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Il volo della colomba - Parte I
Capitolo I – Avalon, il cimitero dei re
Aprile 1234
Nella semioscurità della stanza, illuminata fiocamente da una torcia appesa alla parete, un'ombra attirò l'attenzione di Nimue, che prese a seguire con gli occhi i movimenti della misteriosa figura. L'uomo, un vecchio di cui non si riusciva a scorgere altro che una lunga chioma argentea che gli ricadeva lungo le spalle, scostò le coperte e si alzò con molto sforzo dal letto in cui giaceva. Con movimenti lenti e affaticati, facendo frusciare la lunga veste blu notte, l'uomo si avvicinò al tavolo di legno e vi si sedette. Afferrò uno dei fogli di pergamena disordinatamente sparpagliati sulla scrivania, intinse una consumata piuma d'oca in una boccetta d'inchiostro e iniziò a scrivere.
A parecchie miglia di distanza, la maga Nimue teneva gli occhi avidamente fissi sulla sua sfera di cristallo, osservando con attenzione maniacale l'immagine del vecchio nella stanza buia e cercando di distinguere le parole che egli imprimeva sul foglio. Non appena ebbe terminato, l'uomo posò la piuma sul tavolo e ripiegò accuratamente la pergamena. Poi, con un gesto apparentemente incomprensibile, soffiò, e l'aria esalata dal vecchio sembrò prendere vita, assumendo le sembianze di una colomba bianca. L'uomo infilò la pergamena nel becco dell'uccello, che un istante dopo spiccò il volo, si diresse verso la finestra aperta e uscì nella notte.
Un sorriso soddisfatto e un lampo maligno balenò nel volto di Nimue, che distolse gli occhi dalla sfera: aveva visto abbastanza. Merlino non si smentiva mai. Anche ora, vecchio e stanco, dopo che il suo protetto Artù era morto e non era rimasto più nulla da difendere, il mago non si era ancora rassegnato alla sconfitta. Ma neppure stavolta sarebbe riuscito a portare a termine la sua opera. Perchè, come sempre, non aveva fatto i conti con lei, l'ambiziosa e astuta Nimue, la Dama del Lago.
Aprile 1255
“Tanti auguri, mio pazzerello cugino! ”
Prima ancora che i suoi occhi potessero abituarsi alla luce del sole che illuminava appieno la sobria stanza da letto, Galwen fu investito da un intenso aroma di more. Con fatica aprì gli occhi e sorrise a sua cugina, la bionda Laila, che gli stava sventolando sotto al naso una torta alla marmellata di more, la sua preferita.
“Mi sono alzata all'alba per prepararla. - si lamentò Laila. - E tu non mi ringrazi neppure? ”
“Grazie, cuginetta. ”
Sempre sorridendo, Galwen scostò le coperte e balzò fuori dal letto, poi afferrò con un gesto fulmineo il piattino dalle mani della cugina e staccò un pezzo di dolce, che cacciò in bocca con aria famelica. Poi uscì dalla stanza, dirigendosi verso la cucina.
“E ora non me ne fai nemmeno assaggiare un pezzettino? ” domandò Laila, seguendolo.
“Sempre a lamentarvi, voi donne. ” la apostrofò lui, poi si voltò e le mise in bocca un grosso pezzo di torta.
Una volta giunto in cucina, fu sorpreso di non trovarvi nessuno. Era convinto che i suoi zii l'aspettassero almeno per fargli gli auguri di compleanno.
Laila parve notare la delusione del cugino. “Mamma e papà sono usciti per andare in paese. Però ti hanno lasciato quella. - gli disse, indicando una busta appoggiata sul tavolo. - Mi hanno raccomandato di lasciarti solo mentre la leggi, perciò se vuoi me ne vado fuori a raccogliere un po' di legna. ”
Incuriosito, Galwen fissò la lettera sul tavolo, poi si rivolse a Laila. “Che cos'è? ”
Lei alzò le spalle. Il ragazzo si sedette su una delle sedie di legno della cucina, poi afferrò la busta e prese a rigirarla incuriosito tra le mani, mentre la cugina si dirigeva verso la porta. “No, puoi rimanere. - la fermò lui. - Sul serio, mi fa piacere se mi fai compagnia. ”
Laila acconsentì, e si sedette accanto a lui. Il ragazzo spiegò la lettera con cautela. Non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma aveva la netta sensazione che quel foglio non celasse nulla di buono. E mentre Galwen leggeva la lettera, il presentimento iniziale si tramutò in sconcertante certezza. Riconobbe all'istante la grafia incerta e spigolosa di zio Ludwig.
