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Il biglietto
Sembra che tutto stia andando come da programma. Ho aperto la porta e ora ne subisco le conseguenze. Sapevo che sarebbe successo, ma doveva andare esattamente così, non c’era altro modo. Ora sono solo, completamente solo. Abbandonato a me stesso. Sì, è questo il mio vero e unico sentimento: l’abbandono. Giro per casa. Guardo i corridoi, le stanze, persino la tazza del cesso sembra avermi abbandonato. Non vedo familiari, non vedo amici. C’è solo questa figura in abito nero che mi tiene lontano, mi spinge verso l’uscita.
Vado nella mia stanza e metto in valigia le ultime cose. Fuori non fa caldo. Metto un pantalone dentro. Fuori non fa freddo. Mi ricordo di una vecchia maglia, potrebbe essermi utile. Fuori non piove. Prendo le ciabatte e le infilo in una busta. Fuori non c’è il sole. Ah, c’è anche questo libro! Prima o poi finisco di leggerlo. Fuori non c’è niente.
Chiudo la valigia e la guardo. È sul mio letto. Ho un nodo alla gola. Piango. Giro per casa ancora una volta e non vedo niente. Solo delle stupide pareti bianche che mi tengono distante. Lacrimo domande. Vorrei poter urlare, dire qualcosa, solo non so cosa. Queste fredde mura che mi tengono a distanza. Smetto di piangere. Ho il cuore che batte forte, sto anche sudando. Tolgo la valigia dal letto, anzi, dovrei dire dal materasso. Ecco cosa resta della mia stanza da letto. È tutto vuoto, spoglio, morto. Mi butto sul materasso. Sono un sacco pieno di merda. Guardo fisso il soffitto. Cerco un sorriso, un conforto. Niente. Ho smesso di piangere. Quale motivo avrei avuto per continuarlo a fare?
DOVE SIETE TUTTI? Mille ricordi affondano la mia mente. “Si salvi chi può! ” urla il capitano della nave. Si butta nelle gelide acque del mare, fregandosene degli altri. Bastardi egocentrici.
Prima, quando stavo piangendo, ho avvertito questa strana sensazione. Era un vuoto che di dipanava dentro di me. Una sensazione che ho già provato più di una volta, ma quando? Cerco di sforzarmi. Posso farcela. È un ricordo, qualcosa che ho già conosciuto, forse qualcuno. Di che sto parlando? Dannazione! Finisco sempre così, col dimenticare cosa stavo pensando!
Maledetto me. Sì, beh, forse è questo il motivo di questa valigia. Questo continuo attaccare la mia persona mi sta destabilizzando, meglio scappare. Che poi, a pensarci bene, il primo che attacca me stesso sono proprio io. Assurdo. Dovrei cercare di essere un po’ più flessibile con le mie colpe. Colpe... che colpe? Mica sapevo di aver commesso qualcosa! Devo pensarci, rifletterci su. Magari è qualcosa che... no.
Prendo la valigia e la porto fuori dalla stanza. Un’ultima occhiata e poi via lungo il corridoio. Quest’alito pessimo che soffia sul mio collo, che mi spinge ad abbandonare. Perché se non lo fanno loro, lo faccio io.
Mi reco all’ingresso. C’è ancora qualche mobile qui. Sulla specchiera ci sono le chiavi di casa. Sorrido. Mi giro a sinistra ed entro nel soggiorno. Vado vicino alla finestra. Che bei ricordi. Guardo ancora una volta giù. Stavolta non ho nulla da bere, solo ricordi che feriscono la mia mente. Ricordi poco lucidi, mischiati al nero del passato. Alcuni bambini stanno giocando con un pallone. Urlano, corrono, si divertono. Beati loro. Vorrei sul serio poter essere come loro, spensierati. Già, è questo il mio problema, il fatto che mi convinco che NON POSSO. Maledetta finzione! Non penso più così ----------, ma mi ritrovo con un pensiero simile a questo ||||||. Che vergogna. Vedo gli altri nella mia mente deridermi. Altri ancora, quelli che odio più di tutti, che mi compiacciono. No, voi siete parte del mio male. Sono malato e “andavo” curato. Invece voi cosa avete fatto? Sì, hai ragione, sì hai ragione. Pecore del cazzo, andate a belare altrove! E quegli individui che mi dicevano che bastava andare con una ragazza, che bastava divertirsi? Bleah, squallidi anch’essi. È forse per questo che mi ritrovo in questa casa, in queste quattro mura adornate con il nulla alle pareti.
