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Il Molshed
Quando una nuvola oscurò del tutto il debole bagliore lunare non vi fu altro che oscurità. Ora Vendemar correva alla cieca, sgambettato dalle radici più robuste, pregando di non finire a terra perché quella sarebbe stata la fine. Il demone lo inseguiva da ore, prima una presenza invisibile poi una forma distinta alle sue spalle, a non più di venti metri, che pestava la terra con zampe orrende mentre artigliava e azzannava l’aria pregustando il momento in cui lo avrebbe preso.
Era apparso poco dopo che aveva chiuso gli occhi e iniziato a scivolare nel sonno, tanto che sulle prime era convinto che fosse un incubo, salvo poi sentire un alito gelido percorrergli il collo come una premurosa carezza della morte. Allora era balzato in piedi e si era messo a correre prima ancora che la propria mente considerasse una tale possibilità, lanciato fra gli alberi di quella foresta immensa mentre, gli era parso di sentire, al demone sfuggiva un’esclamazione di sorpresa e guadagnando un piccolo vantaggio.
Gli avevano detto della creatura che infestava la foresta, loro lo chiamavano Molshed, e lo avevano avvertito che di notte sarebbe stato in pericolo, qualcuno aveva anche raccontato una storia dettagliata a riguardo, ma per lui era rimasta tale, una semplice storia. Adesso che alla storia erano cresciuti dei denti affilati e qualche artiglio lungo come una spada, irritato con se stesso per non aver dato peso a quelle parole, Vendemar si implorò di trovare una soluzione a quel dilemma urlante che lo inseguiva senza pace.
Ricorda, si spronò, ricorda ciò che ti è stato raccontato. Fece molta attenzione a non distrarsi, per continuare a mettere un piede dopo l’altro e schivare gli alberi che gli sfrecciavano accanto, e intanto raccolse i resti di quelle conversazioni. Hanno detto che delle vittime del Molshed non è mai stato trovato nulla, ricordò, e ciò non è affatto incoraggiante! Una grossa ragnatela gli si impigliò in faccia, ma non fece alcuna differenza per lui che si sarebbe infilato volentieri in una buca zeppa di ragni pur di salvarsi. Il Molshed agisce solo al buio, lo avevano assicurato. Scavalcò una roccia con un balzo e subito dopo udì un rumore acuto, come metallo che graffia la pietra. La creatura era ancora più vicina e riusciva facile immaginarla mentre si affannava nella corsa aiutandosi anche con le orribile zampe anteriori. Vendemar non si voltò, consapevole del rischio che avrebbe corso e ancora orripilato da ciò che aveva visto quando si era voltato in precedenza. Forse…
La foresta si estendeva per decine di chilometri, dunque era da folle pensare di raggiungere il margine della vegetazione e cercare un villaggio in cui riparare; dopo aver corso tanto non era certo nemmeno di poter resistere un altro minuto. Aveva bisogno di togliersi il demone dalle calcagna, riposare per qualche secondo e farsi venire una buona idea. E forse…
Quella creatura era sensibile alla luce, gliel’avevano detto e ne aveva ricevuto una conferma fin troppo tangibile. Mentre dormiva era stato un bersaglio facile, tanto che il Molshed avrebbe potuto sbranarlo senza prendersi il disturbo di dargli il buongiorno, eppure non lo aveva neanche toccato, si era presentato sotto forma di sensazione per terrorizzarlo e metterlo in fuga perché forse… aveva paura del fuoco! Dunque mettendosi a correre all’impazzata non aveva fatto altro che favorirlo, mentre la cosa migliore era stare immobile accanto al fuoco che aveva acceso la sera prima. E quel fuoco ardeva ancora.
Chiese alle proprie gambe stanche di produrre un ultimo sforzo, di non cedere proprio nel momento cruciale e virò di colpo verso destra facendo leva contro un albero. Girando su se stesso vide con la coda dell’occhio la massa scura del demone che scivolava artigliando inutilmente il terreno e, ululando di rabbia, si schiantava contro una quercia. Ora non poteva permettersi di sbagliare una mossa.
