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il Ragno
1
- Vieni su ad aiutarmi!
Giovanni levò lo sguardo dalla tavoletta di cioccolato che stava divorando con gusto alla finestra della mansarda. Da quel piccolo oblò la faccia di suo padre sporgeva in fuori seria e sudata; gli ricordava tanto la testa di uno dei cinghiali imbalsamato che aveva il nonno nella casa ad Aosta; gli venne da ridere ad un simile accostamento.
- Allora, ti decidi a salire?
- Si, si. Papà, arrivo.
Si mise in bocca il restante pezzo di cioccolata ed entrò in casa sbuffando. Così come ogni anno erano iniziate le terribili grandi pulizie, suo padre da buon ex Marines del San Marco aveva preparato per bene il “piano di battaglia”; sveglia all’alba e sgobbare sino al tramonto. In compenso però i pasti erano ricchi e abbondanti. Salendo al piano di sopra si domandava com’era possibile ammassare in soffitta ogni sorta di cianfrusaglia, scatolame e ferrovecchio che il padre poteva ritenere utile per un futuro riutilizzo. Proposito che puntualmente ogni anno era smentito giacché tutta quella roba finiva inesorabilmente nel camion del vecchio Vannucci, soprannominato da tutti “Drehermen” per la sua passione per la birra, con destinazione la discarica comunale. Non era meglio buttare subito via quella roba inutile invece di ammassarla?
Ovviamente no, secondo la filosofia del padre “Tutto può essere utile!”; si, buonanotte!
A tali condizioni non poteva che fare come Garibaldi rivolgendosi al re: “Obbedisco!”.
2
Fasci di luce trasversali filtravano immobili dai lucernai aperti illuminando le nubi di polvere che vorticavano per aria, simile a microscopici coriandoli bianchi che precipitavano a terra. In quella luminescenza spiccano le impolverate superfici d’infinite scatole accatastate una sull’altra, vecchi mobili, e chissà che altro. I giochi chiaroscuri che rendono più tenebrosi gli angoli di buio e conferiscono argentei riflessi ai filamenti delle tante ragnatele. Giovanni le osservò immobile pensando che non n’aveva mai visto così tante tutte assieme. Sorrise all’idea che il suo valoroso padre temeva mortalmente quelle innocue bestioline, misteri della natura umana! Evocando a se tutta la mitica pazienza degli avi iniziò a trafficare con le decine scatole che ingombravano la mansarda. La disposizione era semplice: quelli già ispezionati dal padre si trovavno addossate al muro, tutte le altre andavano portate sulla terrazza nel retro. Lì, per mezzo di uno scivolo, venivano fatte scendere dentro il cassone del Iveco. In fondo alla mansarda notò che la porta del terrazzo era spalancata, da fuori le voci di suo padre Augusto e del Vannucci giungevano incomprensibili; si avvicinò incuriosito. Fuori suo padre depositava cautamente scatole e scatolette sul lucente scivolo, osservandole scorrere giù verso il cassone del Iveco. Lì il Vannucci si esibiva in plastiche prese da vero portiere di serie A, afferrando al volo le scatole, alternando una chicchera con Augusto ad un sorso dell’immancabile Dreher. Ovviamente i discorsi riguardavano il loro passato nella marina, di quanto erano stati bravi e forti ai loro tempi. Sembrava quasi di sentire i racconti di due reduci dal Vietnam!
Da come barcollava il Vannucci pareva anche oggi sul punto di prendersi una bella sbornia. Normalmente non faceva più di un viaggio al giorno, non era una scelta lavorativa dettata dal fatto che la discarica era piuttosto lontana, ma dal fatto che trangugiando tutta quella birra non riusciva più a distinguere le strade. Veramente, quando era proprio cotto, non riusciva a distinguere neppure il suo Iveco da una panda…
Giovanni ritornò con lo sguardo dentro la mansarda, guardandola da lì tutta quella roba ammucchiata pareva infinita, quasi fosse aumentata rispetto a prima. Sbuffando si decise ad iniziare la sua parte di lavoro declamando un’altra massima cara a suo padre:
Prima inizi e prima finisci!
