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Il mio migliore amico
Voglio raccontarvi una storia.
Non è la storia della nascita di un supereroe o un thriller avvincente in cui l’assassino è svelato soltanto all’ultima pagina... e non è nemmeno una storia che tratta guerre e battaglie fra buoni e cattivi e che appassiona dall’inizio alla fine.
Non voglio raccontarvi nulla di tutto questo.
Questa è la storia di un uomo come tanti altri. Un uomo non diverso da tanti altri uomini. Un uomo con tanti pregi e tanti difetti, che aveva sogni e speranze come tutti noi.
Il suo nome era Mario.
Mario era una persona di quelle che forse non ti volti a guardarla per strada quando la incroci. Non era più alto di tanti altri né più bello o più brutto; forse era un po’ più in carne ma nemmeno troppo in fondo. Io non l’ho conosciuto per tanti anni ma posso dire di avere avuto la fortuna di poterlo chiamare amico. Ho imparato da lui cosa significasse veramente questa parola e non ho mai trovato nessuno dopo di lui, per il quale provassi un attaccamento del genere.
Forse era dovuto al fatto delle cose che avevamo in comune. Eravamo entrambi appassionati di cinema, anzi lui lo era molto più di me e devo ringraziarlo per avermi aiutato ad alimentare questa passione che conservo tutt’ora. È stato grazie a lui se ho amato ed amo il cinema di Sergio Leone; poche persone della mia età apprezzano questo regista e le sue opere e tanti non sanno davvero quello che si perdono. Devo ammettere a me stesso di essere stato riluttante a mia volta al principio, ma i dubbi hanno fatto molto presto a scomparire.
Era bello restare seduti sul divano di casa sua e passare interi pomeriggi guardando le pellicole che tanto lo appassionavano e che lui teneva molto a condividere con me. Mi ha sempre trattato come fossi un suo pari, anche se aveva parecchi anni più di me. Non mi ha mai deriso o detto che non avrei mai potuto raggiungere un obiettivo e quando parlavo, mi ascoltava interessato come io facevo con lui.
Come due veri amici ci completavamo in tutto e forse stando accanto, io mi sentivo un po’ più adulto e lui ricordava il bambino che era stato e che voleva far rivivere dentro sé stesso a volte. La nostra amicizia non aveva davvero età.
Certo, non era sempre rose e fiori, ma questo è del tutto normale... avevamo i nostri battibecchi come tutti. Capitava che non ci parlassimo per qualche giorno, ma alla fine non riuscivamo a resistere ed era sempre pace fatta e bastava un sorriso per rendersene conto.
Mario non aveva avuto una vita facile... essere abbandonati quando si è poco più che ragazzi non è mai facile e per quanto tu possa sforzarti di fingere di non avere alcun bisogno di un genitore che ha preferito scappare piuttosto che restare accanto al proprio figlio, il tuo cuore soffre e soffre da morire. Soffri nel vedere gli altri bambini portati nei parchi giochi mano nella mano assieme al loro babbo; soffri quando ti rendi conto di dover crescere troppo in fretta... quando capisci che non portai avere l’innocenza e la spensieratezza che dovrebbero far parte di ogni bambino. Soffri terribilmente quando senti sulle tue spalle il peso dell’intera famiglia che ti è rimasta. E soffri quando vedi tua madre coccolare di più tuo fratello più piccolo, che non si rende conto di quanti sacrifici tu faccia per darti tutte quelle cose che non hai potuto avere.
La vita di Mario non è stata affatto tranquilla... non ha avuto che delusioni e porte sbattute in faccia per molto tempo.
Ma non ha mai mollato.
Per quanto il mondo potesse tentare con tutta la forza di sbatterlo a terra, lui si è sempre rialzato ed ha continuato a percorrere la sua strada. Non ha avuto l’opportunità di studiare... non è diventato avvocato o medico o architetto, ma che importa, in fondo? L’affetto e la stima non si misurano in termini di carriera, di questo sono sempre stato convinto ed io ho sempre provato immensa stima e rispetto per il mio amico Mario. Ha fatto tanti lavori senza mai lamentarsi e regalando sempre un sorriso al ritorno da casa alle persone a cui voleva bene. Per quanta merda potesse avere inghiottito durante il giorno o per quanto potesse essere frustrato, gli bastava tornare a casa per spazzare via tutto e ricevere la forza per affrontare il nuovo giorno, sperando intensamente che fosse sempre meglio del precedente.
