degli assassini che sparano ai cadaveri come passatempo, mentre gridano al cielo chissà cosa con quella voce secca e brutale. La stessa che parte da un grande megafono su una jeep e che echeggia in tutta la valle. E le raffiche che imperversano senza nessuna pietà rendendo incandescenti i mitra che le vomitano e gli animi sadici delle persone che li reggono.
Una scena talmente raccapricciante da essere quasi impossibile da immaginare... un massacro che pare scaturito, sputato dai meandri tortuosi di una mente perversa e molto malata.
Una violenza che prosegue a lungo... sangue, morte, desolazione, morte, sangue, urla, sangue, dolore, morte e ancora morte per troppo troppo tempo. Una violenza talmente lunga da stancare anche un sadico convinto... ma non Reder.
Paul ha le orecchie tappate da una mezz’ora almeno. Iniziano a fargli male, ma la fine è ancora lontana. Gli uomini sono stati disciplinati come sempre nel seguire i suoi ordini. Si sono schierati alla perfezione, rendendo il paese blindato e quasi impossibile scappare. Un addestramento che ha dato lui... un addestramento costato molti sforzi, ma che ha ottenuto ottimi risultati. E l’azione di oggi ne è l’esempio migliore. Dovrebbe andarne fiero. Dovrebbe andare a complimentarsi con i suoi uomini per aver eseguito alla lettera i suoi ordini ed aver appreso i suoi insegnamenti. Lo hanno reso orgoglioso. Non dovrebbe restare in disparte, al limitare del bosco, piangendo come un poppante. È da donnicciole piangere e singhiozzare a quel modo... non è degno di un ufficiale del Reich che indossa una divisa come la sua. Reder non lo ammetterebbe mai.
Il punto è che a Paul non gli frega un cazzo di quello che pensa Reder... non più. E non c’è nulla di cui debba complimentarsi con i suoi uomini. Perché fra tutti quei pazzi che stanno devastando Marzabotto non riesce a riconoscerne uno dei suoi soldati. Ci sono soltanto pazzi assassini là in mezzo. Lui non vuole essere un pazzo e non vuole essere un assassino. Ora vorrebbe tornare dalla sua Katia e dal piccolo Amon. Vorrebbe essere seduto davanti al calore del suo camino con loro, ascoltando Bach, tenendo il piccolo sulle ginocchia. Sente un disperato bisogno di averli vicino e questo lo fa piangere ancora di più. Vorrebbe gridare il suo dolore anche se sa bene che sarebbe coperto dalle raffiche e vorrebbe strappare quella divisa che non sente più sua... che diventa più stretta ad ogni minuto che passa. Ad ogni grido innocente che arriva ovattato alle sue orecchie tappate. Più stretta ad ogni vita stroncata.
Alla fine non resiste più... le braccia sono indolenzite e fanno male... deve abbassarle. Le orecchie sono accaldate e fanno male... deve liberarle.
I colpi continuano e si fanno strada subito scuotendo il suo corpo. L’ufficiale resta immobile ma non li ascolta... non riesce a respirare. Non riesce a tirarsi fuori dallo stato di trance in cui pare essere piombato. Un fruscìo quasi impercettibile alle sue spalle riesce a scuoterlo. Quasi impossibile pensare che possa averlo sentito in mezzo a quel concerto rimbombante di morte. Eppure l’ha sentito ed ora si volta per vedere cosa l’ha prodotto. Pensa possa trattarsi di un partigiano mandato in avanscoperta ed ansioso di vendicarsi dell’eccidio ancora in corso iniziando con il massacrare un giovane ufficiale nazista... proprio lui.
Il pensiero lo rende triste... gli dispiace morire senza aver dato un ultimo bacio al suo amore ed un ultima carezza alla sua creatura... ma pensa anche sia giusto che paghi per quello che ha fatto. Per quello di cui si è reso complice. Deve pagare o non riuscirà più a vivere.
