“... niente è più fantastico e straordinario della vita reale...”
(E. T. A. Hoffmann: O Homem de Areia- L’uomo della Sabbia)
Il mio luogo è nel sogno. Quando ho scoperto, ho detestato tutto che lo riguarda. Le abitudini notturne. Il giorno è uomo: aggressivo, barbaro, violento… La notte è donna: delicata, dolce, affettuosa. Appena la penombra se staccava dall’occaso, mi assaliva un’allegria struggente.
Io e la notte eravamo più che amici. Eravamo amanti. Ci siamo dati, uno all’altro, tutto quello che due amanti sono capaci di donarsi reciprocamente.
Lei mi aveva dato soprattutto le emozioni. Come tutti gli amori, in un giorno incerto, quando finiva la giornata, lei è arrivata tarde.
Siamo usciti. Lei avvolta nella sua mantella nera, ricamata con le stelle. Io, vestito soltanto con i miei sogni. Camminavamo lentamente per le periferie, vuote di persone e piene di quiete. Così, assorbiti uno nell’altra, ci siamo persi. La metropolitana era già chiusa. Camminavamo sempre in avanti e, ad ogni passo ci allontanavamo dell’origine.
Nessun taxi in giro. Improvvisamente, un cartello indicava il carabiniere.
Ci siamo persi? Non abbiamo visti la segnalazione? Sì che abbiamo visto. Ma non ci siamo venuti qua per dire quel che abbiamo visto o no. Siamo venuti a chiedere aiuto. Non ci sono vetture. Possiamo soltanto offrire informazione e una pianta della città. Abbiamo seguito gli orientamenti della pianta. Avevano delle valli che dovevamo contornarle. Esistevano delle scorciatoie. Vie e viali senza uscita. Vie sinuose. Labirinti. Gira capo. Labirinti e it. Così, continuavamo ancora più persi, ma sempre camminando in avanti.
Derivando per le vie secondarie. Mi sono seduto nel filo di pietra.
Lo stato d’animo per un filo. La mia compagna non ha voluto o potuto sedersi. Un’ambulanza della Croce Rossa ferma in una luce rossa. Ho dovuto parlare un linguaggio solo mio, in una lingua solo loro: Ci siamo persi e stiamo male. Aspettiamo il loro passaggio. Nel bene o nel male. E così sono partiti, facendo cantare le gomme. Più torture. Più labirinti. Più it. Sudori. Suonavano le due del mattino. O’ notte, dammi un po’ della tua tranquillità, una goccia del tuo calmante, un raggio della luce lunare. Fai a te quello che sempre hai fatto a me. Lasciami sdraiarmi nel tuo grembo, avvolgimi con la tua mantella, consolami con il tuo silenzio. Oppure, fa finire presto questo calvario: Ci svegliamo in due. Tre. Ancora mancano quattro ore per che la mattina ci arrivi. La risposta fu un fischio. Non dalla notte, ma da un altro dei suoi amanti: un vento freddo. Ho dovuto sdraiarmi per terra. Per quanto riguarda il giorno, i suoi urli di vita, soltanto adesso li vedo. E non li sento. Due taxi. Mi riempio d’aria e di esperanza. Segnalo. Vedono, ma non vengono. Un autobus se ferma. Non per prendermi: va dove non devo andare. Prosseguiamo la camminata: io e la notte. Quasi non si vedi più la luce.
Nubi nuvolose e ombre che spaventano. È vana, sempre di più, la mia voglia di far “il tarde” diventare “il presto”. Un giardino. Sento già il profumo del gelsomino in fiori. Non sento più quell’emozione che sentivo una volta... quando era giorno. Mio animo pian piano se calma. Arriva un altro mezzo, mi vede e se ferma. Salgo senza pensarci. Senza parlare niente. Se prosegue. Mi domandano in una lingua sconosciuta ma con un linguaggio conosciuto, dove devo andare. Rispondo: Vado dove andate voi. Ferma, voglio scendere. Non scendo. Anche per um milione non scenderei. Scende una coppia e mi chiede di accompagnarla. Scendo. Mi hanno lasciato in una stazione.
Sono le cinque. Del mattino, de “domani”. Io non ho lasciato la notte. Lei mi ha lasciato…
08/05/2006