racconti » Racconti brevi » [Senza titolo]
[Senza titolo]
Calma. È solo questione di poche ore, poi sarà tutto finito.
In preda al panico, scendevo le scale che mi avrebbero portata all’inferno.
Quell’immensa sala, troppo sfarzosamente addobbata, gremita di persone in abito elegante che si guardavano intorno, drizzando le orecchie, alla ricerca dell’ultimo pettegolezzo, tutte con lo stesso sorriso finto stampato sulla faccia e con tanta voglia di farsi i fatti tuoi.
Senza tralasciare che tutte, in un modo o nell’altro, risultano improvvisamente tuoi cugini, zii, cognati e quant’altro.
Oddio, avevo bisogno di una mano, non sarei mai riuscita ad arrivare a fine serata da sola. Ma dov’era Jonathan? Mi aveva lasciata urlante per il dolore con Agata, la governante, che mi tirava i capelli costringendomi a stare dritta per acconciarmi come una dea greca, manco potessi lontanamente ricordarla. Per non parlare del vestito, così stretto che ho rischiato di vomitarle addosso.
Così lui se l’era squagliata con la scusa del gatto sulla pentola a pressione. Ah ah.
Tornando alla realtà il cuore prese a battermi decisamente troppo rapido. In fondo, cos’era mai? Si trattava solo di salutare qua e là, fare qualche complimento e mostrarsi sicura e, soprattutto, sorridente.
Già, ma chi volevo prendere in giro? Sapevo meglio di chiunque altro quanto odiassi le feste.
Giunsi all’ultimo gradino con il cuore in gola ed il fiatone, neanche stessi salendo, ma dovetti riacquistare subito un minimo di fermezza: una caduta in quel momento mi sarebbe costata una miriade di occhi puntati addosso, una serie di acuti stridenti e una massa di curiosi, raccolti a quella che ritenevano una moribonda, che estraevano i cellulari per chiamare il pronto soccorso gridando “È caduta! È ferita! È morta! ”.
Meglio evitare.
Mi guardai attorno: ogni centimetro di spazio era occupato da fiocchi rossi, angeli, alberelli, stelle ghirlande e decorazioni varie. Era incredibile, ogni anno, l’eccesso di entusiasmo con cui veniva allestita la casa in attesa del Natale. Neanche fossimo cristiani. O meglio, la mamma lo era, e noi abbiamo mantenuto la tradizione.
Ancora sentivo vive dentro di me le emozioni che provavo il giorno di Natale quando, al nostro risveglio, la mamma ci faceva sedere tutti intorno all’albero, con i vassoi della colazione pieni di dolci e con la radio che inondava la stanza di musiche natalizie.
Mentre ci rimpinzavamo di torte e pasticci, si aprivano i regali; Leo era sempre il primo, poi io, e poi mamma, papà, Agata e tutto il resto della troupe di domestici. Dopodiché non esisteva altro al di fuori del gioco nuovo della Playstation, della gonnellina all’ultima moda, del peluche gigante e dell’ultimo modello di aeroplanino radiocomandato.
Vagavo con i ricordi a non meno di quattro anni indietro, quando una voce stridula e penetrante m’interruppe bruscamente.
Misi a fuoco quanto bastava per vedere la signora Palombo a braccia aperte pronta ad aggredirmi.
Cercai nella frazione di un secondo una via di fuga, speravo che un angelo si staccasse da una di quelle statuette che pendevano dal soffitto e mi prendesse tra le sue braccia, per poi portarmi lontano, nel suo paradiso. Ma non ebbi neanche il tempo di reagire, in un attimo mi fu addosso.
“Sam! Tesoro, sei fantastica stasera! Ma fatti vedere un po’, accidenti una donna a tutti gli effetti! ”
Sorrisi. Era tutto quello che potevo fare. Mi sentivo uno di quei bambolotti che restano impassibili anche quando li scaraventi a terra e ci sali sopra con i piedi.
Ma ero preparata. Avevo passato una settimana in attesa di quel momento, non che fossi pronta o carica, però non mi avrebbero colta di sorpresa. Con una persona come me, c’era da fare esercizi. Le figuracce erano la mia ombra ed ogni festa ne custodiva la propria collezione. Senza parlare del fatto che, oltre ad essere una questione di orgoglio personale, Jon mi avrebbe preso in giro fino al prossimo Natale, quando poi ne avrei avute altre di cui vergognarmi.
Ripensai ai miei promemoria. Sapevo che non avrei mai dovuto chiedere alla signora Ruggeri del suo cane - morto in novembre -, con la signora Esposito l’argomento tabù era la scuola – il figlio si era arreso a diciannove anni con la terza superiore - e con la Bernardi guai a chiedere di suo marito – finalmente, dopo trent’anni, il vecchio l’aveva lasciata per una brasiliana che sarebbe potuta essere sua nipote, e l’aveva seguita in capo al mondo-.