Riccardo ha un sussulto nel trovarsi di fronte quell’uomo con la croce uncinata... era tornato indietro non appena aveva udito i primi spari. Aveva il fiatone per quanto aveva corso velocemente lungo il bosco, rischiando tante volte di inciampare e rotolare malamente lungo il pendìo della collina. Mentre correva cercava di scacciare con forza tutti quei brutti pensieri e quelle voci cattive che gli dicevano... no, che gli gridavano che sua madre era morta. Che era rimasto solo. Non voleva dargli ragione. Doveva raggiungerla e proteggerla. Dopo la morte di papà era lui l’uomo di casa ed aveva il dovere di proteggere la mamma prima di qualsiasi altra cosa. Anche suo padre avrebbe voluto così, ne era sicuro. Doveva tornare in paese e portarla via da quagli uomini cattivi con la croce uncinata. Doveva difenderla a costo della vita, senza pensare a quelle voci che lo scoraggiavano mentre correva a perdifiato e che gli dicevano che sarebbe morto anche lui se fosse tornato in paese. Riccardo lo sapeva. Sapeva che sarebbe morto. Era piccolo ma non stupido. Sapeva che non avrebbe mai più rivisto i suoi amici... non avrebbe mai più visto il vecchio Achille, che gli regalava una caramella tutte le mattine quando passava davanti alla sua bottega di gastronomia. Riccardo adorava quelle caramelle succose, tenute in quell’enorme vaso sul bancone del signor Achille. Ne era davvero ghiotto. Aspettava quel momento tutti i giorni e se lo godeva eccome quando arrivava. Gli sarebbero mancate quelle caramelle. Più di tutte gli sarebbe mancata quella all’arancia, il suo gusto preferito. E gli sarebbe mancato anche Achille.
Molte cose gli sarebbero mancate. Molte cose avrebbero lasciato un grande vuoto dentro di lui. un vuoto che difficilmente sarebbe riuscito a colmare. Un vuoto che sentiva già mentre correva forte lungo la collina. Ma non voleva sentire la mancanza di sua madre. Non voleva separarsi da lei. Non era ancora il momento. Sapeva che molto probabilmente era tutto inutile... che sarebbe morto. Ma almeno sarebbe morto difendendola. Sarebbe morto con lei, vedendo il suo viso ancora una volta. Vedendo i suoi occhi così grandi e dolci. Ed in quel momento non avrebbe avuto paura. Avrebbe lottato per averla ancora vicino, anche solo per pochi attimi. Voleva lottare. Lui era coraggioso come suo padre. Non poteva guardare altrove. Non poteva abbandonarla, anche se lei avrebbe preferito che scappasse lontano. Che fosse al sicuro.
Per un attimo, aveva pensato che forse lo avrebbe sgridato vedendolo arrivare. Aveva pensato che gli avrebbe mollato un ceffone per punirlo della sua stupidità. Per aver permesso al suo coraggio di prendere il sopravvento sulla ragione, proprio come fu per suo padre. Ma poi si era convinto invece che gli avrebbe sorriso e che sarebbe stata contenta di riabbracciarlo, forse per l’ultima volta.
Correva come un ossesso. Già si vedeva il paese... non ricordava più cosa volesse dire essere prudente. I suoi amici partigiani lo avevano istruito a lungo sulla prudenza, anche in virtù di quello che rischiava portando loro viveri e notizie. Collaborando con i nemici dei nazisti. Aiutando la Resistenza. Lui aveva imparato bene. Si era dimostrato sempre molto prudente sia quando andava che quando tornava dal bosco. Sapeva quando rischiare e quando no. Ma era troppo piccolo per non permettere alle sue emozioni di scavalcare tutto il resto, compresa la prudenza. Come aveva fatto adesso. Non si poteva biasimarlo, povero bambino. Non poteva elaborare un pensiero così complesso da fargli capire che era meglio nascondersi in uno dei tanti posti che solo lui conosceva invece di correre a testa bassa verso la mamma... e la morte.
