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Giudici
Il Primo
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Per mia moglie faccio il rappresentante. Questo è il mio lavoro per tutte le altre persone che mi conoscono. Prima bugia. Spesso sono fuori casa, in giro per altre città, questa è la verità. Guadagno bene ed anche questo corrisponde al vero, ma non certo per rappresentare una marca di cereali. Quello che faccio in realtà è giudicare, dare dei voti, che vanno dall'uno al cinque. Ovviamente il numero più basso corrisponde ad una performance scadente, mentre il cinque (l'ho estratto poche volte) è il massimo che uno di noi commissari può dare. Non ci è permesso parlare tra di noi, e durante le competizioni dobbiamo indossare maschere di Bugs Bunny. Nessuno sa chi siamo, ne da dove veniamo e da chi veniamo pagati. Gli assegni vengono spediti a casa, in una busta bianca, senza il nome dell'emittente. Sono sempre cifre a quattro zeri, ma variano di pochi spiccioli per non fare insospettire le mogli; ah si, mi ero dimenticato di dirvi che noi giudici siamo tutti maschi.
Quest'oggi siamo a Derry, una cittadina del Maine. Mi piace questo posto, la gente non ti guarda, sembra farsi gli affari propri. Non si chiede perché cinque persone vestite in giacca e cravatta e con una maschera di Bugs Bunny in mano entrano in una casa abbandonata, ognuno dieci minuti dopo di quello prima. Questo si vuol dire farsi i fatti propri! Oggi sono il primo, e come primo giudice che varca la soglia devo perlustrare la casa, in caso qualcuno si sia nascosto dentro o che qualche barbone abbia fatto di questa catapecchia la propria dimora. La casa è uguale a tante altre che ho controllato; la cucina puzza peggio di una pescheria, le luci non funzionano, le scale scricchiolano, ogni tanto una goccia cade da qualche parte. Le stanze si assomigliano tutte, con le reti dei letti arrugginite e se si è sfortunati qualche volta si incappa anche in un cadavere (mi è già capitato di trovarli adagiati su quelle reti arrugginite, mezzi decomposti) ma il più delle volte tutto fila liscio, come in questo caso. Il mio orologio segna le diciannove e trentacinque, bene, tra cinque minuti arriverà il secondo. Indosso la maschera che ad ogni nuovo incontro viene sostituita, la vecchia invece deve essere eliminata, in qualunque modo. Io la brucio, per esempio. Quella nuova arriva a casa, per posta. A mia moglie dico sempre che sono una nuova varietà di cereali che devo provare prima di poterli vendere. Lei ci crede, ed è meglio che rimanga così. La casa ospita un grande salotto e la fortuna è anche dalla mia parte, in una stanza (quella adibita agli ospiti credo) ho trovato cinque vecchie e logore sedie. Le porto giù in salotto, mettendole in riga. Mi siedo su quella al centro e dalla borsa estraggo i cartellini. L'altro invece prende posto sulla prima di sinistra, i voti già in mano. Chiudo gli occhi, tanto non c'è molto da vedere. Il respiro rimbomba all'interno della maschera e sento scendere una goccia di sudore sulla guancia. Quando riapro gli occhi qualcuno, di solito il terzo, ha già posizionato un faretto alimentato a benzina in mezzo alle sedie, così da illuminare quello che sarà il palcoscenico dove i nostri concorrenti daranno il massimo per vincere. Ammazzandosi pur di aggiudicarsi la vittoria. Quelle maschere di lattice non devono far sudare solo me, basta sentire come il quarto, che deve appena essersela indossata, già la tira e gira per fare circolare un po' l'aria. Entra l'ultimo, quello che è arrivato a destinazione un giorno prima per andare in cerca dei possibili concorrenti. Si siede, siamo al completo, mancano solo i protagonisti...
La porta si apre e si richiude, nessuno si gira. Dei passi alle nostre spalle, poi di lato ed infine ecco il primo concorrente. Tiene in mano un oggetto metallico, che manda riflessi in giro per la stanza.
-Buona sera- dice, nessuno risponde. Capendo che non otterrà risposta mostra l'oggetto che prima luccicava. È una pistola a tamburo, sei colpi. Non sono un esperto di pistole e non era neanche una nozione che dovevo possedere quando ho firmato il contratto, però capisco che è una pistola, e ho visto abbastanza film Western per dire che quello è un tamburo.
