La cena era stata, invero, eccellente.
Al soffuso barbaglio delle due candele il vellutato colore del vino si riverberava romanticamente sulle pareti della sala come un fiammeggiante tramonto di mezza estate.
Il siderale luccichio delle posate d'argento prometteva un'indimenticabile notte stellata d'incanto attraversata da mirabile cometa, il diamante appena donatole.
Discioltosi il dolce dessert sulle labbra impazienti, d'un tratto gli sguardi si incontrarono invasi, entrambi, dal medesimo desio.
Dapprima una mano cercò presto l'altra, sfiorando leggera le pieghe di seta presso ombre di cristallo e petali di rosa tra il bianco panno sparsi.
Sul ciglio della mensa si incontrarono furtive, ambo sospese e tremebonde sul folle abisso della bramosia. Una piuma di sorriso accennata sulla bocca, un accenno di sospiro che prelude già allo slancio, un pensiero temerario sulla tanto ambita impresa. Lui sa già che intende fare; lei è da un po' che vuol vedere. Nessun cuore, però, denuda quel che cova nel suo centro: prudenze dell'amore o previdenze di saggezza.
Ed ecco, in opra le altre mani, fino allora dondolanti nella semioscurità. Lentamente, con ardire, riaffiorano alla luce inerpicandosi, gagliarde, tra selciati di baguette e giardini rucolosi. Le dita come artigli si inarcano nell'aria. Appresso, un rimbombo di silenziosità ancestrale preannuncia l'imminente, ormonica tempesta. Con movimento blando e adesso accelerando si innalzano in vertigini, come aquile, scrutando.
Precipitando, infin, fameliche, sul telecomando!