3
Le scatole sembravano non finire mai! In tutta la mattina si era fermato solo per un breve spuntino ed ora che erano quasi le sedici Giovanni sentiva lo stomaco reclamare un vero, sostanzioso, pasto. Fermatosi ad ascoltare la sinfonia di mugolii e gorgoglii che salivano dal ventre, s’appoggiò ad una scatola, asciugandosi con un lembo della camicia la fronte bagnata di sudore impastato con polvere. L’unica consolazione era che finalmente la giornata stava finendo; ormai rimanevano soltanto le scatole sul terrazzo da depositare nello scivolo. Forse una quarantina di minuti sarebbero bastati per ultimare il lavoro e mettersi finalmente a tavola. Galvanizzato dalla succosa prospettiva raccolse l’ennesima scatola, la posò sullo scivolo, e la osservò slittare velocissima verso il basso sino ad arrivare al fondo del cassone con un sonoro Sbot!
Con tutte quelle scatole che aveva visto scivolare giù gli era venuta una splendida idea, una sua classica genialata. Lasciando per ultimo un vecchio materasso, si era ripromesso che per il gran finale sarebbe sceso anch’egli dallo scivolo. Una manovra molto rischiosa, doveva tener conto della velocità di caduta, ogni movimento doveva essere coordinato, se avesse sbattuto sugli alti bordi o si fosse rovesciato sicuramente sarebbe caduto giù. Continuando a spostare le scatole cercava di affinare le dinamiche di quella folle idea, una delle tante per cui era diventato leggendario con gli amici; così come quella volta in cui il Toni lo sfidò ha percorrere in bicicletta l’alto muro di cinta delle Acciaierie Mensa; quasi un chilometro di muratura alta due metri. La sfida si disputò di notte per giunta, per evitare gli sguardi indiscreti degli operai; fu un’esperienza esaltante. Per il povero Toni invece sei punti di sutura sull’arcata sopraccigliare destra, risultato della paurosa caduta dopo aver percorso pochi metri sul muro. Ovviamente la sua famiglia, e quelle degli amici, non approvava tale comportamento. Suo padre Augusto cercava in ogni modo di raddrizzare quella contorta mentalità, la giudicava un’assurda sfida al pericolo, ignorando invece la sua voglia d’emulare un padre così straordinario. Per lui era un vero mito. Nel primo cassetto della credenza teneva la sua foto, in alta uniforme della marina, indossata nel giorno del congedo, era il più grande e segreto tesoro, sottratto furtivamente dall’album fotografico del genitore. Aveva fatto solenne giuramento che, appena raggiunta la maggiore età, avrebbe fatto domanda per partire volontario in marina, al battaglione S. Marco.
Un movimento improvviso lo bloccò mentre sollevava l’ennesima scatola; si domandò cosa fosse. Guardò incuriosito il grigio pavimento, era sicuro d’aver visto una cosa saltare giù dalla scatola e non ci mise molto a trovarla. A non meno di dieci centimetri dal suo piede destro vide un grosso ragno. Aveva uno strano colore che sfumava dal grigio al viola e dieci lunghe zampette nere; praticamente era la cosa più strana che avesse visto in tutta la sua vita.
(Che cavolo è questo? Mi sembrava di ricordare che i ragni avessero otto zampe e non dieci!), pensò mentre fissava lo strambo insetto che si dondolava sui lunghi arti, quasi non sapesse dove andare… o forse si stava preparando per spiccare un balzo?
Di ragni nella mansarda n’aveva visto a decine, certo quello era strano, gli veniva voglia di schiacciarlo, distruggerlo, farlo sparire. Posò lentamente la scatola a terra, il ragno parve incurante dei suoi movimenti, continuava imperterrito con il ritmico, fastidiosissimo, dondolio. Alzò il piede destro e lo portò sopra l’insetto.
- Mi spiace piccolo…-, disse Giovanni sorridendo. - …sembri troppo pericoloso perché continui a campare.
Detto ciò il piede calò lentamente sul povero insetto.
- Non puoi neppure immaginare quanto!
La voce comparsa dal nulla lo gelò all’istante lasciandolo inebetito con il piede sollevato a pochi centimetri dal suolo. Impaurito si guardò attorno per capire chi avesse parlato, ma il terrazzo era angosciosamente deserto. Solo lui e il ragno.
(Sparito!)
Si guardò ben attorno con un crescente senso di disagio.
(Non può essere stato così svelto.)