-Siate almeno buoni con i voti- chiede, lacrime agli occhi, -devo vincere, mia madre sta male e non abbiamo i soldi per pagare le medicine-. Tocca sempre al primo incalzare se qualche partecipante non trova il coraggio oppure si perde in inutili chiacchiere. Alzo la mano, formo una forbice, taglia taglia. Lui annuisce, ha capito, bravo ragazzo. Trema dalla testa ai piedi, ed il faretto lo sta accecando, ne sono sicuro. Una macchia scura in allargamento dalle parti del cavallo mi dice che sta pensando che forse era meglio restarsene a casa. Troppo tardi amico mio, una volta arrivati sul palco, bisogna ballare. Il ragazzo, non più che trentenne, decide di agire. Si punta la pistola al gomito destro e spara. La deflagrazione è forte, per fortuna ho messo i tappi. Cade per terra, sangue dappertutto. Penso sia già finita, ma lui si rialza e punta la canna verso il ginocchio sinistro. Un altro sparo, altro sangue, che arriva pure a macchiarmi la maschera. Accasciato sul pavimento, il ragazzo urlando si punta la pistola all'altro ginocchio, e bum spara un'altra volta. Ha altri tre colpi a disposizione, speriamo che non li usi tutti, penso. L'ultimo colpo che esce lo centra in piena nuca. Odore di sangue e polvere da sparo si propaga nella stanza, mischiandosi alla puzza di smog che deriva dalla alimentazione del faretto. Ormai non mi fa più nessun effetto, ma c'era un periodo in cui dopo le gare vomitavo fino a svenire, spesso piangevo anche, disperandomi per quelle povere persone. Al secondo tocca pulire, tocca sempre al secondo ma prima bisogna votare, iniziando dall'ultimo che è entrato. Nessuno sa quanto darà chi. Le maschere ci limitano il campo visivo e non ci è permesso girare il capo. Il secondo a votare è il quarto, e via discorrendo. L'ultimo a dare il voto sono io e per la performance del ragazzo do 3, non mi ha entusiasmato particolarmente, ma ho apprezzato il coraggio. Ognuno di noi tira fuori un foglio con una griglia bianca. I nomi sono scritti accanto, il primo si chiamava Raul Menderez. Nella fioca luce riesco a malapena a leggere il nome che verrà dopo, Anna Wilkson. Il commissario che è entrato dopo di me pulisce e noi dobbiamo tenere gli occhi chiusi, così è la regola e cosi faccio io. So che succede se uno non segue la procedura, l'ho visto con i miei occhi. Circa due mesi fa eravamo in una città il cui nome ora mi sfugge. Io ero il terzo e stavo posizionando il faretto quando una voce, attutita dalla maschera aveva detto, - mettilo un po più a sinistra, l'ultima volta non sono riuscito a leggere i nomi sulla griglia! -. In quella occasione ero rimasto fermo, non sapendo cosa sarebbe successo, se lo avessero ammazzato, o se ci avessero freddati entrambi. Ma quel momento non arrivò e così mi calmai. Fu anche una sera in cui diedi il mio primo cinque, ad una ragazza che aveva ingurgitato un bicchiere di acido solforico. Quella ragazza aveva proprio avuto una idea originale. La competizione fu proprio vinta da quella ragazza, evidentemente doveva aver impressionato tutti il numero dell'acido. Il primo uscii, il secondo pure, poi il silenzio che avvolgeva la casa fu trafitto da una detonazione, capii subito che avevano sparato a colui che mi aveva parlato.
Apro piano un occhio, giusto quel tanto che basta per vedere che è già tutto apposto e che il prossimo candidato è già pronto.
È una donna, potrebbe avere dai quaranta anni in su, ed è in evidente sovrappeso. Suda, e quando parla il doppio mento oscilla come impazzito. I capelli sono biondi, ma il faretto è così forte che potrei sbagliarmi. - Sono Anna, i miei figli hanno bisogno di quei soldi, ve ne prego - piange anche lei. Penso al premio, a quei 500. 000 mila dollari e a cosa è disposta a fare la gente. Tira fuori una corda. La mostra, come se fosse una reliquia, un oggetto di importanza inestimabile. Alza gli occhi, cerca una trave. Una sedia è già stata messa li, evidentemente il secondo è salito al piano superiore e deve averne trovata un'altra. Mi chiedo se resisterà sotto il suo peso. La seggiola mi sorprende reggendo senza dare segni di cedimento. Anna intanto armeggia con la corda, il mio campo visivo mi permette solo di vedere della ciccia che balla. Finalmente finisce, dichiarando ad alta voce quanto ama i suoi figli, poi, infilatasi la testa nel cappio, si lancia dalla sedia. Il rumore del collo spezzato riecheggia insieme al lamento della trave. I suoi piedi sono sconvolti dalle convulsioni mentre la sua faccia paonazza si tinge pian piano di blu. Dondola, facciamo presto a dare i voti per paura che quel pezzo di legno non regga quel peso. A lei do due, la trovata del cappio l'ho vista e rivista. Lo trascrivo sulla griglia. Non leggo l'elenco dei nomi, ma sento che la serata sarà lunga.
È quasi l'alba quando esco. I soldi li ha vinti un uomo, sessantacinque anni, che per dare alla nipote una vita migliore ha deciso di darsi fuoco e ballare il tip tap fino alla morte. Anche se non ballava bene ho apprezzato la novità. La maschera è in un sacchetto dell'immondizia. Vado a piedi fino alla macchina noleggiata il pomeriggio prima all'aeroporto. Entro, butto il sacchetto sul sedile del passeggero e giro la chiave. La borsa è rimasta in quella casa, insieme alla griglia ed ai cartellini, qualcuno verrà a prenderli (naturalmente non ci è permesso sapere chi). Brucio la maschera dietro ad una stazione di rifornimento deserta, poi guido fino all'aeroporto senza mai guardare in uno specchietto.