L’ufficiale tedesco in piedi davanti a lui lo ha bloccato. Non riesce a pensare... non riesce a respirare... nemmeno a sbattere le palpebre. Gli secca ammetterlo, ma pare che quelle voci nella sua testa avessero ragione. Il cuore gli batte all’impazzata e con grande difficoltà riesce a portare una mano al petto, come a volerlo tenere calmo. Sente che il momento è vicino. Non potrà vedere sua madre. Ha corso per niente. Ha avuto coraggio per niente. I suoi occhi squadrano l’uomo in divisa che lo fissa a sua volta fino a fermarsi sulla fondina. Tra poco estrarrà la pistola e gli sparerà senza rimorsi. Dovrebbe scattare in avanti... cercare di prenderla per primo e sparargli prima che lo faccia lui. la volontà di farlo c’è tutta... ma la paura è più forte e lo blocca lì vicino alla vegetazione, in attesa della morte. E forse c’è dell’altro... anche se gli sembra impossibile. Qualcosa nei suoi occhi azzurri. Non può essere. Non vuole pensarci. Non può prendere in considerazione questa eventualità. Sarebbe troppo pesante da sopportare. Ma quegli occhi insistono. Non mollano. Occhi diversi da quelli degli uomini cattivi con la croce uncinata. Non sono gli stessi occhi. Non è lo stesso sguardo.
È anche difficile pensarlo... rasenta l’assurdità più totale. Ma non può fare a meno di vederla... di vedere la bontà in quegli occhi. Una bontà che teme anche la croce uncinata. La compassione di un uomo stanco dell’orrore. La magnanimità di un mostro, che mostro non è mai stato e che ha scoperto la sua vera natura di uomo.
Un uomo che scorge la paura profonda del bambino che ha davanti. Un uomo che ha tanto disgusto al pensiero del timore che provoca in quel bambino.
Un uomo che ha fame di un barlume di redenzione e che non può e non vuole scacciarlo ora che gli si presenta l’occasione.
Un finto mostro che ha capito da che parte stare e che, non parlando la lingua innocente del bambino, scuote la testa ed indica il bosco dal quale è arrivato. Deve tornare. Deve tornare là subito. Senza perdere tempo. E deve nascondersi bene perché presto lo verranno a cercare. Non verranno soltanto per lui... verranno per chiunque troveranno. Non può proteggerlo più di così e questo Riccardo lo capisce anche se non parlano la stessa lingua. Lentamente e senza staccare lo sguardo da quell’ufficiale così diverso dagli altri uomini cattivi (forse per paura che cambi idea o forse per ringraziarlo a modo suo), il ragazzino rientra nella vegetazione e scompare presto alla vista di Paul, protetto da alberi e cespugli. Forse potrà tornare a cercare la mamma quando le esplosioni cesseranno, forse la troverà viva o forse no. Forse potrà seppellirla oppure non troverà mai il suo corpo, in ogni caso ha fatto la cosa giusta. È stato coraggioso anche oggi... il suo coraggio gli ha permesso di rimanere vivo e di credere che a volte i miracoli possono emergere anche dall’orrore.
Paul resta ancora a lungo a fissare quel bosco che presto verrà rastrellato... non appena terminerà la strage in paese. Spera e prega con il cuore che quel bambino riesca a trovare un rifugio davvero sicuro. Per un momento pensa di seguirlo e di nascondersi con lui. sorride a quella eventualità. Non funzionerebbe mai.
Ma è felice di aver tolto un minimo di sporcizia dal suo corpo e dal suo spirito. E questo pensiero lo tiene ben stretto a sé, sperando che lo sorregga e che gli faccia sopportare l’orrore che dovrà ancora vedere prima di poter tornare a casa, se avrà la fortuna di farlo.
E dopo un rapido dietrofront, l’ufficiale primo aiutante del maggiore Reder s’incammina lentamente verso una Marzabotto insanguinata... deve presentare un primo rapporto al maggiore sull’andamento dell’operazione militare che si sta svolgendo. L’operazione contro Stella Rossa. Un nemico che vorrebbe fosse presente adesso. Un nemico che potrebbe mettere fine a quell’incubo.
CAPITOLO 6 : LA STRAGE DI MONTE SOLE.