Per quanto si sforzasse il curioso insetto sembrava sparito nel nulla, come se non fosse mai esistito; incominciò anche a dubitare d’averlo realmente visto. Decise infine di lasciar perdere.
(Quante storie per uno stupido ragno!)
Rise! Convincendosi con quel gesto di poter cancellare tutta l’angoscia che lo aveva improvvisamente assalito. Anche la strana voce non era mai esistita, pura allucinazione per la troppa fame. Confortato da tutte quelle elucubrazioni riprese la scatola fantasticando sul tipo di premio da chiedere al padre come ricompensa per il massacrante lavoro ottimamente svolto.
(Gli chiederò il permesso di andare in disco con gli amici, questa volta non potrà dire di…)
I pensieri s’interruppero lì, mentre stava chino sulla cassa da sollevare. Lo sguardo posato sull’abnorme forma di quel malefico ragno immobile, sul jeans della gamba destra.
(Maledizione!)
Non poté dire o fare altro. Velocissimo il ragno s’infilò oltre l’orlo dei pantaloni, lo sentì zampettare mentre risaliva la caviglia; poi un pizzico, e un senso di bruciore che dalla gamba gli invase il corpo.
Gli effetti furono immediati. Una sensazione di vertigine contorse il mondo attorno a lui, come se una forza sconosciuta lo stesse sollevando per aria. Preso dal panico incominciò a barcollare, i suoi sensi sparirono e la vista divenne scura come la notte.
- Mio Dio…no…aiuto!…
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola ma né il padre né il mezzo ubriaco Vannucci lo sentirono. Nessuno vide il suo corpo cadere sul grigio pavimento de terrazzo, accasciandosi tra le scatole, privo di sensi.
4
Sul terrazzo il corpo di Giovanni stava immobile sotto il sole d’ottobre freddo e spettrale. Il volto color cenere, le labbra viola colanti di saliva densa, spasimi irregolari che scuotevano bruscamente il corpo, il respiro lungo e affannoso. Poco più su della caviglia destra, sotto lo spesso strato dei jeans da lavoro, sporgeva appariscente la protuberanza pulsante creata dal ragno. Seguiva il ritmo del respiro di Giovanni scuotendo sinistramente la stoffa…
5
L’oscurità.
Quel buio silenzioso fu stravolto da un oggetto luminoso, una sorta di lungo e affilato coltello bianco. Fluttuò in quel nulla fermandosi al centro della visuale. Non ne capiva il significato o perché fosse lì, qualsiasi posto fosse. Non sapeva cosa fare, pensare, cercare… ma il fatto stesso di essere cosciente di se e della sua condizione gli riempiva l’animo di un angoscia lacerante. Un dolore tanto forte che non poteva sostenere. Oltre il nulla e il dolore aveva quello strano oggetto; nessun altro pensiero. No; uno c’era: sta cambiando!
Ai lati del coltello di luce s’aggiunsero due cuspidi bianche e scintillanti, simili a dei coltelli più piccoli. Su le loro lucenti superfici iniziarono a scorrere delle immagini. Un bambino di cinque anni su di una bicicletta, un triciclo azzurro… sorride felice mentre gira in circolo in un prato verde. Sull’altro la forma di una gigantesca torta, illuminata solo dalle candeline colorate accese, il numero sette decorato con la cioccolata; il viso felice di un bambino che emerge dalla penombra e, con un soffio, spegne le candeline urlando soddisfatto.
Ai lati di questi incredibili visori a forma di cuspide se n’affiancano altri due, simili al primo coltello, a questi altri quattro più piccoli sui lati. Ad un ritmo esponenziale gli oggetti si susseguirono fino a riempire tutto l’orizzonte.
Ora il nulla è colmo d’immagini, un enorme muro di cuspidi che proiettano frammenti dei ricordi di Giovanni, la sua mente le guarda mentre il muro di cristallo si piega su se stesso, imprigionandolo. Sembra solido ma quando il pensiero lo sfiora ecco che ondeggia, si sfascia, crollandogli a dosso. Le migliaia d’immagini lo coprono come infiniti mattoncini di un lego mandato per aria. Giovanni che va al mare; Giovanni mentre prende il bus dopo la scuola; Giovanni che esce con gli amici; Giovanni che gioca a pallone… le immagini ricoprono l’Io di Giovanni. Per ultima rimane la figura snella e scattante del ragno a dieci zampe… poi il nulla torna freddo a coprire tutto. Anche la coscienza di se medesimo sparì.
