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Giusta vendetta
La città era nel complesso un buon posto in cui vivere, ma la casa di Daniel era stata costruita in un quartiere abitato da molti tipi di persone, soprattutto stranieri: immigrati dall'egitto, dall'india, e zingari dell'est europa. I problemi derivanti da quelle genti non mancavano, da quando agli inizi del secolo avevano cominciato a trasferirsi per tentare fortuna in un altro Paese. Quell'estate Daniel si stava godendo, insieme a suo fratello Mike (quattro anni più giovane), le meritate vacanze dopo l'anno accademico. Ogni giorno era fatto di lunghi sonni, spiagge, nuotate, ma anche di sport, corse e grandi serate. Per Daniel quelle serate erano grandi perché spesso e volentieri le trascorreva insieme alla ragazza di cui era innamorato, Julia, con cui stava insieme da un bel po'. Quella sera di luglio gli amici di Daniel erano rimasti su un muretto a scherzare e a parlare degli ultimi pettegolezzi riguardanti le ragazze più carine che conoscevano. Daniel e Julia si erano allontanati per una passeggiata verso il centro città. Mike era in giro con la sua bici blu, sua fedele amica da quando era diventato abbastanza alto per salirvi. Il fatto spiacevole di quella calda serata accadde verso le undici e quaranta, quando in giro vi era poca gente, perlopiù studenti che al mattino seguente non avrebbero avuto molto da fare oltre che dormire: due giovani zingari si avvicinarono al muretto con disinvoltura, gli occhi velati da qualche bevuta, un' impercettibile ghigno tra le labbra. Puntarono dritto verso il gruppetto di ragazzi che non si erano ancora accorti delle due scomode presenze. Gli stranieri non usarono mezze misure; dopo aver scelto la loro preda, avendo indovinato chi fosse il più innocuo e ben vestito del gruppo, gli rivolsero una domanda secca con fare audace. Il ragazzo mise le mani in tasca, tirò fuori qualche moneta e la porse allo zingaro. Ma quella "elemosina forzata" non bastò. I due cominciarono a chiedere altri soldi, coinvolgendo tutta la combriccola a guardarsi nelle tasche dei jeans. Non avendo racimolato granché, si accanirono su uno dei ragazzi spintonandolo e minacciandolo di dolorosi pugni sul suo "bel visetto". Con una manata gli fecero cadere a terra gli occhiali da vista che portava, comprati da pochi giorni. Una lente si ruppe a contatto con l'asfalto. Nessuno osò ribellarsi a quelle prepotenze, perché sapevano che quei due erano stati protagonisti vincenti di molte risse, nelle quali a volte pare che fossero volati anche dei coltelli. Nel frattempo arrivò anche Mike, che aveva percepito da lontano che qualcosa non stava andando per il verso giusto sotto le luci dei lampioni, a pochi metri dal muretto bianco sporco. All'arrivo di Mike l'attenzione dei farabutti si spostò, com'era prevedibile, sulla sua bici. Il rumeno che era stato più silenzioso tra i due nei precedenti minuti puntò il piccolo Mike e lo fece quasi cadere dalla sella. Con uno strattone gli strappò la sua "amica" dalle mani e ci saltò su di peso. Faceva "impennate" e "sgommate", mentre Mike tentava invano di farlo smettere. La situazione era degenerata.
Era ormai quasi mezzanotte quando Daniel e Julia fecero ritorno al muretto. Daniel capì subito ciò che stava accadendo e si fece subito avanti per difendere il fratello minore, che tratteneva le lacrime alla vista della sua bici maltrattata. Julia gli implorò di stare calmo e di desistere dal fare qualsiasi cosa che avrebbe potuto innervosire i due zingari. Uno dei due rivolse la sua attenzione alla bella ragazza avvicinandosi a lei con l'intenzione di parlarle in privato. Julia si scansò subito. Daniel si frappose tra lei e il rumeno, di cui sentiva la puzza d'alcol quando aprì la bocca per minacciarlo. Le facce dei due giovani erano sempre più vicine: ma gli sguardi che si incrociavano erano diversi. Daniel non era sicuro di essere un bravo pugile, ma avrebbe fatto qualunque cosa per difendere Julia, oltre al fratello Mike. Lo zingaro aveva lo sguardo arrogante, lo sguardi di chi non ha nulla da perdere. Ma quella notte si sarebbe accorto che ne aveva, e di molto preziose, di cose da perdere...