Nessuna operazione di check in per me, non ho nessun bagaglio, nemmeno a mano. Alla ragazza posta all'entrata del velivolo mostro il biglietto e lei mi fa entrare augurandomi un buon volo. La ringrazio, ricambiando il sorriso. Fino a Charleston ci vogliono circa quattro ore di volo, turbolenze permettendo. Trovo il mio posto, E10. Mi siedo e sfoglio i giornali che sono a bordo. Intanto le turbine del Boing 757 iniziano a girare. Una bella ragazza che indossa l'uniforme della compagnia aerea inizia a mostrare le vie di uscita, il modo di allacciarsi la cintura eccetera, cose che ho sentito milioni di volte. Chiudo gli occhi addormentandomi all'istante. Mi sveglio durante la fase di atterraggio. La ragazza che prima spiegava come gonfiare il salvagente in caso di emergenza ora mi sta offrendo una caramella. L'accetto volentieri. Arrivati al Charleston West Virginia Airport vado subito a cercare un posto dove noleggiare delle autovetture. La trovo e senza tanti complimenti prendo una Chevrolet Monte Carlo, pagando con la carta di credito. Sono tranquillo, perché tutti i costi che sostengo verranno rimborsati.
Decido di fermarmi al primo motel che trovo. Quello che passa il convento è una vecchia struttura a due piani. Il colore che prima doveva essere giallo, ora è diventato beige dalla forza del sole. Alla reception un'allegra vecchietta mi chiede quanto mi fermerò. Solo un giorno signora, le dico, abbassando i miei Ray-ban Wayfarer, solo un giorno. Mi porge le chiavi ed un paio di asciugamani puliti, devo starle simpatico, penso. La mia stanza è la 101, al piano terra. Vicino a quella che sarà la mia casa per un giorno borbotta un distributore di bevande. La porta si apre con una sinfonia di cigolii. Appoggio gli asciugamani sul letto, mi aspettavo di trovare puzza di chiuso e sporco ovunque, invece la stanza è stata arieggiata da poco. I muri seguono quello che doveva essere il colore della facciata, ma qui sono ancora forti e trasmettono allegria, meglio così. Parcheggio la macchina di fronte alla mia stanza, poi mi faccio una doccia. L'incontro è alle otto in punto, ho ancora sette ore di libertà.
Quando lavoro non ho mai fame, forse quel che vedo mi fa ancora un po' di effetto ma decido lo stesso di mangiare qualcosa. Il distributore offre anche piccoli confezioni di patatine, ne prendo due ed una lattina ci coca. Li sgranocchio davanti alla Televisione dove stanno trasmettendo un film poliziesco. Metto la sveglia alle diciotto, in caso mi dovessi addormentare. Non c'è molta strada fino al punto di incontro, circa un'ora di guida, ma ho la paranoia di arrivare in ritardo. Questa volta mi tocca pulire, sono il secondo. I turni funzionano così, a rotazione, i primi saranno gli ultimi, così diceva mio padre. Per fortuna non mi toccherà adescare i possibili concorrenti ancora per un po'...
Il Quinto
2
È il mio turno di trovare i concorrenti e non è che mi dispiaccia poi tanto. Ho imparato a cercarli, a trovarli e a portarli qui. Sono arrivato a Charleston ieri e mi sono appena seduto, lo spettacolo sta per cominciare. Il faretto è posizionato, la cantina, luogo dove si svolgerà il tutto è stata sgomberata di tutto ciò che potrebbe intralciare o rovinare la prestazione di chi si esibirà. Le sedie sono cinque, tutte occupate da noi “conigli”. Questo giro mi è andata bene, non ho dovuto faticare per trovarli, sono entrato nel primo bar, ho ascoltato le conversazioni delle persone ed ho individuato i possibili candidati, poi finita la birra e chiuso il locale gli ho chiesto se li andava di guadagnare 500. 000 bigliettoni. Tutti annuiscono con grande forza e determinazione. Ovviamente poi spiego in che cosa consiste la prova... ed è qui che inizio a divertirmi. C'è a chi non gliene frega niente, che ha accettato perché troppo ubriaco o fatto per capire, c'è chi invece ha annuito perché a casa ha una famiglia, una zia, una nonna, magari malata e bisognosa di cure ed infine c'è chi si tira indietro, impaurito. Il regolamento, che ho imparato a memoria, stabilisce che se un possibile candidato dovesse cambiare idea, egli deve essere eliminato. Ed io sono uno di quelli che segue il regolamento alla lettera. Li prendo da parte, dico -guarda non ti preoccupare, va bene così- portandoli in un vicolo e freddandoli con una beretta silenziata. Porto sempre i guanti, e la pistola non è registrata.