6
Un angolo scuro stagliato contro un qualcosa di lontano e grande, tinto con sfumature di rosso e viola. Lo regge una piccola piramide bianca con al centro un buco nero. Vicino le sagome d’enormi quadrati scuri lo sormontano, limitandone la visibilità, inclinata sulla destra, di quella strana struttura così famigliare. Gia vista…
Senti dolore quando si muore? Forse si… sicuramente provi angoscia, paura, pensi a tante cose e a nulla mentre il panico raggiunge vette inimmaginabili. Ma Giovanni era realmente morto? Era certo che quel ragno avesse scritto la parola fine alla sua vita. Invece gli occhi vedevano ancora, lentamente quello strano panorama prese a ruotare, radrizzandosi. Gli oggetti acquistano forme e dimensioni reali, così improvvisamente si trovò a contemplare pile di scatole ammassate tutt’attorno a lui, davanti alla facciata a piramide della mansarda. Sopra il cielo che si stava iniziando a tingere dei colori della sera, con il sole, basso sull’orizzonte, che si nascondeva dietro le nuvole. Si rese conto d’essere ancora vivo!
Avrebbe voluto urlare tutta la sua gioia, ma dalla bocca uscì poco più di un gorgoglio. Rivedere il sole fu bellissimo anche se quella felicità lasciò subito posto alla coscienza che la sua disavventura non era ancora finita. Dalla posizione del sole intuì che era rimasto svenuto per almeno tre ore, possibile che in tutto quel tempo suo padre non si fosse accorto di nulla? Riprovò ad urlare, gridare: sono qui, aiutatemi!
La bocca gorgogliava ancora, la sentiva impastata, piena di bava densa e appiccicosa, non riusciva neppure a passarsi una mano sul viso per ripulirsi da quanto era intontito.
(Dio, Dio… devo essere messo davvero male! Non posso stare qui ad aspettare di morire, devo riuscire ad alzarmi…)
Disperatamente cercò di muoversi, di fare qualche rumore per attirare l’attenzione degli altri, ma non riuscì neppure in questo. L’ansia rese il respiro affannoso mentre il pensiero che la morte che si faceva prossima finì per stordirlo ulteriormente.
(… non voglio morire… non voglio!)
Tutte le emozioni che avevano contraddistinto quegli ultimi minuti divennero insignificanti, anzi sparirono istantaneamente nel momento in cui Giovanni vide il suo corpo emergere da dietro gli scatoloni, prenderne uno e depositarlo sullo scivolo; lo guardava passivo scivolare giù.
(Quello sono io!)
Osservare se stessi fu una brutta esperienza, sicuramente la peggiore di tutte quelle che negli ultimi minuti aveva vissuto. L’altro Giovanni si muoveva in maniera strana, bastavano pochi passi per evidenziarne un impaccio fanciullesco, quasi fosse un bambino che imparava a camminare. Prese un’altra scatola e la posò sullo scivolo con grande difficoltà. Poi un’altra, qui però il viso di Giovanni si volto, con uno scatto quasi meccanico, verso di lui e pronunciò una parola, scandendone bene le lettere.
- Salve!
Veramente quella parola gli si era formata direttamente nel cervello. L’ennesima stranezza che andava a confermargli quanto quel mondo fosse irreale. Augurandosi di risvegliarsi al più presto decise di stare al gioco e provò a rispondere mentalmente al saluto.
(Salve.)
(Scommetto che ti domandi cosa sta succedendo.)
(Effettivamente si.)
(Semplicemente mi serviva un corpo, così mi sono preso il tuo. Certo ho ancora qualche difficoltà motoria ma con un po’ di pratica imparerò; credi che questo sia tutto un sogno?)
(Incubo, delirio, allucinazione… chiamala come ti pare!)
(Voi umani siete incredibilmente scettici… se ti riesce prova a voltarti per guardare dietro di te.)
(Va bene!)
