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Parte della Casa, parte dell'Amore
Un mattone dopo l’altro. Il cemento che si accumula e sbrodola lungo la piccola parete che sto costruendo. Avevo comprato questa casa con mia moglie tre settimane fa e c’erano dei lavori da fare, di ristrutturazione, cose di poco conto, cose che potevo benissimo sbrigare da me. Stavo murando una parte della cantina, troppo grande, così avremmo potuto avere due locali, fare un po’ come gli americani, che hanno quelle cantine piene di oggetti e che ne fanno addirittura stanze. Pensavo di farne la mia piccola sala di lettura in questa stanzina che stavo costruendo. Beh, lo pensavo di certo. Fino a quando non ho colpito alla testa mia moglie, le ho legato i polsi, l’ho picchiata ancora fino a spezzarle le gambe, le ho strappato i capelli, tagliato tre dita e infine trascinata dietro il muro di cemento. Sto guardando i suoi occhi opachi e umidi, verdi, belli come non mai. Pregava Dio e me di lasciarla libera, mi domandava continuamente perché. Perché di cosa? Hai voluto questa casa di merda? Ora vivici, sii parte di essa, troia!
Una donna stupenda: alta, snella, occhi nocciola, dal taglio vagamente orientale, capelli neri, labbra carnose e pelle olivastra, un bel seno e un gran culo. Insomma, perfetta. L’ascolto piangere e mi veniva da ridere, ridere per tutte quelle volte che io ho pianto a causa sua. Sono sempre stato un tipo timido e sensibile, non mi pareva vero aver conquistato e sposato una donna così. L’amavo più di me stesso, ma lei…beh, lei mi aveva sposato per i soldi, sapevo che se la faceva con altri: con il giardiniere, il mio migliore amico, il vicino e persino mio zio! Troppo, troppo. Non sopporto più, non ci riesco. Strepita e si sbatte contro il muro, cercando di uscire, la ricaccio indietro con una manata. Ora, una volta dentro, sarebbe stata per sempre mia, per sempre parte di me e della casa. La sua anima e il suo corpo sarebbero stati parte della mia dimora, nelle fondamenta, al sicuro e lontano da altri pretendenti, solo mia. Mia! Mia! Mia! Mia! La casa era in lei, in lei la casa. Afferro un secchio di cemento e glielo getto in faccia. Piange e continua ad urlare. Si dibatte in preda al panico. Mi insulta, ma la perdono: non sa che sto lavorando per lei. Per noi. Non le piace? È stupendo. Sarà rinchiusa qui, murata viva, con una colata di cemento che le imperla i capelli, rendendole il viso più speciale che mai. Oh, sarà bellissimo, bellissimo ti dico! Le getto addosso altro cemento, ormai le arriva alle ginocchia spezzate. Urla. Urla ancora. E ancora. E io getto altro cemento, è a presa rapida, si secca velocemente e lei, con il suo continuo muoversi non lo fa che impastarlo meglio, renderlo più liquido, ma non certo meno fissante. Cade di lato, entrando in quel mare di cemento. La sollevo per i capelli. La bacio. Un bacio che le rimarrà sempre stampato, un bacio di cemento. Un bacio indelebile su quelle labbra di marmo. Come la più grande delle statue, lì, nella sua colata, prima di risplendere nella bellezza dei secoli. Sarà la mia creazione, la mia opera, la mia statua. L’anima della casa, la mia anima. Sarà mia, per sempre, dentro questa tomba che io stesso le sto costruendo, un sepolcro d’amore e odio, l’eterna cripta della bellezza, che mai sfiorerà dal tuo viso ora sì zozzo e sudicio, ma non certo orribile. Rigato da quelle lacrime, squartato da quelle urla. Ora leggo chiaramente un segno di resa: singhiozza, lontana da me, spalle contro il muro, mentre mi osserva con odio e disprezzo. Perché lo fa!? Sono tutto sporco e sudato per lei. Per noi! Il nostro amore si fonda sulla pietra e sul cemento! Nulla potrà dissolverlo amor mio, neanche le tue scappatelle che tanto mi hanno fatto adirare, no, no, non temere. Amami, amami ancora, o meglio: comincia ad amarmi, opportunista. Sì, guardami, guarda come sono forte e potente, osservami! In tutto il mio splendore da carpentiere improvvisato. Non sono superbo? Sì, guardami così, dolcemente, con quel tuo sguardo così malizioso ed eccitante. Solo con gli occhi tu mi fai venire. Sì, guardami. Ecco, quella lacrima, oh, mio Dio, quella lacrima…com’è bella, argentata mentre scivola tra gli schizzi del cemento, che le formano come una maschera davanti al viso, oh, sì…oh…Mio Dio, sì! La mia mano s’agita davanti al mio ventre nudo, mentre guardo la mia superba statua che a poco a poco spira, soffocata. Sì…Reclino all’indietro la testa. Sta mordendo, la vedo, la sento. Il cemento le arriva alla gola! Sì, sì! Dio, sì! Sì! Serro la mascella e chiudo gli occhi mentre le mie membra si fanno molli e mi sento rilassato eppure frizzante…soddisfatto. La sua luce negl’occhi sta sbiadendo, ma ancora vede, riesco a percepirlo. Il suo sguardo ormai perso nel vuoto. Ha terminato le lacrime, si è arresa. Uno sguardo compassionevole, di immensa tristezza e amarezza, spaventato, come si guarda un mostro. Mi ritrovo nudo a giocare con i suoi capelli impregnati e fissati. La sua testa che esce da un blocco di cemento. È così bella. E così morta. È così…è mia, per sempre. Ricopro tutto. Ricopro il venerabile altare dell’amor della morte. Il profano tesoro della mia reggia. La splendida opera della perversione. La brutalità della lussuria. Un vortice di calore mi avvolge. Un tempio dedicato alla Passione. Un tempio vivo, che pulsa e sanguina. Sono rimasto per più di un’ora a piangere allegramente davanti alla parete di mattoni. Ho scritto su quel muro il suo nome: “MARTA”. Con il mio sangue, a simboleggiare l’importanza della nostra unione. Sì, un’unione che non finirà mai, che si protrarrà nei secoli, forte come la pietra, salda come il cemento. Mi rivesto e torno di sopra: devo farmi una doccia e un caffè, in ufficio mi aspettano!
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