L’eco delle bombe cavalca il vento fino alla chiesa di Monte Sole. Le vetrate colorate vibrano leggermente ed i santi raffigurati su di esse sembrano soffrire per quello che sono costretti a sentire.
La battaglia infuriava tutt’intorno.
Buffo parlare di battaglia. Il fatto è che la battaglia infuriava già da cinque anni... una più una meno sembrava non contasse poi molto. Ma forse era sbagliato vederla in questa maniera... forse questa battaglia contava molto più di tutte le precedenti. Forse questi morti contavano molto più di tutti gli altri. Forse si trattava soltanto di un grande vortice di sangue del quale non si sarebbe mai vista una fine. Un vortice che avrebbe inghiottito chiunque avesse avuto la sfortuna di cascarci dentro. In tanti erano caduti in quel vortice... e per molti non sarebbe stato possibile nemmeno che quello stesso vortice restituisse il cadavere per dargli rispettosa e doverosa sepoltura. Si sentiva parlare spesso di vittime di guerra. Letteralmente, erano le persone che non c’entravano nulla con la guerra ma che morivano a causa di essa. Persone che magari ignoravano anche i motivi logici, se mai ce ne fossero stati, per i quali era scoppiata la guerra. Civili per lo più... uomini, donne e bambini... senza alcun limite d’età sia per l’uno che per l’altro sesso. Vittime di guerra... un termine brutale che non rende affatto l’idea del suo reale significato. Il termine stesso che rende insignificanti quelle vittime, come se fossero soltanto cifre di poco conto, se non quello statistico. Solo danni collaterali in un conflitto troppo importante per ricordarsi dei loro nomi; meglio quindi adottare un termine che li racchiuda tutti e che dia loro la stessa (poca) importanza. Ma a questo punto, la domanda sorge spontanea: quando si può parlare di vittime collaterali e quando invece di massacro? Di sterminio gratuito? Quanto può essere sottile un confine di per sé già molto sottile? Difficile dare una risposta che possa soddisfare tutti. Almeno è difficile fornire una risposta coerente senza scendere in discussioni filosofiche lunghe e noiose e sicuramente inutili in un contesto del genere. Infatti non è il caso di affrontare l’argomento. Molti potrebbero dire che quello che sta succedendo oggi non ha niente a che vedere con le vittime di guerra. Dal sangue versato, questo è inequivocabilmente un massacro. Ma molti potrebbero anche dire che si tratta di più vittime di guerra del solito. Una leggera sbavatura in un termine che può ammettere sbavature, del resto. Alla fine, si potrebbe anche dire che gli stessi soldati sono vittime di guerra. Chi più di loro potrebbe definirsi vittime di guerra? In fondo sono loro che combattono la guerra! Una guerra che alcuni di loro condividono, che altri di loro non approvano e che altri ancora non capiscono. Altri ancora muoiono prima di capirlo. Altri non capiranno mai neanche se dovessero campare cento anni.
Ma c’è qualcosa che può far riflettere davvero: come può definirsi l’uccisione di tante persone racchiuse in un gesto di estrema fede e difesa all’interno di una chiesa? Anche loro rientrano nel termine vittime di guerra?
Forse, in questa circostanza, tutti o quasi sarebbero concordi nel dire che il termine più giusto è massacro.
Il brusìo delle preghiere che si accavallano l’una sull’altra sembra aumentare il senso di disperazione invece che alleviarlo, mentre le bordate dei cannoni e le secche raffiche delle mitraglie costituiscono un brutale sottofondo alle parole dei fedeli che sperano nella salvezza delle loro anime.