Nemmeno la sua malattia lo spaventava... beh, forse un poco sì, dopotutto ho detto che non avrei parlato della nascita di un supereroe. Quando era colto da una crisi potevo vedere il panico nei suoi occhi spaesati e la preoccupazione che lo assaliva e non voleva mollarlo. Odiavo quei momenti con tutto me stesso ed avrei voluto essere in grado di farli sparire schioccando le dita. Mi sentivo tremendamente impotente... non potevo fare nulla per alleviare il suo dolore, per farlo smettere di boccheggiare e sentire meglio. Per farlo tornare a respirare bene.
Alle volte stava bene per mesi e penso che persino lui stesso dimenticasse di essere malato; c’erano momenti belli e meno belli; il caldo, in particolare non gli faceva bene. Doveva aiutarsi con quelle pillole al cortisone e quelle maledette bombolette di aria che supportavano i suoi polmoni quando sentiva che non stavano lavorando al meglio... ma era quando il collo gli si tendeva all’inverosimile e restava immobile sulla sedia o sul divano con la bocca spalancata, che tutto gli tornava alla mente. Era diventata molto più dura di un tempo combattere quel nemico subdolo che si annidava nel suo corpo e che godeva a metterlo al tappeto. Mi immaginavo di vedere un crudele demonio dentro il suo petto che lacerava la trachea e che bloccava l’aria che doveva raggiungere i polmoni, respirandola al posto suo e sghignazzando mentre lo faceva.
Aveva dovuto combattere quel demone tante volte, sin da quando era un adolescente. I medici erano del parere che tutto ebbe inizio quando lavorava come verniciatore di auto ed era costretto a respirare ore ed ore i vapori venefici delle vernici a spruzzo. Altri specialisti pensavano che quello fu solo il fatto scatenante, coadiuvato da una impronta genetica già difettosa. Ma era anche inutile fare tutte quelle ipotesi, in fondo la diagnosi non cambiava e la terapia da usare nemmeno. Ed il nome della malattia stessa dava un senso di angoscia e sembrava bloccare il respiro, come una minaccia subdola ed invisibile ma terribilmente distruttiva: ASMA.
Sua moglie cercava di stargli vicino quando lui era così debole... cercava di fargli coraggio in attesa che arrivasse l’ambulanza e lo stabilizzasse. Gli diceva che sarebbero arrivati fra poco, ma sembrava si fossero persi per strada... era così tutte le volte.
Ed io lo vedevo così indifeso ed intento a far passare dalla bocca tutta l’aria fresca che poteva inghiottire e che sembrava scappare via; l’avrebbe afferrata con le mani e l’avrebbe inghiottita a forza se solo avesse potuto. E l’avrei fatto anch’io.
Ma non potevo fare altro che guardarlo e sperare che tutte le preghiere che recitavo dentro me stesso avessero effetto al più presto, mentre lui sentiva il battito del suo cuore sotto sforzo scuoterlo come un martello pneumatico. Aveva paura che non potesse più reggere, che gli sarebbe esploso in quell’istante e che avrebbe perso la battaglia per sempre. Aveva paura di morire come ne hanno tutti ma penso avesse paura anche di lasciare le persone che gli volevano bene e gli amici come me.
Neanch’io volevo se ne andasse. Non avrei mai potuto trovare un altro amico come lui.
Poi, quando gli infermieri arrivavano e gli facevano passare la crisi... quando il cuore smetteva di battergli nelle orecchie ed il pallore del volto lasciava il posto al consueto colore rosato... solo in quel momento, tutto tornava alla normalità e mi convincevo che era stata l’ultima volta. Che era guarito e non sarebbe mai più capitata una cosa simile... che non avremmo mai più avuto paura.
Se solo avesse smesso di fumare, accidenti!
Ma era passata e tutto poteva tornare alla normalità. Come un incubo che svanisce, squarciato dai raggi del sole mattutino, anche il demone che dimorava il suo corpo si sgretolava di fronte alla vittoria ottenuta ed anche se tutti sapevamo che sarebbe tornato un giorno, facevamo il possibile per scacciare questa eventualità e pensarla come lontanissima.
E si tornava ai film di Sergio Leone, a quelli di Bob De Niro, altro suo mito ed altro attore che ho imparato ad apprezzare grazie a lui.
Ma non posso dimenticare nemmeno le risate che ci facevamo durante le notti estive, quando ci spaventavamo e saltavamo sulla sedia a causa dei mostri della rassegna di film dell’orrore del mercoledì.