Corse ancora per un po’, fino a che trovò un incavo nel tronco di un albero morente e vi si nascose, in attesa che il suo piano fallisse miseramente tra le fauci del demone. La cavità brulicava di insetti, molti dei quali interessati ad esplorare il nuovo arrivato, e puzzava di marcio proprio come Vendemar aveva sperato. Chiuse le dita attorno al pugnale da caccia che portava alla cintura, si rannicchiò meglio che poté e attese. Dopo pochi istanti sentì il respiro pesante della nera creatura, intenta ad annusare la pista lasciata dalla sua preda, a pochi passi dall’albero. Vendemar trattenne il respiro e pensò che se avesse dovuto usare il pugnale sarebbe stato in punto di morte, l’unica sua possibilità era che il puzzo prodotto dalla pianta in disfacimento coprisse il proprio odore disorientando il demone.
La creatura non si muoveva, sembrava attendere un segnale che ne illuminasse la ricerca. Sta aspettando un passo falso, pensò Vendemar terrorizzato. Aspetta che sia io ad uscire allo scoperto. Era sul punto di cedere, di abbandonare la prudenza e uscire per affrontare il mostro, quando quello sbuffò irritato e tornò sui propri passi nella direzione in cui Vendemar fuggiva in precedenza. Quando non udì più altri rumori se non gli ammonimenti dei gufi, Vendemar uscì dalla cavità, spazzò via insetti e sporcizia e si avviò in fretta verso il suo accampamento. Sapeva di essersi allontanato molto, ma aveva corso spesso in tondo e, per ignote ragioni, anche in quei momenti disperati aveva fatto attenzione a ricordare il luogo in cui aveva lasciato il suo zaino per andarlo a recuperare. Rise di sé, di quel tenace attaccamento alle cose che era un suo difetto e ora diveniva un’ancora di salvezza.
Il piano era semplice: sviare il demone per guadagnare un po’ di vantaggio – non pensava affatto di essersene liberato con un banale trucchetto - tornare nella radura dove si era accampato, nascondersi nel cono di luce del fuoco da bivacco che aveva acceso per riscaldarsi e attendere che facesse giorno. In verità c’erano delle condizioni di fondo da rispettare perché il piano funzionasse, ovvero doveva necessariamente arrivare vivo ed intero alla radura e ciò che gli avevano raccontato doveva rivelarsi vero oltre ogni dubbio. Ci sarebbe stato da ridere se, una volta giunto accanto al fuoco, quel mostro avesse smentito le voci di paese. Ridere da morire.
A un tratto fu scosso da un latrato terribile alle sue spalle. Il Molshed gli era di nuovo alle calcagna. Prese a correre più veloce, chiedendo al proprio fisico uno sforzo supplementare, e si accorse con stupore che stava pregando sommessamente, un bisbiglio che gli usciva dalle labbra senza sosta. Fa che trovi la radura, fa che trovi la radura, fa che trovi… Scansò all’ultimo istante una roccia e picchiò la spalla sinistra contro un tronco solido come il marmo, avvertì uno schiocco e una miriade di puntini bianchi gli si accese davanti agli occhi. Strinse i denti, si impedì con rabbia di svenire e continuò a mettere un piede dopo l’altro, come aveva già fatto per ore ed era determinato a fare fino all’accampamento.
Il demone ringhiava e ululava. A un certo punto Vendemar fu sicuro di essere stato agganciato dagli artigli della creatura, che forse aveva strappato buona parte della sua camicia, ma non rallentò il passo. Era esausto e iniziava a dubitare del proprio piano, della direzione che aveva preso e delle forze che gli restavano, quando scorse un bagliore e riconobbe il proprio accampamento. Esultante, si gettò a rotta di collo nella radura, verso la salvezza, verso… Il fuoco si stava spegnendo, restava solo qualche tizzone morente, che andava estinguendosi come le speranze di Vendemar, il quale non poté far altro che immobilizzarsi di fronte all’immagine della disfatta. Una parte di lui lo esortava a fare qualcosa, a riattizzare il fuoco o a scappare di nuovo, ma restò fermo, in piedi al centro della radura con un’espressione di totale sorpresa stampata sul volto.