“Caro Galwen, - enunciò il ragazzo ad alta voce. - oggi è il giorno del tuo ventunesimo compleanno, e con esso è giunto anche il momento che tu conosca la vera storia delle tue origini. Desidero che tu sappia, innanzitutto, che tua zia Benedict ed io ti abbiamo sempre considerato alla stregua di un figlio, e come tale ti abbiamo sempre voluto bene. Cerca di non dimenticarlo mai, qualunque sarà la decisione che prenderai dopo aver letto questa lettera. Devi sapere che, quella sera di ventun anni fa, quando ci sei stato affidato, insieme a te è giunta anche una lettera che intimava che avremmo dovuto tenerti all'oscuro di tutto fino al raggiungimento delletà adulta. Ora che hai raggiunto quel traguardo, non c'è più motivo per tenerti nascoste le tue vere origini: tu, Galwen, non sei realmente nostro nipote, ma il figlio illegittimo di Lancillotto del Lago e della regina Ginevra, moglie di re Artù Pendragon. ”
Giunto a questo punto, Galwen si fermò, sconvolto. Non volle sapere quale fosse il seguito della lettera dello zio, non gli importava. Uscì come un fulmine dalla casetta degli zii e si diresse verso la stalla, dove agganciò in tutta fretta la sella e le briglie al suo cavallo, Dragon. Senza sapere né perchè lo stesse facendo né dove si sarebbe diretto, il ragazzo montò in groppa e partì al galoppo, incurante delle grida di Laila che, in lacrime, tentava invano di richiamarlo indietro.
Galwen non avrebbe saputo dire da quante ore stesse cavalcando. Si stava quasi facendo sera, e il cavallo cominciava a dare segni di cedimento, ma lui non si sarebbe fermato, e continuava a spronare il povero Dragon in preda ad una rabbia cieca e distruttiva, con l'animo in tumulto. La pioggia torrenziale lo inzuppava da capo a piedi, mescolandosi alle lacrime che gli scendevano lungo le guance. Galwen non faceva nulla per fermarle, così come non faceva alcunchè per placare la sua furia.
Aveva sempre creduto che i suoi genitori fossero morti in qualche incidente di montagna, quando lui era molto piccolo, e che in seguito fosse stato affidato ai suoi unici parenti ancora in vita, gli zii Ludwig e Benedict. Ora, come un getto di acqua ghiacciata, gli era stata rovesciata addosso una realtà ben diversa. Lui, l'umile e insignificante Galwen, l'erede di Lancillotto del Lago? L'erede dei cavalieri della Tavola Rotonda? Com'era possibile? E i suoi zii, o meglio, le persone che avevano acconsentito ad allevarlo, gli avevano mentito per tutti quegli anni?
L'avevano tradito, ed era quello che gli faceva più male. Non sapeva ancora che cosa sarebbe successo, che cosa avrebbe deciso di fare, ma era certo che, dopo quella rivelazione, nella sua vita nulla sarebbe stato più come prima.
Finalmente, il gran momento era arrivato. Il ragazzo aveva saputo, e si era messo in viaggio. Nimue sorrise soddisfatta. Tutto stava procedendo secondo i suoi piani: il ragazzo si stava mettendo in trappola con le sue stesse mani. Sarebbe arrivato presto a destinazione, aveva solo bisogno di un piccolo aiuto per prendere la direzione giusta. E lei, Nimue, sarebbe stata ben felice di darglielo. Si rimboccò le maniche dell'abito dorato e chiuse gli occhi in un'espressione concentrata. Inspirò per alcuni secondi il forte profumo d'incenso della stanza, poi pronunciò le parole dell'incantesimo.
Quando riaprì gli occhi, riprese a guardare la sfera e attese per alcuni lunghi minuti. L'incantesimo stava sortendo i suoi effetti. Da quanto Nimue riusciva a scorgere dalle immagini proiettate nella sfera di cristallo, il ragazzo sarebbe giunto a destinazione prima del previsto. Era ora di agire. La maga indossò frettolosamente il mantello, si cacciò il cappuccio sul capo e uscì. Sarebbe andata a cercare le sue Dame, e avrebbe dato loro accurate istruzioni. Erano ventun anni che attendeva quell'appuntamento, e ora non poteva certo permettersi di fallire.
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