Purtroppo, nessuno si fa illusioni, all’interno della grande chiesa di Monte Sole. Nessuno pensa di potere mai uscire vivo da lì. Don Ubaldo Marchioni è dietro al possente altare di marmo bianco dalle sottili venature nere e scorre lentamente la marea di fedeli di fronte ai suoi occhi luccicanti di lacrime. Il suo sguardo non viene restituito dalla maggior parte delle persone che hanno cercato rifugio nella casa di Dio. Alcuni sono troppo concentrati nella preghiera, altri piangono a testa bassa ed altri restano in ginocchio sulle panche semplicemente in silenzio. Forse pensano ai loro cari già defunti, al loro ricordo ed al fatto che presto si riuniranno a loro o forse vogliono solamente rimanere in silenzio e dimenticare all’orrore che sta devastando tutto il loro paese, tutto il loro territorio. Forse credono di lasciarlo lontano, di cancellare quell’incubo come per magia. O forse credono che recitare le loro preghiere in silenzio possa essere più utile per avvicinarsi a Dio ancora di più e di toccarlo con la loro anima. O forse sono tutte stronzate... magari è semplicemente il loro modo di manifestare la paura, un po’ come la gente che resta paralizzata.
E di certo è una balla anche il fatto che tutta quella gente non si trovi lì per fede... in realtà, la maggior parte di essi ha visto l’interno di quella chiesa una volta sola la mattina di natale o mai. Tanta gente ignorante che non sa nemmeno cosa sia il Vangelo, oppure troppo occupata per lavorare. Ma ci sono anche persone che non hanno mai avuto simpatia per la Chiesa come istituzione... che non apprezzano le benedizioni pasquali, pensando invece che portino sfiga, oppure talmente comunisti da non poter scalzare quella fede rossa in alcun modo conosciuto o sconosciuto. Comunisti da generazioni e generazioni e questo ha già detto tutto.
Eppure sono lì ora, spaventati per quello che sta succedendo, speranzosi in un miracolo da parte del Signore, che dovrà intervenire a breve tanto è disgustato da quel continuo delirio di violenza. In teoria.
Davvero brutto sentire il sottile alito della Morte... l’alito cattivo e penetrante che si fa sempre più vicino alle spalle e la lunga ed appuntita ombra della falce che sembra già trafiggerti e trascinarti in un luogo di sofferenza, che è nulla paragonato a quello che sta accadendo sulla Terra. Ed il crudele ghigno eterno che non può essere fermato dalla sacralità del luogo in cui hanno trovato rifugio tutte quelle anime sfortunate.
Tanta gente che conosce... ma tanta gente che non conosce. Tutti figli di Dio e tutti suoi protetti all’interno di quelle mura.
Non è bello per un servitore di Dio provare rabbia ma spera che la misericordia dell’Altissimo lo possa perdonare anche questa volta come ha già fatto altre volte nella sua vita.
È difficile contenere tutta quella rabbia all’interno della tonaca che lo veste. Si sforza di farlo ma è difficile davvero.
Rabbia, non odio. Non odio verso chi sta trucidando e distruggendo in nome di un ideale assurdo da qualunque lato provi a guardarlo. Anche loro sono figli di Dio, anche se l’hanno dimenticato o preferiscono non ricordarlo mentre uccidono e ridono nel farlo. Soltanto rabbia verso sé stesso. Vorrebbe che quella chiesa avesse una botola segreta o un lucernario invisibile o un tunnel che portasse tutti così lontano da essere al sicuro. Vorrebbe che ci fosse un modo per proteggere quel gregge sperduto. Ma non c’è.
I passi pesanti si fanno sempre più vicini. Gli spari anche. Non resta molto tempo.
Le lacrime gli rigano entrambe le guance mentre guarda i tanti bambini che si stringono alle loro madri e nascondono i visi terrorizzati nei loro grembi. E le mamme avvolgono le loro calde braccia attorno ai loro angeli. Piangono anche loro perché sanno che non potranno salvarli. Sanno che non ci sarà pietà per loro.
Don Ubaldo vede quei piccoli bambini tremare e stringe con forza il rosario che ha tra le mani:
“Signore, se vuoi fare un miracolo, questo è il momento, ti prego! Fallo per loro! ”
Questo pensa il religioso... ma non giunge nessuna risposta. Il cristo gigante al centro del rosone piange e soffre con loro ma non può fare nulla. Non vuole? Non può. Forse, le cose devono andare in questo modo per un motivo a loro sconosciuto, come tutto quello che succede nel mondo del resto. Almeno per chi ha fede.
