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Disney Store
Solo il Natale ci mancava. Come se Napoli non avesse già abbastanza problemi. Il caos e una qualche presenza demoniaca sembrano essersi impossessati della città e dei suoi abitanti. Tutti alle prese con una nevrotica e grottesca pantomima di felicità. Per quanto mi riguarda la situazione è insostenibile. Mi sono appena calato il terzo acido nel giro di poche ore, sperando che mi dia la forza di comprare gli ultimi regali. In questo momento Via Roma mi si srotola davanti agli occhi in tutto il suo sovraffollamento. Pechino a confronto sembra una saletta d’essai. L’acido sta facendo effetto. I battiti del mio cuore aumentano in maniera esponenziale. Verosimilmente andrò presto in iperventilazione. Ma questo è l’ultimo dei miei problemi. Infilo una mano in tasca ed estraggo la lista dei regali da fare. Mancano solo mio fratello e la mia cuginetta di cinque anni. Mio fratello lo liquido facilmente. Qualche grammo di coca e gli sembrerà il più bel Natale della sua vita. La piccola troietta invece sembra avere gusti difficili. Arrivo davanti al Disney Store. Penso che in questo cazzo di negozio ci sarà sicuramente qualcosa di adatto per una sgualdrinella di cinque anni. Entro e… CRISTO! C’è più gente che per strada!!! Una puzza di sudore mista a un tanfo di pupazzi di peluche mi invade le narici e sembra volermi bucare il cervello. Con le spalle urto altre spalle. Con le mani ricoperte di sudori freddi sfioro altre mani fredde e sudate. Col culo impatto altri culi. La paranoia del mio sguardo incoccia la paranoia e la follia che c’è negli occhi altrui. Mi sembra di sentire i battiti accelerati del mio cuore e anche quelli della gente che mi sta intorno. Probabilmente l’acido mi ha giocato un brutto scherzo. Forse questo non è il Disney Store. Forse sono a un rave party. Sebbene questo posto non sia gigantesco, i clienti sembrano smarrirsi senza soluzione di continuità. La mia percezione della cosa è che la gente riesca solo ad entrare ma poi non sa come uscire. Le persone vagano senza meta. Mi manca l’aria. Vengo assalito dall’atroce pensiero che probabilmente non riuscirò mai ad accontentare mia cugina di cinque anni. Penso anche che non conosco i suoi gusti in fatto di pupazzi. E penso che se anche sapessi il nome del suo pupazzo preferito, probabilmente qui in mezzo non lo riconoscerei. Mani contro mani, culi contro culi, desideri contro desideri. Tutto qui quello che resta del Natale. Peluche di tutte le dimensioni ci guardano inorriditi per la nostra follia. Per la nostra insulsa rincorsa del niente. Loro fermi, seduti, sereni e noi che ci sbattiamo come dei dannati. Credo che la loro qualità della vita sia di gran lunga migliore della nostra. Come previsto sto iperventilando. Vorrei una parete libera su cui poggiare le spalle e la testa ma non ne vedo. Al mio fianco, una madre con tanto di figlie gemelle al seguito, blocca una commessa che trasposta sulle spalle un drago di peluche di circa un metro e ottanta. La commessa ha lo smalto nero e i capelli castani, con delle ciocche rosse sparse qua e là senza alcun criterio. Mi sembra di conoscerla. Se non vado errato qualche sera fa l’ho vista collassare nel suo vomito nel cesso di uno di quei bar che stanno a Via Dei Carrozzieri. Quelli che fanno i cocktail da due euro. La mamma delle gemelle chiede se hanno un Winnie The Pooh a grandezza naturale. Con le unghie nere, le ciocche rosse e il metro e ottanta di peluche sulle spalle, la commessa tira un bel respiro e le risponde: «Guardi, i pigiami de La carica dei 101 sono sugli scaffali alle sue spalle». Detto questo lascia tutti lì e va a posizionare il drago gigante sul banco, alla cassa. La mamma delle gemelle mi guarda con gli occhi sgranati. Probabilmente si aspetta che commenti con lei l’accaduto. Io riesco solo a sgranare gli occhi a mia volta, ma è un riflesso involontario perché il cuore mi batte così forte che sembra volermi schizzare fuori dal petto.
Sono fermamente convinto che il Disney Store sarà la mia tomba, qui e ora. Quando morirò tutti diranno che ero un bravo ragazzo. Nessuno accennerà al fatto che mi drogavo. Nessun giornalista avrà il coraggio di scrivere che ad assassinarmi è stato il periodo natalizio.
Il panico mi passa e di fronte a me vedo uno dei sette nani. Mi fissa con occhi strani. Tipo psicopatico arrapato. Me lo immagino mentre nel cuore della notte prende vita e sodomizza il neonato che gli dorme accanto. Immagino il suddetto neonato che crescendo inizia a manifestare strani disturbi comportamentali. Lo immagino che fa incubi terribili e si piscia sotto nel sonno. Fantastico sul fatto che da adulto soffrirà di attacchi di panico devastanti e sarà incapace di avere un’erezione. Lo immagino vulnerabile e privo di fiducia in se stesso. Rido di gusto fissando lo sguardo da maniaco del pupazzo. Intanto la gente mi urta contro senza far caso minimamente al fatto che mi sto scompisciando guardando negli occhi uno dei sette nani. Come per magia, un peluche non bene identificato mi casca fra le mani. Potrebbe essere qualsiasi cosa. Un cane, un dinosauro, una pornostar. Una Vergine di Norimberga. Riesco solo a leggere il prezzo dietro il cartellino. Dodici euro. Lo prendo. Vado alla cassa. A servirmi è la tipa con lo smalto nero e le ciocche rosse nei capelli. Mi guarda come si guarda un muro bianco. Mi chiede se è un regalo, se lo deve confezionare. Senza nemmeno attendere la mia risposta prende l’occorrente e inizia a impacchettarlo. Fissa quel pupazzo con aria infastidita. Come se fosse una merda. Mi convinco sempre più del fatto che quando mia cugina lo vedrà me lo chiaverà in faccia. Intanto preparo i contanti. Questo posto è l’inferno. Le porgo i soldi e lei fa cadere due euro in un interstizio che c’è nel bancone. Sgancia un urlo disperato e isterico. Un collega le corre in soccorso e raccoglie la moneta. Lei abbandona la disperazione e sorride di scatto. Come se niente fosse accaduto. Mi dà lo scontrino e la busta col mio acquisto pietoso. Afferrando entrambe le cose, le dico che questo non è un posto adatto a dei bambini. Dico che l’ingresso al Disney Store dovrebbe essere vietato ai minori di diciotto anni. Lei contempla un punto imprecisato alle mie spalle. Con uno sguardo vuoto, freddo e inumano mi risponde: «Buon Natale anche a lei signore, e grazie per aver scelto il Disney Store».
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