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Rabbia repressa
"Ehi, voi!", gridai qualche metro più in là.
Quelli si voltarono, risero tra loro, e si scambiarono un segno d'intesa. Poi uno dei due fissò la ragazza che aveva davanti e che teneva per la gola. L'altro venne verso di me.
Passo tranquillo, quasi indifferente.
"Vuoi prendere parte al gioco?", mi chiese.
Mi avvicinai al tizio col sorriso da stronzo stampato in faccia e inclinai la testa come fanno i cani.
Gli afferrai delicatamente una mano. Poi con l'indice feci un disegno astratto sul suo palmo.
"Mi fai il solletico", disse ridendo.
Sempre con la mano nella sua, mi avvicinai all'orecchio e sussurrai: "Perché non sai cosa ti faccio adesso."
Mi fissò quasi sconcertato, senza capire bene. Gli sorrisi a mia volta e con tutta la forza di cui disponevo, ricalcai il disegno astratto fatto in precedenza con l'unghia piantata dentro la sua carne. Poi gli tirai indietro le quattro dita della mano.
Si mise a gridare dal dolore ma non mi bastò.
"Vuoi ancora giocare?", gli domandai.
Afferrai alla mia destra, una pistola. Con un calcio lo fiondai a terra e lo costrinsi a guardarmi.
"SEI IMPAZZITA, TROIA?", urlò.
I miei occhi s'illuminarono.
Lo afferrai per i capelli con una mano, con l'altra gli sferrai un pugno in pieno viso e sentii le mie nocche schiantarsi violentemente contro l'osso del suo naso.
"Ti piace passare il tempo a stuprare ragazze indifese? Ora sono io a divertirmi."
Mi fissò col sangue al naso, la bocca e il lembo della maglietta sporchi.
Buttai lontano la pistola e cominciai a riempirlo di calci e pugni. Prima al ventre, poi alle gambe ed infine al viso, e ad ogni colpo sentivo la mia rabbia sfogarsi.
Quando vidi una quantità consistente di sangue sull'asfalto pensai potesse bastare.
Se ne stava a terra, ma respirava ancora. Volevo che rimanesse vivo. Sarebbe stata la sua punizione.
In lontananza l'altro urlava qualcosa e teneva per un braccio una ragazza con la maglietta strappata e che piangeva.
Mi avvicinai.
"Che cazzo hai fatto al mio amico?", mi domandò.
Io lo scrutai da capo a piedi.
Lui non fiatò. Mi guardava solo.
"Lasciala immediatamente", ordinai scandendo con calma.
Era alto e imponente. Sempre tenendola per un braccio, mi si avvicinò.
"Dopo di lei, tocca a te", disse puntandomi il dito contro.
Lo presi al volo e glielo piegai indietro.
Poi un calcio dritto al ventre che lo fece piegare in due, e non ancora soddisfatta gli sparai alla spalla destra.
Mollò la ragazza e cercò di rialzarsi. Cominciò a correre, ma molto lentamente.
Lei mi guardò con gli occhi lucidi.
"Ti ha fatto del male?", le domandai.
Mi fissò e scosse il capo, infreddolita.
"Riesci a tornare a casa?"
Annuì. "Sì."
Stavo incamminandomi quando mi chiese chi fossi e perché l'avevo fatto.
Mi voltai e portai un dito alla bocca in segno di fare silenzio. Poi la vidi correre in un portone e scomparirvi oltre.
Allora mi voltai di nuovo in direzione dell'uomo, e vidi che si trascinava sulla strada in cerca di salvezza.
Camminai senza fretta: gli anfibi battevano sull'asfalto bagnato e la pioggia scivolava sui miei abiti neri.
"Che fai, scappi, uomo coraggioso?", gli urlai da qualche metro più indietro.
Sembrava che la strada fosse la mia complice, a mia completa disposizione. Non vi erano movimenti o altro.