Con il dito alzo un po' la maschera, siamo a giugno e tenere una maschera in lattice anche solo per un minuto equivale a essere cotto a vapore. Entra il primo. Ad ognuno di quelli che accettano do un orario diverso, un'ora in più. Questo concorrente è giovane, ma nel regolamento non ci sono limiti di età, tutti possono partecipare, persino noi giudici, se abbiamo bisogno di soldi. Piange grosse lacrime e singhiozza come un poppante mentre di anni ne ha tredici e a quell'età mio padre mi chiamava già uomo. Tiene in mano una scatola e quel che c'è dentro si fa sentire ad ogni suo tremito. -Sono David, lo faccio per mia sorella- dice ed il moccolo gronda dal naso, lo tira su. -È malata, mamma dice che il suo male si chiama AIDS, forse con quei soldi possiamo mandarla in un ospedale per farla guarire-. Dalla tasca estrae qualcosa di piccolo, un accendino. Mette il contenitore per terra, ai suoi piedi, lo apre e ne fa comparire un oggetto di forma cilindrica. Ha i pantaloncini corti, la maglietta sporca di una qualche sostanza, potrebbe essere passata di pomodoro, ma dall'occhio nero ed il labbro gonfio scarto subito l'idea. Ci impiega troppo, il primo deve fare qualcosa! Traffica con l'accendino fino a farne scaturire una fiamma. La mette vicino all'oggetto che tiene in mano. Le scintille partono, deve essere un petardo. L'idea del ragazzo mi piace e già prima che la sua mano si trasformasse in un lontano ricordo ho deciso di dargli quattro. È per terra, non si rialza ed il boato riecheggia ancora rimbalzato, dai muri. È scosso dalle convulsioni e so che non si rialzerà. Aspettiamo cinque secondi, la norma ne stabilisce tre, ma noi siamo un po' più buoni. Il secondo si alza ed il resto di noi chiude gli occhi. Uno sparo pone fine alle pene del ragazzo. In questi momenti, dico nelle pause tra una esibizione e l'altra, mi viene sempre voglia di mangiare una bella bistecca al sangue, magari accompagnata da una bottiglia di birra ghiacciata. Riapro gli occhi ed i secondi concorrenti sono arrivati, finalmente. Questa è la mia piccola sorpresa per sta sera.
Sul palco possono starci quanti ne vogliono, non c'è limite. Stavo per andarmene, fiero di essere di nuovo riuscito a trovare delle persone adatte, quando mi ha fermato, il padre. È uno zingaro, chiede se è possibile fare una esibizione in due. -Ovviamente- gli dico-, -vi aspetto sta sera-, -bene- risponde lui, sorride mostrando una bocca dorata. Ora sono qui, lui, il padre, lei, la figlia. Hanno addosso vestiti dai colori sgargianti, tutto lustrini e paillettes. Lo zingaro impugna una spada ricurva, la figlia è equipaggiata allo stesso modo. L'urlo che caccia il babbo da via a quello che sarà il pezzo forte della serata, un combattimento all'ultimo sangue. È uno spettacolo eccitante, tanto da procurarmi una poderosa erezione. Soccombe la figlia, la gola tagliata. Nessun applauso però per il vincitore, solo una pallottola che gli si impianta nel cranio. Nessuno può rimanere vivo a fine spettacolo, la legge è uguale per tutti. Il palco viene pulito, i cadaveri spariscono. Occhi chiusi, bisogna seguire il regolamento. Sembra la fine del primo tempo durante un film, solo che qui non puoi alzarti ed andare a prendere dell'altro popcorn, non puoi andare in bagno, devi stare zitto e fermo, con gli occhi sbarrati. Il mio voto è cinque, indubbiamente vinceranno loro la gara. Sono veloce, tutto già trascritto sulla griglia. Mancano solo due esibizioni alla fine di questa dura giornata, ma credo che il trionfatore sia già stato scelto.
Esco per ultimo e la luna mi saluta da una coltre di nuvole. È piena e la luce che sprigiona rende il paesaggio industriale irreale, ritratto di un incubo. La maschera è in mano, pronta a essere incenerita. Mi avvio a passi lenti verso la macchina, la quale mi attende a due isolati di distanza. Tornerò a casa domani, pronto a ripartire non appena mi spediranno la letterina con il prossimo indirizzo. Non vedo l'ora...
Il Quarto
3
I miei genitori avevano pensato a tutto un altro lavoro per me, loro volevano che diventassi prete, e a me l'idea piaceva. A dieci anni ricevetti la “chiamata”, fu un'esperienza che non dimenticherò mai. Seguii i seminari, laureandomi in teologia. Ero pronto a ricevere l'ordinazione sacerdotale, ma poi il destino cambiò idea...
Il sogno che faccio è sempre lo stesso. Sono in una stanza buia, vuota. Improvvisamente si accende una luce e capisco perfettamente dove sono. Compare un sacerdote, dice -sono Daniel Fish-. Si chiama come me, ovvio, penso nel sogno, sono io... Con un gioco di mani fa comparire un coltello, che lancia scintille nell'oscurità. -Stai attento- il coltello indirizzato verso di me, -non preoccuparti se vedi rosso- il coltello al cuore...
Mi sveglio di soprassalto, tutto imperlato di sudore. La sveglia segna le sei e cinquantacinque del mattino... Attendo che la l'allarme suoni, poi sono in piedi. Lo specchio nel bagno riflette ciò che resta di me: Grosse occhiaie, pochi capelli arruffati, le guance ricoperte di peli. Sbadiglio, pensando a ciò che mi attenderà sta sera. Forse per gli altri è diventata routine, un lavoro, ma per me no. Io a queste competizioni ci sono costretto andare, ci hanno preso di mira. Minacciano di uccidere i miei genitori se solo manco ad un appuntamento. Oggi sono qui a Portland, un'altra città, lo stesso scopo. Mi giro e guardo la stanza, l'arredamento spartano fa da contorno a dei muri bianchi dove qualcuno a pensato bene di lasciare una sua traccia indelebile usando le proprie scarpe. Il piccolo bagno è sporco, ma questo nuovo “lavoro” mi ha abituato a ben peggio (ricordo quella volta a Chickasaw, Alabama, mi trovai in stanza una colonia di ratti). Accendo la televisione e non trovando nulla che mi faccia pensare ad altro spengo. Esco velocemente, sentendomi improvvisamente in pericolo. Fuori il sole è già alto, guardo le famiglie che mi sfrecciano davanti, magari dirette al mare. Una Ford fiesta verde mi aspetta sotto un albero. Apro la portiera, lasciando uscire il caldo. Gli interni neri creano quel effetto che io chiamo “microonde”. Mi siedo ustionandomi le braccia nude. Abbasso tutti i finestrini e parto, in cerca di una chiesa dove poter confessarmi.