Tornando a me…Chi avevo davanti? Ah già, la Palombo; sua figlia era scappata di casa con un metallaro e da allora nessuna aveva avuto più sue notizie. Ma era successo più di cinque anni fa.
Mi mostrai cortese.
“La ringrazio. Lei come s.. ”
Non feci in tempo a finire la frase che un vortice di “Sam! Bellissima! ”mi travolse sconquassando quel briciolo di stabilità che mi ero conquistata.
Un’ondata di terrore mi colse all’arrivo di un branco di facoceri affamati e imbestialiti. E io sarei stata la loro cena. Mi voltai, tremando.
Lo sapevo, Jon me lo aveva augurato, Buona Fortuna. Mai dire una cosa del genere, porta sempre iella.
I cinque, dieci, forse venti minuti che seguirono furono un susseguirsi impetuoso di domande, molte delle quali sciocche e retoriche, ma tutte senza una risposta precisa. E poi quello che temevo.
“Allora, raccontaci, dov’è Dani? ”
“Ma poverina, magari non lo sa neanche! Però state ancora insieme, vero? ”
“Come no! Un bel giovanotto come lui non lo si trova da nessuna parte! Tienitelo stretto, eh. ”
“Figurati, sono una coppia perfetta. Lui sta bene, vero? Perché non lo hai invitato qui? Ci avrebbe fatto piacere vederlo. ”
Solo all’udire il nome, la stanza prese vorticosamente a girare ed io caddi nel panico. Incosciente, frastornata, non sentivo più le loro voci. Solo dei fastidiosi mormorii. Le gambe mi cedevano, dovetti reggermi forte al corrimano della scala.
“Buonasera signore! Tutte sempre più belle! Hanno portato la torta, nessuno desidera assaggiarla? ”
Eccola lì, la mia ancora di salvezza.
“Ciao caro! La torta? Come si fa a rinunciare.. ”
Abbandonai le donne a stupidi discorsi sulla linea e su quanto genuinamente ognuna di loro mangiasse. Come no. Fra cinque minuti di quella torta al cioccolato sarebbero rimaste solo poche briciole.
Intanto il mio salvatore, dopo un grazioso inchino, mi aveva offerto il braccio.
“Sam, piccola, sei splendida. Dov’è il trucco? Cosa c’è sotto? ”
“Il trucco è tutto in faccia, un chilo di fondotinta e un po' di solcate di fard, e sotto ci sono i resti coloriti di una serie di nottate insonni e di qualche cioccolatino di troppo. ”
Mi sorrise, caldo e dolcissimo, e mi baciò sul naso. Era proprio quello di cui avevo bisogno. Dimenticai in fretta i tristi pensieri da cui mi ero lasciata investire poco prima; ora c’era lui accanto a me.
Jonathan era mia mamma che era morta, mio fratello che se n’era andato e il mio migliore amico.
Era i quarantacinque centimetri di spalle su cui piangere, il cento per cento delle mie ragioni d’esistenza.
“Sei fantastica, lo sai. ”
“Quel tuo naso finirà per diventare un pericolo. ”
Si guardò in giro.
“Faranno storie se ti rapisco? ”
“Sarò io a fuggire con te. ”
Risalimmo in fretta le scale, stavolta verso il nostro paradiso segreto – e neanche avevo il fiatone -.
Chiusa la porta alle spalle, si stravaccò sul letto. Io ovviamente mi accontentai della seggiola della pettinouse, lieta, nonostante la noncuranza del suo egoismo, di averlo davanti a me.
Appoggiai la testa sulla mani e chiusi gli occhi, ripensando all’interesse delle anziane signore, nei confronti di Daniel, il mio – ancora non riuscivo a parlare di lui usando il termine – ex ragazzo. Tutto era successo troppo in fretta per rendermi conto che quell’incredibile favola era finita. Per sempre.
A Jon non sfuggì la mia tensione.
“Ci pensi spesso? ”
Era ammirevole la dolcezza che traspariva dalla sua voce, l’energia che mi trasmetteva con un suo sguardo, la tranquillità con cui mi calmava nei momenti di crisi, la volontà nel rendermi felice.
Sapevo quanto fossi fortunata, me lo ripetevo ogni volta che, alzando gli occhi colmi di lacrime, incrociavo i suoi, fissi su di me, mentre le sue forti braccia mi stringevano al petto e, respirando in sincrono, ascoltavamo i nostri cuori battere.
Mi destai senza aprire gli occhi.
“No. ”
Non rispose. Sapevo il perché.
“Ogni tanto. ”
Ancora nulla.
“Si, spesso. ”
Quel ragazzo sapeva entrarmi nella mente, leggermi e tirare fuori la verità che, spesso e volentieri, preferivo celare. Era incredibile. Non sarei mai riuscita a mentirgli sul serio.
1234
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0