Giovanni iniziò la manovra. Un semplice movimento rotatorio di centottanta gradi, una sciocchezza che avrà fatto almeno un miliardo di volte senza starci tanto a pensare; eppure non ci riusciva! Negli incubi anche i movimenti più elementari sono impossibili, spesso ti manca la voce e capitano le cose più incredibili. Era convinto che quella realtà fosse fasulla ma continuò ad impegnarsi nella manovra, era curioso di vedere cosa voleva mostragli l’altro lui. Sentiva le gambe incredibilmente leggere e lunghe, coordinarne i movimenti gli costò un’immane fatica, non capiva se era in piedi o strisciasse scompostamente al suolo. Gli occorsero parecchi interminabili secondi ma finalmente a voltarsi. Dall’altra parte s’ergeva un enorme specchio impolverato che non aveva mai visto prima, d'altronde uno specchio alto almeno dieci metri se lo potevano permettere in pochi! I suoi lati erano tutti smussati e scheggiati, facendo da apripista ad una lunga e sinuosa crepa che arrivava sino alla sua base. Seguì con lo sguardo quel ripido fulmine congelato nel vetro sino ad incrociare il riflesso del suo corpo dietro di lui. Immediato tornò il disagio, sensazione che si trasformò in stupore e nuovamente in terrore quando vide dinanzi a se il riflesso del ragno.
(Non è possibile…), pensò d’alzare una gamba sperando che il riflesso del ragno non facesse la medesima cosa, invece… anche quello alzò una delle sue zampette pelose.
(Io sono il ragno?!)
- Sicuramente uno scambio vantaggioso! -, il corpo che era appartenuto a Giovanni parlò con insopportabile enfasi.
(Tu chi diavolo sei… perché hai preso il mio corpo?)
(Non ti serve sapere altro, d'altronde per quello che devo fare il corpo di un ragno non era il più indicato), rise. Una risata piena e alta, come mai prima s’era accorto di possedere.
( Uccidimi e facciamola finita!)
(No, voglio studiare le tue reazioni).
L’espressione sul volto di Giovanni mutò in un attimo, come se si fosse destato da un lungo sonno, appariva ora stanca ma normale. Provò anche a muoversi e tutti i gesti erano più naturali.
- Giovanni, che combini?
Giovanni si sporse oltre il bordo del terrazzo, guardò i due uomini che stavano immobili sul cassone di un camion parzialmente riempito di scatole e vecchi utensili.
- Figliolo va tutto bene?-, insistette suo padre con un misto d’apprensione e nervosismo. Stava per tramontare il sole e intendeva ultimare i lavori prima che ciò accadesse.
- Tranquillo papà va tutto bene!
- Allora riprendi a mandare giù la roba prima che il Vannucci sia completamente ubriaco!
Rise a quella battuta osservando l’altro, il Vannucci rispose aprendo un’altra birra. Giovanni si avvicinò alle ultime casse ammucchiate vicino al ragno, s’inchinò a sollevarne una.
- Vedi, nessuno s’è accorto dello scambio, ora io sono te!
( No, no, no, nooooooooooooooo!!!!!)
La realtà, atroce, sconvolgente, divenne un dolore pulsante, fortissimo, che gli spaccava il cervello. Il ragno Giovanni sentiva che la sua piccola testa sarebbe esplosa, sperava che ciò accadesse almeno quella mostruosità che stava vivendo sarebbe cessata. Non potendo urlare per sfogare quell’immenso dolore incominciò a correre più veloce che poteva sulle sue lunghe zampe. Sbatté prima sul vetro e poi sulla scatola accanto. Si rovesciò ma subito tornò in piedi riprendendo a zigzagare tra le casse di legno, senza una meta precisa, senza altro scopo se non quello di allontanarsi da quel luogo maledetto. Lui ormai non era più il quattordicenne Giovanni Ninni ma solo un ragno.
7
Il Iveco s’avviò con un rombo sommesso emanando corpose nuvole di fumo nero dallo scappamento mangiato dalla ruggine. Da dentro l’abitacolo veniva fuori un nauseabondo odore di tabacco e birra ma il Vannucci sembrava non farci caso, come se si trovasse immerso in una nuvola balsamica. A debita distanza stavano Augusto e Gianni osservavano le complesse manovre d’avviamento.
- Vista l’ora, se voglio trovare la discarica regionale ancora aperta dovrò farmi una corsetta.
La sigaretta accesa che il Vannucci teneva penzolante tra le labbra seguiva i movimenti lenti della bocca mentre parlava; Giovanni rimase allibito da quello spettacolo.