“La fede è un valore incrollabile, ma vacilla davanti alla paura e solitamente è a quel punto che si vede la differenza tra chi ha davvero fede e chi non ne ha fino in fondo. La paura mette a nudo tante cose in un uomo. Molte che neanche lui stesso pensava di avere. Ma non ci si deve vergognare di avere paura. Si può affrontare oppure si può far finta di ignorarla ma non si deve provare alcuna vergogna perché tutti hanno paura. La paura fa parte di sé stessi come lo è la fede. Tutti noi abbiamo paura adesso. Ma tutti noi abbiamo abbracciato la fede e sappiamo che essa è molto più forte della nostra paura. Perché essa può solo danneggiarci nella vita che viviamo su questa terra. Può indebolirci solamente durante il breve passaggio su questo mondo. Ma se abbiamo fede... essa ci accompagnerà nel nostro lungo viaggio verso la nostra destinazione finale. In un luogo dove la paura non potrà raggiungerci. Dove non potrà scalfirci. Dove la serenità ci avvolgerà come una coperta calda d’inverno o una doccia rinfrescante d’estate. Un luogo dove non avremo più niente da temere, figli miei. Pregate ancora. Tenetevi le mani e non temete la paura. Non sarà per molto. ”
Il primo colpo alla porta spacca le orecchie di tutti i presenti e li fa sussultare. Qualcuno geme e deglutisce dall’ansia ma la saliva fa male mentre scende nella gola. Qualcuno singhiozza ed inizia a piangere rumorosamente, mentre chi aveva chiuso gli occhi li stringe ancora di più. Le vetrate si infrangono sotto la gragnola di proiettili sputati dalle mitragliette ed un secondo colpo al portone precede lo scricchiolio del legno. Non resisterà al prossimo.
Tutti si stringono forte al centro della chiesa. Don Ubaldo si inginocchia e poggia il viso sulla superficie dell’altare. La bacia. Le gambe gli tremano e si fanno molli. Non sarebbe riuscito a restare in piedi ancora a lungo e non voleva che lo vedessero crollare, anche se sicuramente avrebbero capito... anche lui ha tanta paura. Pensa ai suoi genitori. Piange perché non potrà più vederli, ma in cuor suo spera di non doverli incontrare quando sarà giunto nel regno dei cieli. Spera che almeno loro potranno farcela. Spera che potranno ricordarlo con affetto.
“In questa valle di lacrime non temerò alcun male... ” sussurra al suo gregge, sollevando il capo e sorridendo loro mentre si rialza lentamente in piedi.
Don Ubaldo Marchioni. Parroco di Monte Sole e sostenitore dei partigiani della brigata Stella Rossa. Tutti lo sapevano nei dintorni, anche se facevano finta di no. Un buon alleato e un prete che piaceva alla gente, anche a chi non andava in chiesa. Una brava persona.
La porta si abbatte sul terreno di schianto... una raffica lo colpisce in pieno petto. La paura lo abbandona di colpo.
Le grida folli in tedesco. Le granate entrano dalle finestre spaccate a dozzine e rimbalzano contro le panche e l’altare.
Le grida si spengono in mezzo al boato e alle fiamme.
Ed Augusto Marchioni sente una dolorosa fitta al petto in quel momento. Porta la mano destra al cuore e si volta indietro a guardare il paese di Marzabotto ormai lontano ed indistinguibile ai suoi occhi.
Avrebbe voluto rimanere accanto alla sua famiglia. Immaginava quello che sarebbe successo... lo sentiva.
Ma un ufficiale gli disse che doveva portare quelle due vacche a Casalecchio Di Reno assolutamente. Non si poteva rifiutare anche se non capiva perché proprio lui doveva eseguire quel compito. I colpi di mitraglia che aveva sentito mentre sedeva sul bordo del vagone merci del treno lo avevano riempito d’angoscia ma non poteva farci nulla. Doveva obbedire agli ordini di quell’ufficiale dall’aria così strana. Quasi triste.
L’aiutante maggiore Paul Albers.
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