Giro per le strade, ma niente, nessuna cattedrale o chiesetta in vista. Dopo una ricerca interminabile la trovo, miraggio sacro. Ci parcheggio davanti ed entro nel maestoso edificio neo-gotico. La frescura che trovo dentro mi fa rabbrividire e per un attimo mi sembra di vedere il fiato uscirmi dalla bocca. La cattedrale è quasi deserta, solo qualche sporadico cristiano seduto sulle panchine. Dalla tasca dei calzoni estraggo un rosario consumato. Mi siedo nella prima fila ed inizio a recitare l'ave Maria. Ripeto la preghiera tre volte, come la trinità, penso. Poi cerco un prete per confessarmi. Questa è la mia routine, il mio rituale prima di ogni carneficina. Al sacerdote non racconto tutto ho, troppa paura per la vita mia e dei miei genitori. Ovunque potrebbero esserci microspie nascoste, una mia parola sbagliata e siamo tutti morti. Chiedo però perdono per ogni peccato. Lui mi assolve, ma io non so mai se LUI mi perdonerà mai per quello che faccio. Torno all'aria aperta dove un muro di calura rallenta la mia discesa verso la macchina. Anche con i finestrini abbassati il caldo è insopportabile. Decido allora di tornare in motel in attesa delle venti, ora in cui dovrò varcare la soglia di una qualche casa abbandonata, da tutti, ma forse non dal creatore.
Sono il quarto in ordine di entrata, quello che deve portare via il faretto. Il secondo ed il quinto turno sono per me impossibili, riesco a farli solo grazie alla speranza di rivederci liberi, un giorno. Gli altri tre di schiena, con le orecchie dritte, immobili. Indosso la mia. Infilo la mano in tasca, toccando i grani del rosario; bene, possiamo andare. Sedutomi appoggio la borsa per terra, tirando fuori la griglia ed i cartellini numerati. Fisso un punto, la mente lontana. Il quinto si siede vicino a me. Ciak, si gira. Il tempo si ferma, riavviandosi solo con lo spostamento d'aria prodotto dalla apertura della porta d'ingresso. Il faretto mette in luce un muro riempito di graffiti. Succhiamelo è l'ultima parola che leggo prima che la candidata la copra con il suo corpo. Si chiama Lindsey e dice di avere ventitre anni, ma il tempo non è stato clemente con lei. Vestita in canottiera e Jeans scoloriti mette in mostra braccia piene di macchioline di sangue, segni evidenti di iniezioni. Il trucco sbavato da a questa povera ragazza il disperato tocco finale. -I soldi però li voglio vedere, adesso- quasi urla, barcolla, riprende il controllo. Da noi nessuna risposta. -Vaffanculo- mostra i diti medi. Per terra una molotov. La prende, ne accende la miccia e se la spacca in testa. La fiammata è poderosa, facendola diventare un cerino. Crolla in ginocchio e le lingue di fuoco la consumano in fretta. Le grida cercano di infilarsi nelle orecchie, ma i tappi che ho messo prima lo impediscono. In silenzio prego per lei, affinché il Signore la accolga nel suo regno. Il mio voto è due, un voto più alto potrebbe insospettirli. Chiudendo le palpebre la rivedo, avvolta nelle fiamme. Questa notte sarà un'altra vittima che mi terrà compagnia fino alle prime ore dell'alba.
Spalanco gli occhi riconoscendo le due voci. Sono una coppia di allegri anziani. Si tengono per mano. Dicono che non possono andare oltre, dicono che lo fanno per Daniel, per me. Ci guardano uno ad uno, intensamente. Stringono entrambi comuni coltelli da cucina. Non dicono i propri nomi. Si tagliano la gola viceversa dandosi un ultimo bacio prima si stramazzare a terra. Lacrime sgorgano dai miei occhi, ho appena perso i genitori e non posso fare niente. Lo hanno fatto per me, per liberarmi dalle catene che mi tenevano qui. Singhiozzo e prima di rendermene conto sono già in piedi, il secondo non ha ancora spostato i corpi. Vado da loro, abbracciandoli un'ultima volta. Mi tolgo la maschera. Adesso so come ci si sente ad essere uno dei condannati al suicidio. I giudici sembrano delle mostruose statue ed il faretto è accecante come pensavo. Alzo il coltello preso dalla mano ancora calda di mio padre. -Mi chiamo Daniel Fish, se dovessi vincere vi prego di donare i soldi in beneficenza-. Mi giro verso coloro che mi donarono la vita e che ora hanno provato a ridarmela. Ma io non la voglio... -Arrivo mamma e papa.- Il coltello trova il mio cuore...
