racconti » Racconti brevi » [Senza titolo]
[Senza titolo]
“Oh! Ahi! ”
“La smetta, signorina. ”
“Aaaah! No! Basta! ”
“Oh! Quante lagne! Neanche la stessi picchiando. ”
Le sue parole mi fecero rabbrividire. Come poteva pensare una cosa del genere? Non ci riflettei sopra molto, perché un altro dolore acuto mi perforò la testa.
“Ahia! Basta, stop! ”
Ormai ero sotto tortura da quasi un’ora, un’interminabile e massacrante ora. Come se ne sarebbe valsa la pena. E non c’era verso di fermarla; le sue mani giocavano, sbrigliavano, annodavano e intrecciavano ogni mia ciocca, facendomi urlare. A furia di mordermi i denti mi era uscito sangue, forse non era stata una buona idea. Ma quale idea era stata buona nelle ultime ventiquattr’ore?
Quella di organizzare una super festa all’americana piena di gente con la puzza sotto il naso, che ti squadra dall’alto al basso e ti lancia occhiate e commenti aspri perché non sei una alta uno e settanta, le tua gambe non sono trasparenti e non hai il naso perfettamente all’insù? O quella di invitare la famiglia di Dani, immaginando che venisse accolta con quanto più calore possibile da me? O forse quella di assegnare ad Agata il compito di uccidermi (cosa che, oltre ad essere impaziente di fare, le riusciva alla grande)? Più ci pensavo e peggio mi sentivo.
Alla fine mi ero arresa al volere di mio padre e alla brama di violenza della mia governante.
Così mi ritrovavo incollata su di una sedia a sentire i miei capelli, troppo fragili e certamente non abituati a simili manovre, morire uno per uno e cadere a terra. Mi immaginavo la pelliccia che avrei trovato ai miei piedi, una volta sopravvissuta.
Poi, d’un tratto, non sentii più alcun movimento sul mio tenero cuoio capelluto. Ma non volevo certo illudermi, presto il demonio sarebbe tornato all’azione.
“Ecco fatto. ”
No. Non ci potevo credere. Era finita! Alleluia! Un senso di sollievo mi colse. Ma non durò molto. Il “finito” era a dir poco relativo.
“Ben fatto. Ora manca solo il trucco e il vestito. ”
Appunto. Eravamo solo a metà dell’opera.
Per i successivi quaranta minuti ritornai nel ruolo della bambola di porcellana. La mia governante e un paio di aiutanti mi ronzavano intorno con pennelli, trucchi e cosmetici vari. Indossai il mio abito color avorio, lunghissimo e con un’ampia scollatura sulla schiena.
Ero in preda all’angoscia, forse caduta in depressione, quando la porta si spalancò improvvisamente. Osservai la sagoma, uno e ottanta per ottanta chili di muscoli. Un enorme sorriso si allungò da un mio orecchio all’altro.
“Jon! ”
“Ehi, piccola, sei un incanto. ”
“È tutto un trucco. ”
“È lo vedo bene, hai due strati di maschera. ”
Rise. La sua risata mi riempì il cuore. Era tutto ciò che desideravo. Lo vidi arricciare le labbra, esaminarmi e muovere leggermente la testa, quasi in segno d’approvazione.
“No, davvero. Ti trovo molto sexy. ”
“Grazie, Jon. Devi goderti questo momenti, sai? Non so quando ti ricapiterà. ”
“Ma smettila! Lo sai che sei splendida. ”
Agata uscì dall’anticamera con una scatola bianca tra le mani e un ampio sorriso sulla faccia. “Non crede di esagerare, signor Ford? Forse il merito non è solo suo. ”
Jon si scostò per farle spazio. Uffa. Lo avrei voluto ancora accanto a me.
“Ha perfettamente ragione, ma ormai è inutile ripetere che ogni complimento a Sam è come se lo rivolgessi a lei. In fondo, è solo il frutto della sua abilità. ”
Gongolante, Agata si chinò ai miei piedi, aprì con cura la scatola e ne estrasse due meravigliosi sandali argentati. La punta era aperta, una catenina correva risalendo il piede fino a terminare in un cinturino in argento sulla caviglia. Manolo Blahnik, ovviamente.
Solo a vederle, mi si fermò il cuore. Erano semplicemente splendide.
Qualche secondo dopo, le avevo ai piedi. Fin tanto che restavo seduta, non facevo altro che adularle, ma quando mi alzai, cominciai a maledirle. Due sottilissimi tacchi mi alzavano tanto da farmi venire le vertigini. No, no. Mi aggrappai alla spalla di Agata, che mi immobilizzò.
“No, non posso. Non ce la faccio. ” Non avrei mai indossato quelle scarpe. Già potevo immaginare la mia spettacolare comparsa in cima alle scale, seguita da un’energica entrata a rotoloni. Arrossii.
“Non dica così, adesso faccia qualche passo, giusto per abituare il piede, e poi sarà facile come
indossare ciabatte. ”
Certo. Come no. Indossare ciabatte. Pensai alle mie soffici pantofole rosa, con tanto di fiocco in punta e pelo bianco. Un sogno.
Jon mi lasciò poco dopo, mentre percorrevo la stanza avanti e indietro, mano nella mano con Agata, come una bambina che impara a camminare. A diciassette anni.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
1 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Il tono scherzoso ha reso molto piacevole la lettura di questo breve ma intenso racconto. Stile e contenuto piaciuti.
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0