Afferro la valigia e poi le chiavi. Apro la porta di casa con qualche difficoltà. Sono fuori. Da quanto tempo. Ho voglia di piangere, forse per la gioia, forse per altro. È questo che vuol dire nascere? Chiudersi alle spalle un percorso? Uscire da un incubo? Oh, eccola la nausea che sale. Maledizione. Cerco di respirare, ma serve a poco. Scendo i gradini di casa. Un piano, poi un altro e un altro ancora. Sono completamente fuori. Sì, di testa. Fermo un taxi. “All’aeroporto” dico all’autista. La radio canta, lui muove la testa a ritmo e il viaggio si fa sempre più pesante. Lo stomaco si gonfia, la nausea cresce. Sento le gambe molli. Il conducente cerca di instaurare un qualche rapporto. Fingo un sorriso e rispondo con educazione alle sue domande. Mi sto avvicinando e il mio intestino lo sa. Oh, povero me. Mi lascia all’entrata dell’aeroporto. Pago e prendo la mia unica valigia. Qui non so cosa succede. Troppe persone, le gambe strisciano come cadaveri. Biascico parole alla mia persona. Impreco più di una volta. Qualcuno tira la mia persona, forse io, forse la mia mente.
Avanzo lentamente. Noto che alla mia vita è allacciato qualcosa. Una cintura che è legata a un elastico enorme. “Che... che diavolo è? ”
Tiro la mia PERSONA cercando di allontanarmi il più possibile da non so cosa. Vedo il vuoto, il nulla che mi saluta. Mille voci che rimbombano nella mia testa. Ricordi che pensavo aver dimenticato. C’è qualcosa... è lì, la vedo, ma subito fugge via. Peccato, c’ero vicino.
“Signore, il biglietto per favore. ” Metto le mani in tasca. Prendo un pezzo di carta e glielo porgo. Lei lo guarda e poi mi dice, restituendomelo: “Mi spiace, questo per oggi non è valido. Riprovi più in là. ”
CHE CAZZO DI RISPOSTA È QUELLA?
“Come dice? ” sono confuso.
“Mi spiace, signore, ma questo biglietto non è valido. ”
“È impossibile. L’ho fatto proprio qui l’altro giorno. ”
Lei sorride, cerca di mantenere un certo contegno. La molla inizia a tirare, perdo metri da quella donna.
“Mi spiace, non so proprio cosa dirle. ”
FANCULO.
La molla tira, tira e tira sempre più forte. Sono risucchiato via. Perdo la valigia. Vedo le persone ridere, altre attonite che cercano di capire quella strana figura che è strappata dalla loro vista. Non sto fuggendo, è che proprio non so come fermarmi. Cerco di aggrapparmi a qualcosa. Vedo un bambino che mi saluta. Sta mangiando un grosso lecca-lecca. È un attimo. Cado a terra, la forza che mi tira è sempre più forte. Sembro un proiettile che torna nella canna della pistola. Via, indietro verso il passato. Sbatto contro tutto e tutti. Poi perdo conoscenza. Ritorno verso il nulla.
Mi risveglio nel mio letto. Le pareti sono bianche. Ci sono le coperte. È notte. Mi alzo e cerco le ciabatte. Ne infilo una e poi l’altra. Cos’è successo? Che razza di sogno è stato? Sono tutto sudato.
Percorro il corridoio al buio. Vado in cucina. Cerco l’interruttore. Ho gli occhi gonfi, pieni di notte. Alzo lo sguardo sopra la porta, cerco di capire che ora sono. 3 e 45, mi pare di vedere. Dove diavolo sono stato tutto questo tempo?
Prendo un bicchiere e lo riempio d’acqua della fontana. Bevo un sorso. Sento l’acqua scendere dentro di me, pura, limpida. Poso il bicchiere, spengo la luce e faccio per tornare a letto. È tutto buio. Cerco di sentire qualcosa. Sono solo a casa? Non ricordo. Maledizione! Proprio non riesco a ricordare. Vorrei poter aprire la porta e guardare dentro, ma ho troppa paura. Ho una paura fottuta di vedere cosa ci possa essere dentro. Maledetto me. Inizio a piangere. Me ne vado singhiozzando a letto. È colpa mia, è colpa mia. Di cosa non lo so, ma è colpa mia. Cerca di non essere così duro con te stesso. Provo a convincermi, la vedo difficile. Piango e mi giro su un fianco. Vedo il muro che mi dà la buonanotte.
Qualcosa di freddo mi tocca il piede. Mi tuffo sotto le coperte e allungo una mano. Cos’è...? L’afferro, è una chiave. Una chiave blu. La prendo e la poggio con molta cura a terra. La guardo un’ultima volta. Ho ancora le lacrime che bagnano il mio volto. Tiro un sospiro. Forse di sollievo, forse d’ansia. Mi giro a guardare ancora una volta la chiave. È lì, non si è mossa. Chissà, magari domani mattina la trovo ancora lì e forse...
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