Il Secondo
4
Come gli altri ho visto e sentito tutto, la comparsa del coltello, la frase rivolta ai suoi genitori, la fuga della lama nel torace di Daniel, è così che si chiama, giusto? Sento il forte frugare dei cartellini, li seguo. Io do cinque, per il coraggio che ha dimostrato, per la perdita della famiglia e per il suo messaggio. Spero che gli altri la pensino alla mia stessa maniera. Mi alzo ed a passi lenti mi avvicino ai cadaveri. Ha ha leggo tra i graffiti, il muro, già sporco di suo, ora sembra avere anche il morbillo... Il palco è pieno di sangue e sotto le suole lo sento spostarsi e appiccicarcisi, pazienza, dovrò bruciare anche loro. Sposto un cadavere alla volta, lasciando scie porpora fino in cucina, dove cerco di lasciarli sempre. Da li qualcuno li porterà via, spero. Ad ogni spostamento mi sento sempre osservato, spesso mi giro, ma le maschere ed il faretto non mi permettono di capire se guardano oppure no. La prassi impone la seconda, ma avverto sempre una pressione sulla nuca, quando rivolgo loro la schiena. L'ultimo, quello di Daniel, è pesante, ed ad ogni mio nuovo tiro il suo corpo grassoccio balla su di una melodia che sente solo lui. Sotto la maschera evaporo e finito il lavoro di trasferimento, mi tampono il sudore con un fazzoletto. Lo rimetto in tasca. Prima regola, mai dimenticare un oggetto con il tuo DNA spalmato sopra. Mi sfilo i guanti, come un dottore al quale l'operazione non è andata a buon fine. Anche loro spariscono nei calzoni. Mi sa che sta sera, se va avanti così, tornerò a casa nudo, penso. Torno al mio posto, il nome di Daniel non c'è sulla griglia e lo aggiungo sotto, alla fine. Vicino ci metto il mio voto, il massimo che si può dare. Avanti il prossimo.
Entra un uomo, sulla trentina. Indossa giacca e cravatta, come noi... La ventiquattrore stretta nel suo pugno destro. Il faretto la rende viscida, irreale, viva. La faccia, una volta bucherellata di brufoli ora presenta solo le cicatrici di quell'orribile battaglia ormonale. Dice -Sono Garreth, mia moglie mi ha lasciato portandosi via i miei figli, abitano qui, a Portland, se dovessi vincere, ve ne prego, mandate a loro i soldi.- Sarà fatto, campione. Dalla valigetta estrae qualcosa che assomiglia ad una pistola, più grossa sotto e dalla canna più lunga del normale. Lo mostra meglio, la valigetta caduta ai suoi piedi, morta. Il faretto mette in mostra la marca, scritta in grandi lettere nere sul manico, Bosh, si legge. Preme il grilletto, la punta gira, rumore assordante. Gli occhi del candidato non vacillano, non piangono. Ci guarda fisso, poi lentamente il trapano si avvicina al ginocchio, precisamente al menisco. Si accende ed il fracasso, pantalone che si trappa e pelle che lo segue, è ripugnante. La trivella incontra qualcosa di duro, che oppone resistenza. . L'uomo preme con più forza e l'oppositore cede. Garreth è ancora in piedi, ma sembra in trance. La saliva gli cola dalla bocca aperta e gli occhi sono rivolti al soffitto. Ferma la trivella, la estrae con attaccato il menisco. Il bianco dell'osso riflette la luce del faretto in modo accecante. Dal buco cola copiosamente una sostanza rossa. Ci sorride. Inizio a pensare che prima di venire qui si deve essere fatto di un qualche medicinale, fentanyl, forse. Ora su una gamba sola, decide di alzare la mano disarmata. Ce la mostra e, gioco di prestigio, compare un buco. Vedo la sua faccia attraverso quel foro. Vorrebbe iniziare con il secondo ginocchio, ma credo che l'effetto del farmaco stia lasciando la presa. Si punta il trapano alla fronte. Preme e la punta gli attraversa la testa con la facilita del coltello che taglia il burro. Pezzi di materia grigia partono per la stanza. Urtano i muri, lasciano scie rosso-grigiastre. L'uomo stramazza a terra, finito. La mano ancora attaccata al trapano. Rumore di cantiere ci segue durante la votazione. Do tre, l'uso dei farmaci è un fenomeno che sta prendendo piede anche qui, non solo nello sport. Indosso i guanti e avanti marsh, trasloco cadaveri. Spengo il trapano. Il silenzio vince. Sposto il corpo vicino agli altri. La tabella di marcia dice che abbiamo concluso per oggi, la seduta è tolta. Mi siedo comodamente, finalmente è finita. Chiudo gli occhi e sento il primo alzarsi ed uscire a passi veloci, forse ha una famiglia che lo aspetta o forse no. Spero abbia vinto Daniel. Attendo cinque minuti, poi esco anche io. Fuori è buio e soffia una brezza piacevolmente fresca. Mi tolgo le scarpe. La maschera ancora addosso. Ora che numero quattro è morto, chi metterà via il faretto? Doveva essere lui a farlo.