Si disse che dopo aver corso per tutta la notte era assurdo che finisse così e meritava un premio per essersela cavata tanto a lungo e non una tale fregatura. Lo sgomento venne però seppellito da un’illuminazione. Era tanto preso dai ragionamenti sulla sfortuna che non si era reso conto dell’assenza del demone, che in quegli istanti di immobilismo lo avrebbe potuto sbranare senza fretta e invece era sparito. Un rivoletto di speranza colò fuori dalla massa di disperazione che lo avviluppava. E se avesse trovato una preda meno tenace e cambiato bersaglio? Girava su se stesso, scrutava tra gli alberi e non vedeva alcun movimento, quando il latrato del demone fece sobbalzare l’intera foresta. Oh, vana speranza!
Estrasse a fatica il pugnale e lo puntò davanti a sé, continuando a cercare senza esito la creatura che gli dava la caccia. Tornando nella radura si era trasformato da preda resistente in facile spuntino e ora il mostro non aveva fretta. Il buio si stava diradando e così poté vedere il demone appollaiato su un ramo che lo osservava sbavando. Occhi negli occhi.
Sono morto, pensò Vendemar, sorprendendosi per la lucidità di tale pensiero. La mia vita finisce qui.
Lasciò cadere il pugnale e rimase immobile mentre il mostro si lanciava dal ramo, spezzandolo per la potenza del balzo, e spalancava le fauci esponendo denti enormi, denti che di lì a poco lo avrebbero dilaniato senza difficoltà. Se avessi messo più legna nel fuoco… Un rammarico senza rabbia, solo la constatazione del flebile equilibrio tra vita e morte. Fu allora che vide il raggio. Un bagliore dorato proveniente da est illuminò il demone, che crollò a terra con un tonfo terribile ed emise il suono più agghiacciante che Vendemar avesse mai sentito, un grido di dolore tanto più orrendo in quanto sembrava uscito dalla gola di un uomo. Il Molshed lo fissò con sgomento, la pelle gli sfrigolava come se fosse avvolta dalle fiamme, e fuggì svanendo nella foresta.
Vendemar cadde in ginocchio e altro dolore si aggiunse a quello alla spalla. Ne fu lieto. Il dolore è parte della vita e lui era vivo. Restò in quella posizione per un tempo infinito, piangendo di gioia e frustrazione, grato che la storia raccontatagli fosse esatta e riconoscente nei confronti del sole che lo aveva salvato. Come sempre accade, il giorno aveva squarciato il buio e spazzato via l’incubo. Non c’era più nulla da temere, fino al tramonto…
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0 recensioni:
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- sicuramente leggerò tutte le tue opere, scrivi bene e sai coinvolgere.
doti importatissime per uno scrittore
- Piaciuta anche a me, devo dire... si, lo so, sono quello che l'ha scritta, ma in effetti è così che funziona, uno scrive ciò da cui è affascinato e avvinto. Mi fa piacere di averti colpito con più di un racconto, peraltro opposti per lunghezza e ritmo, magari troverai altro che ti incuriosisce tra le mie altre opere!! Intanto ciao ancora e sempre grazie!!
- bella storia, davvero bella!
- Una scena, ben detto. Si tratta proprio di una singola situazione raccontata senza alcun approfondimento sul paesaggio o sul protagonista. Adoperai questa tecnica tre anni fa, prima di imbarcarmi nella scrittura di una trilogia fantasy, per essere preparato quando avessi dovuto scrivere scene simili. Comunque, lieto che ti sia piaciuto e grazie.

Anonimo il 24/04/2010 16:13
ho letto questo scritto e l'ho trovato veramente coinvolgente. Una scena ben scritta 
Anonimo il 25/10/2009 18:24
errata corrige : " riuscito a prendermi " . complimenti meritati
- I complimenti migliori che possa desiderare... grazie.
Anonimo il 25/10/2009 15:19
Bello, ben scritto. È di un genere che non amo, ma sei comunque riusito a prendermi. Bravo!

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