Lui oltrepassò un muretto e fece un salto che sembrò farlo sfracellare sulla strada. Poi si rialzò e continuò, se pur con difficoltà, a correre.
Io invece con uno salto balzai sulle ginocchia senza perdere l'equilibrio, e mi riportai in piedi.
Ad un certo punto lo vidi svoltare a destra, in un vicolo.
Lo raggiunsi senza fretta. Misi a fuoco l'immagine che distava poco più di tre metri da me e lo vidi a terra, vicino ai cassonetti della spazzatura.
Nel vicolo vi era un solo lampione ad illuminarlo e mentre mi avvicinavo, la luce proiettava la mia ombra in una forma diversa da quella reale.
"Ma come? Mi offro per il gioco, e tu scappi?"
"Non so di cosa stai parlando!"
Gli tirai un calcio dritto allo stomaco, e uno in pieno viso.
Mi misi sulle ginocchia.
"Passi il tempo a stuprare ragazze, non è così?"
Era piegato in due dal dolore, ma aveva fiato a sufficienza per continuare a chiedermi cosa volessi.
"Io il modo per farti smettere ce l'ho, sai? Ti faccio fuori e cancello per sempre il sorriso dalla tua faccia di merda."
"Troia", mi disse.
Scossi il capo.
"Al tuo amico l'ho risparmiato, ma una bella sedia a rotelle non gliela toglie nessuno. Ora, per te ho invece un trattamento speciale. "
Sputò del sangue e mostrò la dentatura rossa.
"Sei come tutte le altre: una puttana", disse scandendo bene l'insulto.
Socchiusi gli occhi. Li riaprii l'istante dopo e sorrisi di scherno.
"Sarà un piacere."
Mi alzai e gli inflissi un calcio in faccia, poi ancora un altro.
Era svenuto, ma presto si sarebbe risvegliato: il tempo a disposizione non era molto. Lo presi, gli calai i pantaloni, e i boxer.
Recuperai una corda e gli legai mani e piedi.
Attesi qualche minuto, e nell'attesa che si svegliasse, mi appoggiai contro il muro di un casolare abbandonato.
Dopo qualche minuto aprì gli occhi. Scosse il capo per tentare di riprendere conoscenza e sbatté le palpebre svariate volte.
"Sai che questa parte di Torino è molto vecchia?", gli domandai senza muovermi dalla mia posizione iniziale.
"Che cosa mi hai fatto?", domandò guardandosi.
"Immagino di sì visto che vieni a cercare le tue vittime per poi violentarle senza che nessuno ti veda e ti senta..."
Si guardò la vita e notò i pantaloni e le mutande calate.
"Lasciami andare immediatamente!"
"Come dicevo è una zona vecchia, ma proprio per questo la adoro. È ricca di risorse secondarie."
Per il tempo in cui gli avevo parlato da quando aveva ripreso conoscenza, ero rimasta a fissare la fiamma dell'accendino che tenevo in mano.
Solo quando finii il mio discorso, lo fissai negli occhi.
"Te lo giuro: smetterò di fare quello che faccio!", mi disse.
"Perché, cosa fai?"
Esitò. Poi rispose: "Le stupro. È vero."
Io annuì.
"E perché?"
"Per divertimento", disse piangendo.
"Divertimento", ripetei. "Ti hanno mai supplicato di lasciarle andare?"
"Sempre. Ora ti prego io. Lasciami andare."
"Ah... non fare così. È il trattamento che ti ho riservato. In fondo è un po' come il tuo gioco, no? Tu mi supplichi e io non ti ascolto."
"CHE COSA VUOI DA ME?", gridò nel silenzio della notte.
Il calore del fiato venne fuori affaticato e allo stesso tempo impaurito, dalla sua bocca.
Io feci spallucce e risposi con un sorriso sforzato.
"Sto solo facendo quello che piace a te."
"Ho detto che mi sono pentito. Lasciami andare", mi supplicò.