Sento il terreno fresco attraverso i calzini ardenti. Qualcuno lo farà, concludendo la discussione partita nella mia testa. Mi allontano in fretta. Cerco un posto dove poter eliminare la calzatura e la faccia da coniglio. Passo tra casette addormentate e parchi giochi deserti. Tutto recintato. Infine ecco, quel che resta di un'abitazione, illuminata da un lampione solitario. Mi giro attorno, nessuno in vista. Infilatomi in quel che una volta era l'entrata principale vengo assalito dal pungente fetore di urina. Fa niente, faccio in fretta. Le travi in legno cadute mi preoccupano, spero di non dover fare i conti con i pompieri. Metto le scarpe nella maschera. Accendo un orecchio, la timida fiammella si propaga velocemente, attaccando la guancia e poi prendendo tutta la faccia. Controllo che nessun pezzo di legno attorno si lasci sedurre dal fuoco. Quando il falò ha preso bene butto i guanti. In cinque minuti è finito tutto. I resti della maschera sono fusi con gli avanzi delle scarpe. Sembra un capolavoro d'arte moderna. Esco dalla casa, pronto a fare parte dell'oscurità. Torno alla macchina noleggiata, a casa non mi aspetta nessuno, solo il mio gatto, Pinky. A quest'ora avrà fame.
Il Terzo
5
Rubo il faretto in un cantiere. Ci vado di notte. Dopo averlo trovato compro l'alimentatore a benzina in un qualsiasi negozio di ferramenta, quando è il mio turno. All'incontro parcheggio il più vicino possibile perché portarsi in giro sessanta chili non è facile. Vado in palestra. Là mi chiamano Larry. Mi chiedono come sta mia moglie, Ashley. Bene, dico. Domandano se mio figlio, Kevin, si iscriverà alla squadra di baseball, loro dicono che a otto anni si deve entrare in una squadra. Tutto questo è finto, una sitcom. Io non possiedo una casa al lago, non ho una barca. Non sono sposato e non ho figli. In realtà vivo con mia sorella, si chiama Karrie. Lei non vede, è cieca dalla nascita. Però sente, troppo bene per i miei gusti. Abito in una casa piccola, a Rose Hill, Kansas. Una piccola cittadina a quindici minuti da Wichita. Li non succede mai nulla, a parte qualche arresto per guida in stato di ebbrezza. Le lettere mi arrivano sempre di martedì. Capisco subito che sono loro dalla busta, bianca, linda, senza emittente. L'apro sempre di nascosto, anche se Karrie non potrà mai vedere ciò che la lettera racchiude. Quando vado via dico che seguo dei seminari. Per lavoro.
Per Karrie faccio il commesso, il che era vero fino a sette anni fa. Successe proprio il secondo giorno della settimana. Ero da solo nella drogheria, quando entrarono, maschera in viso e pistola alla mano. Appena li vidi aprii immediatamente il registratore di cassa, ma loro mi fermarono. Puntandomi la pistola addosso mi chiesero dove abitassi, il mio nome di battesimo e se avevo una famiglia. Risposi ai loro quesiti. -Da oggi lavori per qualcun altro, licenziati, o finirai male-. Mi dissero. Il giorno dopo arrivò a casa un pacco. Senza intestatario. Conteneva una maschera da Bugs Bunny, una penna biro ed un plico di fogli. Il primo mi dava il benvenuto, spiegandomi il regolamento. Sul secondo invece c'erano i turni e che cosa bisognava fare per ognuno. A me toccò il primo. L'ultima pagina elencava dei nomi. L'incontro era fissato alle diciannove di giovedì proprio a Wichita. Quella volta ero nervoso, me lo ricordo. Arrivai puntuale. Entrai in quella casa abbandonata, perlustrandola tutta. La fortuna fu dalla mia parte e non trovai nessuna spiacevole sorpresa. Posizionai le sedie ed aspettai a maschera indossata. Il regolamento dice che non puoi guardarti a vicenda ed ognuno lo segue.
Attacco il riflettore ad un gancio posto su di una trave sopra di me. Accendo l'alimentatore, luce fu, palco illuminato. Siamo in quello che una volta doveva essere un soggiorno. Le finestre ampie che prima permettevano alla luce del sole di entrare ora sono sigillate da assi di legno. Qua e la si sente lo squittio di qualche ratto, infastidito da quegli sconosciuti che sono entrati a casa sua senza aver nemmeno bussato. Prendo il tubo dello scappamento e lo porto in cucina, dove una finestra non è stata tappata. Torno in soggiorno, presto lo spettacolo avrà inizio.
Per me oggi è l'ultima volta, vado in pensione. Non che si possa fare, però dopo sette anni di duro lavoro ho deciso di abbandonare. Ho con me una cospicua somma di denaro. Dopo il lavoro andrò da mia sorella, la preleverò. La porterò via, non so ancora dove.
Apro la valigetta, fuori griglia e cartellini. Sulle sedie gli ultimi arrivati.