Ce n’erano per tutti i gusti anche in quel caso, ovviamente: la Casa, la Casa 2, Il giorno degli Zombi, Halloween, eccetera...
Ci divertivamo come pazzi e non sarebbe stata la stessa cosa se li avessimo visti soli o con altre persone. Per noi due, quel salone, quella televisione e quel divano erano i nostri oggetti magici, così come lo era la nostra complicità.
Una complicità davvero speciale ed unica.
La stessa che ci permetteva di godere appieno le nostre gite improvvisate lungo le nostre colline. Non avevamo bisogno di definire una destinazione. Non ci interessava sapere dove andare; bastava essere assieme e poter trascorrere una giornata di sole, mangiando un gelato o facendo una passeggiata in un parco pubblico, parlando del più e del meno.
Erano momenti unici e momenti soltanto nostri.
Ora sono diventati soltanto miei ma sono momenti che restano ancora ben impressi nella mia mente come i più belli della mia vita. E vi resteranno impressi per sempre, ne sono certo.
Sono stati quei momenti a far definire la mia infanzia bellissima.
Lunghi attimi di spensieratezza e serenità trascorsi assieme ad un uomo che è stato capace di sorridere alle avversità fino alla fine e trasmettermi un patrimonio d’affetto che egli stesso non ha ricevuto da nessuno quando aveva la mia età.
Mario è stato davvero il mio migliore amico. Non l’ho mai difeso a spada tratta, qualunque cosa avesse combinato. Non ho approvato certo tutto quello che ha fatto nella sua vita. Tutti gli errori che ha commesso, alcuni dei quali veramente gravi.
Ma non posso e non voglio giudicare un amico e soprattutto non voglio farlo in questo momento. Forse, se avesse potuto tornare indietro, avrebbe fatto scelte differenti o forse pensava di non essere nel torto quando rapinò quella banca assieme a suo fratello ed altri balordi. Forse lo fece perché aveva una tremenda voglia di prendersi la rivincita che gli spettava sulla vita... voleva soltanto assaporare un po’ di pace come vedeva fare a tutti intorno a lui.
Aveva accettato i rischi del suo gesto ed ha pagato le conseguenze per ciò che ha fatto. Ho frammenti di ricordi delle poche volte che lo andavo a trovare in carcere. Ricordo bene quel piccolo metal detector che mi attraversava il corpo ed il senso di vergogna che leggevo negli occhi di mia madre quando entravamo in quel corridoio così triste ed angusto.
Ricordo i suoi occhi così tristi, che si risollevavano un poco nel vedere i suoi cari oltre quel vetro così spesso... oltre quell’ostacolo insormontabile che non mi permetteva di prendergli la mano per cercare di iniettare in essa un po’ di speranza. Aveva sbagliato e stava pagando per il suo errore... ed era giusto così, certo.
Ma questo non significa affatto che Mario fosse un criminale.
Io l’ho conosciuto bene e posso dire con commozione che era un brav’uomo. Un uomo che ha fatto tante cazzate ma che ha anche avuto tanto coraggio nella sua vita. un uomo che mi ha insegnato tante cose al di là di tutto quello che possa avere fatto di sbagliato. Un uomo che mi ha insegnato a non commettere i miei stessi errori e che mi ha dato fiducia in mè stesso come pochi hanno fatto. È stato un grande amico ed una persona che avrei voluto conoscere meglio.
Ma una sera di Novembre di tanti anni fa, purtroppo Mario perse la sua battaglia contro un male che non lo aveva mai abbandonato e che si era fatto più forte, mentre il suo fisico iniziava a sentire il peso dell’abuso di farmaci e di tabacco. Dissero che era stato veloce: si accasciò al suolo e perse conoscenza subito, mentre il suo cuore spezzato batteva le ultime volte. l’ambulanza arrivò prima questa volta, ma era sempre troppo tardi. Hanno detto alla sua famiglia che non ha sofferto o che è stato soltanto un attimo. Questo avrebbe dovuto consolarmi, ma forse il mio dolore era troppo vasto e pungente perché sentissi quella piccola parte di sollievo. Ricordo che quel giorno mi venne a prendere a scuola e facemmo la strada assieme fino a casa. Era stata una sorpresa per me. Il tragitto casa-scuola non era certo lungo, tutt’al più cinque minuti... non c’era ragione che venisse a prendermi, ma fu bello quando lo vidi lì all’uscita che aspettava me.