"Tu le hai lasciate andare? Parlo di quelle ragazze."
Feci una pausa. Poi ripresi, con un tono di voce sempre più alto a mano a mano che parlavo.
"Le hai lasciate andare quando ti supplicavano di lasciarle stare, e piangevano dalla paura? L'hai fatto?"
Fino a gridare: "ALLORA, L'HAI FATTO?"
"NO, NON L'HO FATTO!", strillò con le lacrime agli occhi.
Lasciai scorrere qualche secondo. Poi annuii.
"È quello che immaginavo."
"Mi sleghi? Ho le gambe fredde."
Io scossi il capo, ritornai vicino al muro, mi infilai il cappuccio e lo fissai nelle pupille lucide: "La città è vecchia...", dissi "... e adesso tocca a te e a me."
Alzai la grata incastrata nel muro e da lì uscirono una ventina di ratti almeno. Gli andarono incontro, sulla pelle nuda.
Lo guardai mentre lo rosicchiavano e lui gridava. Sorrisi: la ciocca nera e mossa davanti all'occhio destro, le labbra carnose e rosse.
Poi sentii un boato.
Mi svegliai nel mio letto e fissai la finestra. Il vento e la pioggia battevano sulla serranda.
L'orologio sul comodino segnava le cinque del mattino.
Un'ora dopo mi alzai e mi preparai per il lavoro, andando col pensiero a quello che avevo sognato la notte.
Andai in cucina, misi la caffettiera sul gas, e accesi la radio.
"La notizia del misterioso ritrovamento nei pressi dei Murazzi del Po di due uomini brutalmente massacrati ci è giunta ora in redazione."
Mi appoggiai al buffet e alzai il volume.
"Sentiamo la nostra inviata, Milena Scalo. <<Per ora si sa poco. La questura di Torino ha già aperto le indagini, e la Scientifica sta raggiungendo il posto in questo momento. Per ora le uniche notizie in nostro possesso sono le modalità con le quali sono stati ritrovati i due. Mentre il corpo di un uomo è stato trovato selvaggiamente picchiato, l'altro non è sopravvissuto. Oserei definirla una morte oscura che getta un velo di mistero su Torino e la sua gente. Come dicevo l'uomo sarebbe stato picchiato, ma quello che fa più mistero è proprio l'essere stato divorato dai ratti. Dell'identità dei due sappiamo solo che erano stati fermati per rapina e stupro già qualche mese fa. Non appena avremo qualche informazione in più, chiederemo la linea."
Non poteva essere vero. Non poteva essere successo realmente.
Come funzionava? Io sognavo chi volevo uccidere e ciò accadeva realmente? Li avevo uccisi per davvero.
Subito mi mancò il respiro, mi avvicinai al lavabo e mi bagnai il collo e la fronte.
Lasciai trascorrere qualche minuto.
Mi trascinai fino a raggiungere una sedia e pensai che doveva essere una coincidenza: non potevo spiegarmelo diversamente.
Dopo essermi ripresa un minimo, mi preparai, e mi recai in ufficio.
"Il progetto che hai preparato non potrebbe essere più inutile!", mi urlò in sala riunione il mio dirigente.
"Veramente ho cercato di fare..."
"Non m'interessa cos'hai cercato di fare! Quello che conta è il risultato, e il risultato è che è un vero schifo! Sarà meglio che torni nel tuo ufficio e rifaccia tutto daccapo. Quello che hai presentato è carta per pulirsi il culo!"
Mi sentii umiliata e spogliata dei miei diritti e della mia dignità, ma cercai di mantenere la calma; in quel momento gli avrei preso la testa e glie l'avrei sbattuta infinite volte contro il vetro. Invece mi limitai a guardarmi attorno senza emettere un fiato. In quell'azienda ci ero entrata perché lo meritavo. Nel mio lavoro ero brava, ma lì dentro regnava l'ignoranza: il maschilismo.
