Sono alla scrivania che mi preparo una canna. Seduto sulla sedia con solo i boxer addosso.
Lei è sdraiata a pancia in giù sul letto, che litiga con le stazioni radio che gracchiano sempre. Gira la manopola e salta di frequenza in frequenza ma alla fine, esausta, rinuncia e spegne l’apparecchio.
Mischio il tabacco con l’erba sopra la Rizla aperta, poggiata sul ripiano in formica bianca del tavolo comprato una settimana fa all’Ikea, che è l’unico oggetto in condizioni passabili, in questo buco dove abito.
«Ti sei mai innamorato veramente? » mi domanda.
Comincio ad arrotolare la cartina e infilo un filtro ad una delle estremità.
Mi volto lentamente. Ora è seduta sul materasso coperta a malapena dal lenzuolo dall’ombelico in giù. Ai piedi gli immancabili calzini colorati, si passa le mani fra i capelli per ravvivarli. Seni piccoli e grandi occhi scuri.
«Veramente? ».
«Si, veramente. Sul serio. Davvero».
Chiudo la canna per il suo lato lungo e lecco il bordo per farlo aderire a quello sottostante.
«Si, credo di si» rispondo.
Lei inarca le sopracciglia in un’espressione di sorpresa. Ma dietro c’è dell’altro: piacere o forse delusione.
«Chi era? » chiede a voce bassa sorridendo.
«Una ragazza che ho conosciuto una volta in treno».
Prendo la candela che brucia sul tavolo - l’unica lampadina della stanza è fulminata - e l’avvicino all’estremità dello spinello. Si accende quasi subito. Tiro una lunga boccata assaporandone il gusto e lo passo a lei.
«Continua».
«Tornavo dall’università verso sera, quasi al tramonto, e lei era seduta di fronte a me. Ci sorridiamo ma senza dirci una parola. Era bellissima, di quella bellezza che basta a se stessa, e la luce del tramonto che rifrangeva dal vetro sul suo viso la rendeva tanto intensa che spesso dovevo abbassare lo sguardo. Restiamo così a guardarci, fino a che lei si alza per scendere alla sua stazione, mi accarezza piano il ginocchio e mi dice semplicemente “ciao”. Fine. »
«Come fine? E basta? Ma tu non l’hai seguita? Non sei sceso dal treno correndole dietro? Non hai fatto nulla? »
«Niente».
Lei aspira un’altra boccata e mi ripassa la canna.
«Ma perché? ».
«Perché non sarebbe mai potuto essere più bello di com’era».