Mi domandò com’era andato il compito di matematica che mi preoccupava da giorni... presi otto e fu una delle mie migliori verifiche di quell’anno in quella materia da sempre così tosta per il sottoscritto.
Quel pomeriggio iniziai a studiare per una interrogazione di storia che avrei avuto a breve; erano parecchi capitoli e non avevo ancora aperto libro. Dovevo assolutamente recuperare o avrei rovinato la mia media. Era troppo importante, per me!
Se avessi saputo... se solo avessi capito che lui mi stava salutando... sapeva che non gli rimaneva molto e voleva passare tutto quello che gli rimaneva con me. Ma chiusi la porta della camera e mi concentrai nella storia... in quella che era la cosa più importante.
Non mi accorsi di nulla.
Perché non mi accorsi di nulla?
Forse perché ero ancora troppo piccolo?
Forse perché lui aveva finto troppo bene?
Forse perché credevo che quel giorno fosse ancora molto lontano o magari che non sarebbe mai arrivato?
Non ricordo quello che pensai dopo... ricordo che mentre ero sdraiato nel letto dopo aver saputo la notizia, pensando che non avrei certo dormito quella notte, avevo impresso nella mente il suo sorriso e vedevo che mi salutava e che si allontanava. E quando mi resi conto di avere perso il mio amico, piansi in silenzio. Piansi perché non lo avrei più avuto accanto... non ci sarebbero più stati film né uscite, né risate assieme. Mi restava solo il ricordo e la rabbia verso mè stesso di non essere riuscito a capire l’addio che mi stava dando.
Ma non credo fosse arrabbiato con me per questo. Forse gli era bastato passare un po’ di tempo assieme, seppur poco, ancora una volta. Gli era stato sufficiente per accettare, almeno in parte, il suo destino.
Ancora oggi, mi aspetto di vederlo entrare da quella porta... mi aspetto che tutto torni come prima. Che magari si è trattato di un film di spionaggio e che il cadavere in quella bara che ho visto non fosse il suo. Forse l’hanno rapito gli alieni e proprio oggi lo lasceranno andare. Forse siamo in una di quelle serie televisive dove i personaggi principali resuscitano sempre.
O forse, questa è soltanto la cruda realtà.
Una realtà che mi ha strappato via un caro amico troppo presto. Una persona che vorrei qui. Vorrei che vedesse l’uomo che sono diventato e vorrei chiedergli se è fiero di me, senza dovermi immaginare che la sua risposta è sì. Mi piacerebbe sentirmi abbracciato da lui ancora una volta e prendere un gelato assieme. Mi piacerebbe che avesse potuto vedere i film dei suoi idoli che si è perso. Che avesse potuto invecchiare assieme ad Al Pacino e Robert De Niro... che avesse potuto conoscere i miei amici e la mia ragazza.
Mi piacerebbe tanto vederlo rientrare da quella porta... ma fino ad ora non l’ha mai fatto.
E mi restano solo i ricordi di tutto quello che abbiamo trascorso insieme.
Dicono che è sbagliato vivere di ricordi e che bisogna andare avanti ma dicono anche che i ricordi fanno vivere i nostri cari per sempre e li conservano dentro al cuore. Io credo che i ricordi che ho di Mario mi diano tanta tristezza ma anche tanta gioia.
Alle volte piango in solitudine quando rileggo le cartoline che mi spediva da tante città italiane, che a me parevano irraggiungibili.
Quelle cartoline che faceva imbucare ai secondini e nelle quali scriveva che c’era molto lavoro e che non poteva ancora tornare a casa... ma sarebbe tornato presto ed intanto dovevo essere io a pensare alla sua famiglia.
Un segno tangibile del suo affetto e dell’uomo che era che mi fanno sentire tanto la sua mancanza ma che mi danno anche la gioia di avere qualcosa di suo. Qualcosa a cui non potrei mai rinunciare.
Ed anche se non sono una persona di fede, spero tanto di poterlo rivedere un giorno in qualche luogo... magari mi aspetterà alla guida di quella Fiat 132 blu metallizzato, pronti per un nuovo viaggio e per tanto divertimento. La nostra macchina delle meraviglie.
Magari è da qualche parte con il motore acceso e mi aspetterà fino a quando ve ne sarà bisogno... mi piace pensarla così.
Mi piace pensare che un giorno ritroverò il mio migliore amico.
Ti voglio bene, papà.
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- sincero nelle parole!! bravo!!!
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