Mi alzai e uscii dalla stanza.
Dopo un pomeriggio passato chiusa in ufficio, guardai l'orologio e notai che erano le quattro e mezza.
I miei colleghi stranamente se n'erano già andati via. Il dirigente del reparto, entrò nel mio ufficio senza bussare.
"Può andarsene per oggi."
"Sono solo le quattro e mezza e ho ancora..."
"Forse non ha capito. Non è un consiglio", mi disse secco.
Rimasi a fissarlo per qualche secondo. Poi recuperai dalla scrivania, le carte a cui stavo lavorando e le infilai nella valigetta. Dopo, toccò al cappotto e alla borsa.
Spensi la luce mentre mi osservava sulla soglia.
Uscii e mi voltai. Più in là notai una ragazza molto più giovane di lui, indossare un abito rosso da sera.
"Veda di fare una bella dormita e di cercare qualcosa di più idoneo a quello che le ho chiesto", mi disse col sorriso divertito. "Quest'azienda gode di ottima fama, e molte persone, anche più qualificate di lei farebbero carte false per entrarci."
Maschilista e stronzo di merda, pensai. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Ripensai al mio sogno e capii, e sapendo a cosa andavo incontro a quel punto feci qualcosa che in dieci anni che lavoravo lì dentro, non mi ero mai azzardata a fare.
"Sua moglie lo sa?", domandai indicando col viso, la ragazza.
Il suo viso arrossì visibilmente.
"Come ha detto?"
"Oltre ad essere uno stronzo maschilista ha anche il difetto di essere sordo?"
"Da adesso può considerarsi fuori. Domani eviti proprio di presentarsi, e se si azzarda a nominare o a far sapere quello che ha visto qui dentro giuro che..."
Io risi di scherno.
"Giura che cosa? Uhm?"
Non rispose, ed io continuai. "Si goda pure la serata finché può, senza farsi venire un infarto però, mi rovinerebbe il divertimento."
Mi voltai e m'incamminai verso l'uscita. Sorrisi, con la consapevolezza che la stessa notte, la mia prossima vittima sarebbe stata proprio lui, e al solo pensiero del tipo di trattamento che avevo in serbo per lui, mi fece ridere di gusto.
D'ora in poi sapevo come dare sfogo alla mia rabbia repressa.
Io la mia rabbia repressa la sfogo nei sogni.
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0 recensioni:
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- Sè, vabbè... volevo dire pubblicati SU p&r. No, perché sai... c'è differenza.
- Ti ringrazio, Mauro! Questo è stato uno dei miei primi racconti scritti per p&r... rileggerlo adesso è persino un po' "strano"!
Anonimo il 11/01/2012 13:03
Bellissimo, sei proprio brava.
- Grazie mille mille mille, Nicolas!
"Sei una brava autrice" è il complimento al quale noi utenti di questo sito, aspiriamo!
Grazie ancora,
Anonimo il 09/06/2010 22:09
Allora è meglio evitare di sognare! Scrittura asciutta e accattivante, non cala mai l'attenzione. Sa di trama da fumettone, sulla falsa riga de "IL CORVO" su questo concordo con il primo commento. Comunque tu sei una brava autrice!
- E questo racconto da dove spunta? come mai non ne sapevo niente????
Che dire... bello bello bello, brava brava brava!!!!!!!!!!!!!!
come dice ivan, i sogni servono a sfogare molte cose, verissimo.
- Grazie mille per le opinioni espresse!!! Ciao a tutti!
- ... i sogni servono a sfogare molte cose. Non é il mio genere ma é scritto benissimo, corretto, incalzante, non scade mai... davvero bravo.
Anonimo il 21/08/2009 12:42
intensa piaciuta... davvero brava
- Grazie Brazir!
Anonimo il 21/08/2009 10:14
Bello, intenso. Per certi versi mi ha ricordato "THE CROW", più come fumetto, che come film.
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