- Per il carico mi pagherai un altro giorno.
- Come vuoi Alex.
Nell’attimo in cui innestò la prima molò la frizione e premendo a fondo l’acceleratore. La povera macchina fremette tutta sotto l’azione dovuta all’accelerazione improvvisa, il motore ruggì feroce quasi volesse esplodere. Le ruote anteriori girarono a vuoto sul ghiaino affondandovi lievemente, scagliandone a decine per aria, poi fecero presa sul terreno e la pesante macchina si mosse, uscì dal viale e si avventò sulla strada in una gigantesca nuvola di fumo nero e polvere. Augusto e Gianni rimassero allibiti da quella feroce manovra, ma ancor di più nel veder il camioncino arrampicarsi su per le coline, sbandando pericolosamente ogni volta che imbucava sparato qualche curva.
- Speriamo bene. -, borbottò Augusto passandosi una mano tra i capelli impolverati.
- Allora figliolo, andiamo finalmente a mangiare?
- Certo…
Pronunciò quella risposta in maniera poco convinta mentre seguiva il padre entrare in casa. Cercava nei suoi ricordi qualche informazione sul tipo di comportamento da mantenere in quello strano rituale che Augusto chiamava “mangiare”.
La sala da pranzo era ampia, la tavola centrale imbandita con piatti, posate e bicchieri, un ambiente in cui si sentiva a disagio. Per quanto si sforzasse era sempre in ritardo con i tempi del padre, così notevolmente fuori posto che incominciò a sospettare che il padre nutrisse dubbi sulla sua reale identità. Forse gli uomini erano in grado di sentire la differenza tra parenti così stretti, forse avrebbe dovuto ucciderlo subito? Sperava di no.
- Giovanni siediti pure mentre io recupero le cibarie!
Subito s’era accomodato alla destra del padre, gli sembrava la posizione più ovvia. Augusto stava trafficando in cucina e ben presto tornò spingendo un carrello carico di pentole fumanti.
- Per fortuna che tua madre ha preparato tutto prima di uscire altrimenti avremmo dovuto passare la fame!
- Già…
Si trovò dinanzi un piatto colmo di strani pezzetti chiari e scuri immersi in una sorta di salsa fumante. Prese una posata e cominciò a frugarla incuriosita. Augusto lo guardava interdetto.
- Giovanni che fai, non ti piace lo stufato?
- Sì certo…
Raccolse uno dei pezzetti chiari e lo porto alla bocca poco convinto di ciò che stava facendo. Iniziò a masticarlo cautamente.
- Sono patate… buone!
- Certo che sono buone, tua madre e la migliore cuoca della regione!
Giovanni annuì in segno d’assenso pienamente convinto mentre masticava entusiasta ogni cosa, sembrava quasi che mangiasse per la prima volta in vita sua. Augusto decise di non pensarci troppo, si alzò dal suo posto e tornò nella cucina dirigendosi verso il frigo, una bella birra fresca era l’ideale! Aprì l’anta del frigo e recuperate due birre, si voltò per tornare a tavola ma non fece in tempo a fare due passi che un grosso ragno sbucò da sotto una credenza piazzandosi proprio dinanzi a lui; per un attimo rimasero entrambi immobili.
( Papà?!)
Augusto odiava i ragni, erano gl’insetti che più detestava e temeva, questo poi aveva un’aria così insolita con i suoi strani colori.
( Papà aiutami ti prego!)
Augusto si avvicino cautamente e senza pensarci tanto gli calò sopra la suola dei pesanti anfibi che calzava. L’immobile insetto schiattò con un sonoro “Crak!”.
- Schifoso!
- Papà, che cosa succede?
- Niente figliolo, solo un ragno, però si è fatto schiacciare come un idiota.
Sollevò lo scarpone e vide che l’insetto s’era allargato in un’appiccicosa chiazza violacea. Le lunghe zampe si muovevano ancora.
- Schifoso… dopo mi toccherà pure pulire per terra.
Tornò a sedersi al tavolo posando le bottiglie di birra accanto al figlio. Dimenticò quasi subito quel piccolo insetto che stava morendo sul pavimento della cucina.
(Grazie papà).
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- Complimenti! Davvero un bel racconto! E pensare che a me i ragni sono sempre piaciuti...
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