L'aria carica di tensione fu scossa da una voce, distante qualche decina di metri, che richiamava l'attenzione. Era la voce di un ragazzo, che
con il suo cane al guinzaglio, guardava immobile la scena. Il ragazzo si rivolse direttamente agli zingari, dicendo che se fossero andati subito via gli avrebbe risparmiato molto dolore. Quelli risero. Ma non sapevano che quella sarebbe stata la loro ultima risata per molti giorni.
Il ragazzo e il cane avanzarono e si fermarono a pochi metri dagli altri. Il cane annusò l'aria e capì in un istante chi era il nemico quella notte. Alzò il pelo sul dorso e cominciò ad abbaiare mostrando i canini, mentre tirava il guinzaglio frenetico, cercando di avventarsi verso lo zingaro. Il padrone tratteneva l'impeto del cane con insolita sicurezza. Nessuno parlava, tranne il ragazzo e lo zingaro, che alla vista del cane aveva mutato sguardo e tono di voce. Era d'un tratto docile e impaurito. Disse tremante allo sconosciuto di far star buono il cane altrimenti si sarebbe innervosito. Stavolta a ridere era proprio il ragazzo. Consigliò nuovamente al rumeno di allontanarsi subito. Ma questi inizialmente non lo ascoltò; in realtà avrebbe voluto correre lontano e mettersi in salvo, ma, per difendere la sua affermata reputazione da "duro", continuò a porsi in atteggiamento di sfida per qualche istante di troppo.
Il rumore del gancio che si separava dal collare del cane sconvolse tutti, per la rapidità e la decisione del gesto. Il cane si lanciò con un balzo addosso allo zingaro e lo azzannò al braccio. Il malcapitato lanciò un urlo di terrore. La bestia non mollava la presa e affondava i denti, strattonando la carne del delinquente, dalla quale usciva il primo rivolo di sangue. L'altro rumeno aveva lasciato la bici ed era scappato via, come una lepre inseguita da un cacciatore. Intanto la gente dei palazzi circostanti si affacciava ai balconi per scoprire da dove e da chi provenissero le urla, ma quasi nessuno parve scosso o dispiaciuto per ciò che stava accadendo. Era come se con il loro silenzio approvassero la punizione inferta al criminale. Era come se con quella visione stessero dando tregua all'odio verso quelle genti che avevano tolto la serenità alla loro tranquilla cittadina. Un odio che negli anni avevano spesso imparato a reprimere.
Intanto il cane continuava la sua opera che non era altro che la manifestazione di un istinto primordiale che lo spingeva a difendere il padrone a costo della vita. Il rumeno piangeva e implorava aiuto. Daniel, Julia, Mike e i loro amici provavano tutti un'emozione strana, mai provata prima, un misto di euforia e preoccupazione; pensavano che forse la punizione che lo zingaro stava subendo era troppo dura. Il ragazzo che era venuto dal nulla percepì subito le sensazioni degli altri. Disse che quello era esattamente ciò che una persona cattiva meritava, il minimo prezzo per aver seminato il male durante quella serata estiva, e in molte altre sere. Quando il suo braccio sanguinava abbastanza, e tutto il resto del corpo era coperto di profondi graffi, la maglietta strappata e i pantaloni macchiati dalla sua urina, quando ebbe finito di implorare perdono verso chiunque avesse intorno, il ragazzo richiamò il cane e riagganciò con cura il guinzaglio al collare. Dopodiché si guardò intorno sereno e si girò per andarsene. Daniel gli corse dietro e lo raggiunse subito. Gli chiese chi fosse e come avrebbe potuto ringraziarlo per averli aiutati. Il ragazzo non disse il suo nome, e rispose che non occorreva ringraziarlo ora. Sorrise e disse che forse un giorno Daniel e gli altri avrebbero avuto modo di rendergli il favore. Poi se ne andò, e sparì dietro un angolo insieme al suo cane. Lo zingaro, ridotto uno straccio, sporco di terra e di sangue si alzò a fatica implorando aiuto un'ennesima volta. Nessuno gli diede una mano, nessuno chiamò un'ambulanza, nessuno lo portò all'ospedale. Si incamminò senza meta e a testa bassa, bisbigliando qualche frase nella sua lingua. Nel frattempo veniva insultato da tutte le persone del vicinato che avevano assistito compiaciuti allo spettacolo dai loro balconi, accarezzati da una fresca brezza notturna. Quella notte alcuni, prima di rimettersi a letto, pregarono e ringraziarono Dio per aver guidato quel giovane e il suo fedele amico in quella nobile vendetta. Una giusta vendetta.
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