Finalmente la porta si apre. Aspetto di vedere il candidato, ed eccola sul palco. I capelli rossi le ricadono sulle spalle ed il tailleur che porta risplende di mille scintille. Dalle labbra carnose esce solo il suo nome, Rebecca. Lo spacco mostra delle gambe infinite e dal modo in cui cammina mi fa pensare che nella sua vita faceva la modella. Il quinto sa a chi vanno i soldi in caso di vincita. Solo lui ce li ha scritti sul foglio. Lei intanto si sta preparando, si toglie i tacchi. Prende una scarpa e ci mostra i denti. Quel bel sorriso viene distrutto dal tacco. Un colpo e gli incisivi centrali si piegano, un altro e volano via. Al loro posto una cascata color rubino. Poi colpisce ancora, e i canini la salutano. Finita la arcata superiore si ferma, mostra la lingua. Un colpo e sanguina anche lei, un altro ed il tacco rimane incastrato. Tira verso di noi. Strattona e la lingua si stacca. Ce la mostra. Prova a dire qualcosa, ma le esce un gorgoglio incomprensibile. China la testa vomitando sangue. L'ultimo colpo che sferra le trafigge l'occhio, poi tutto finisce. Do tre, noioso e troppo lungo. Serro le pupille. Penso se dire a mia sorella quello che faccio veramente. Come reagirà? No, meglio non svelarglielo, chissà che reazione potrebbe avere. Vengo strappato dai miei pensieri. Una voce maschile fuoricampo, possente. Sta dicendo che lo fa perché si annoia. Dice che fa il camionista. Guardo la lista, il suo nome è John.
-Se vinco date i soldi a qualcuno che ne ha bisogno-. Si accende un sigaro. La stanza si riempie del suo aroma forte e pungente. Dopo due boccate, le ultime della sua vita, mostra ciò che è alle sue spalle Un fucile a pompa. Dalla tasca dei calzoni, una cartuccia. Carica il fucile. Addio, dice, dopodiché la sua faccia diventa parte del muro. Veloce e conciso, ma poco originale. Il mio voto è uno, il più basso che si possa dare.
La serata si conclude con ragazzo che si fa sbranare dal suo pitbull. A lui ho dato quattro. Credo che sarà proprio lui a vincere la somma di denaro.
Esco, si è fatto tardi, il sole già sorto. A Casper, Wyoming, il sole ci impiega di più a sorgere, le montagne rallentano l'avanzata dei raggi. Non brucerò la maschera, la terrò in ricordo. La macchina a nolo è di fronte a me, il motore ruggisce ed io saluto Casper.
Mi hanno trovato, mia sorella l'hanno ammazzata subito. Sono stato picchiato, umiliato. Poi mi hanno lasciato andare. -Se provi a scappare, uccideremo tutta la tua famiglia- hanno detto, ed io ci credo. -Tornatene a casa- mi hanno slegato. Ci sono tornato, ho pianto, per me, per mia sorella. La notte non ho dormito. Il giorno dopo arriva la busta. Dentro solo l'indirizzo e l'ora, venti e quaranta, niente maschera. Mi sono preparato, sarà una serata magnifica, singhiozzo, di quelle col botto. Ora sono qui, da giudice a giudicato. Uno di loro è nuovo ma gli altri non lo sanno. Per loro sono solo un altro candidato. Non svelo il mio nome, chiedo solo, se dovessi aggiudicarmi la vittoria, che i soldi vadano in aiuto a chi non vede, è il minimo che possa fare per mia sorella. Per fare una sorpresa a tutti mi sono comprato dieci chilogrammi di polvere da sparo. Posiziono i contenitori attorno a me, tre da tre chili. Un chilo lo tengo per fare la miccia. Spero di ucciderci tutti, così forse rallenterò il LORO lavoro. Mi dispiace, ma non ho altra scelta. Accendo la miccia prima che si accorgano del mio intento. La scintilla corre veloce, zigzagando fra i recipienti, cercando quello giusto. Quello con il fazzoletto bagnato di benzina si illumina. La seta si consuma presto, riesco ancora a vederli alzarsi e cercare di salvare la propria pelle, ma è troppo tardi. L'inizio di un esplosione mi da l'addio...
Epilogo
L'esplosione è stata forte, tanto da richiamare tutti i più grandi giornali e televisioni dello Stato. Pezzi di cadaveri carbonizzati giacciono ovunque. I media ne parleranno per settimane.
Mi tolgo gli occhiali da sole, guardandomi in giro. Tutto è andato storto, il sistema è impazzito. Non pensavo si arrivasse a questo. La divisa dello sceriffo è stretta al cavallo, devo sbrigarmi. Chiedo ai testimoni se hanno visto qualcuno. No, rispondono, ho solo sentito una forte detonazione. Capisco, dico. Grazie per l'aiuto.
Dobbiamo smettere, almeno per un po'. Fino a quando le acque non si saranno calmate. Poi le scommesse riprenderanno. Penso ai soldi, quelli della vincita, quelli che non verranno mai dati a nessuno. Tutto finto. Chi si prende il massimo dei voti, vince solo aria fritta, basta. I soldi vanno a chi ha scommesso su di lui. Tiro il cavallo. Il sole è forte, rimetto gli occhiali. Passeggio tra ciò che solo sette ore fa era una casa. Qua e la si vede ancora un pezzo di qualcuno. Se verranno analizzati non troveranno legami con noi, stiamo attenti su queste cose, alla nostra Privacy.
Forse, quando riprenderemo, faremo meglio a ridurre il numero dei giudici, da cinque a tre, così da risparmiare un po'. Saluto gli agenti con un tocco di cappello e torno in macchina, tra tre ore ho una relazione da fare, ma prima ho un cadavere nel bagagliaio a cui pensare...
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